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Il 2009, secondo centenario della nascita di Darwin, proclamato “anno santo” dalle lobby scientiste di mezzo mondo, si è chiuso con un nulla di fatto: poche conversioni al darwinismo, dubbi crescenti tra gli stessi fedeli del biologo inglese, continua e imperterrita mancanza di prove in suo favore (che non sia la prova neo-ontologica: il darwinismo deve esistere, sennò è necessario ammettere un Creatore dell’universo), aumento notevole di increduli al dogma evoluzionista...
Le ultime settimane dell’anno hanno visto un’escalation della polemica, con le solite scomuniche evoluzioniste verso gli scettici, accompagnate da minacce di messa al mando e di morte (per ora solo civile e culturale).
Un recente testo (J. Wells, Le balle di Darwin. Guida politicamente scorretta al darwinismo e al disegno intelligente, Rubbettino, 2009, 16 €), contribuisce in modo determinante a spiegare e a demistificare i fondamenti della religione darwinista, il cui credo necessita di una fede davvero grande e cieca, si direbbe persino più grande di quella di chi, con la sola ragione, è costretto ad ammettere l’esistenza di un Dio personale come causa prima e fine ultimo di ogni cosa, uomo incluso.
Nella ottima prefazione, il curatore del testo Guglielmo Piombini mostra cosa è in gioco nelle dispute apparentemente per soli specialisti intorno alla cosmologia, alla biologia, alla genetica e alla scienza in generale. Secondo Piombini, i darwinisti sono i moderni epicurei che usano la teoria dell’evoluzione, ammessa a suo modo già da non rari fisici dell’antichità, per scalzare quella moralità che facilmente si deduce dall’organizzazione ordinata e gerarchica del tutto. «Per Epicureo e i suoi seguaci un Dio che è attivamente coinvolto nelle vicende umane e che ci giudica nell’altra vita pone delle indebite restrizioni alla nostra vita presente (…). Per annullare queste fonti di preoccupazione Epicuro propose una visione meccanicistica e materialistica della natura, vista come aggregato di entità materiali che operano secondo cieche leggi naturali» (p. XIII). Con mirabile sintesi interpretativa Piombini nota che: «La vittoria del Cristianesimo mise però in ombra (…) il materialismo (…). La riscoperta di Epicuro e Lucrezio durante il Rinascimento riaccese l’antica disputa, che si prolungò nel corso della rivoluzione scientifica del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Nel diciannovesimo e ventesimo secolo, anche grazie alla fortuna delle idee di Darwin, in Occidente la filosofia materialista ha conquistato nuovamente il predominio nel mondo scientifico» (XIV). Quindi, secondo questa lettura, il paradigma evoluzionista sarebbe un «ritorno al passato», ad una concezione antica, pre-scientifica e filosofica del mondo: anti-filosofica in realtà, mancando di vera saggezza, di solidi fondamenti e di buon senso. «Il risultato di questa concezione dell’uomo è una cultura, dominante nell’attuale Occidente secolarizzato, che non solo ammette ma esalta e promuove l’aborto, il controllo delle nascite, l’eutanasia, l’eugenetica, gli esperimenti sugli embrioni umani, il libertinismo, il divorzio, la promiscuità e le perversioni sessuali, il consumo di droghe, la sfrenata ricerca edonistica del piacere, l’occultismo, l’esaltazione degli istinti più bestiali»: in una parola una vera cultura di morte.
La verità però vince sempre, e la lunga marcia darwinista e neo-darwinista contro di essa, si risolverà molto presto in un colossale mea culpa. Come il comunismo sembrava eterno ed è crollato a pezzi in poco tempo, trasformando magicamente in anti-comunisti o in semi-comunisti molti dei suoi più convinti sostenitori, così l’evoluzionismo in tutte le sue scuole (moderate e radicali) sarà ricordato tra alcuni anni come l’ultimo grande mito della secolarizzazione e della modernità. In tal senso, «non c’è nulla che possa favorire di più il collasso del darwinismo che il progresso della scienza» (p. XIX).
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