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L'Italia, con l'Europa, si dibatte in un'impotenza e un'angoscia molto più profonde e gravi della stessa crisi economica.
Certo, questa crisi da noi sembra senza via d'uscita (aumenta la povertà, la disoccupazione giovanile è devastante, il sistema bancario trema) e si aggiunge all'aggressione del terrorismo, all'esplosione politica della Ue e alla marea migratoria.
Tuttavia è sempre più forte la convinzione che all'origine di tutto questo ci sia una crisi di civiltà. Che nasce da una disfatta spirituale, da una perdita di radici culturali e di identità religiosa.
L'altroieri un intellettuale laico e liberale come Ernesto Galli della Loggia lo scriveva nell'editoriale del Corriere della sera.
Fra le cause di questa disfatta indicava la "delegittimazione ideologico-culturale" del Cristianesimo e "più in generale" del "nesso religione-società" (insieme ad altri fattori relativi alla decadenza dello Stato).
Questa, sostiene Galli, "è stata per gran parte l'opera di élite superficialmente progressiste, di debolissima cultura storica e politica, succubi delle mode, le quali hanno così creato un vuoto culturale e sociale enorme".
Praticamente è l'identikit dello stesso Corriere della sera e di tutti i giornaloni del pensiero unico (è stato, giustamente, Massimo Bordin a far notare il paradosso di questa requisitoria contro le élite pubblicata sul giornale stesso delle élite).
Infatti fuori dal Palazzo, fuori dai salotti del pensiero unico, questa giusta intuizione di Galli (un pensatore intelligente e libero) è una certezza ormai da molto tempo. Perfino fra persone che non sono abitualmente dedite allo studio dei fatti sociali, ma all'azione.
COSA SIAMO?
Mi ha colpito, ad esempio, l'intervista, uscita due giorni fa, del generale di Corpo d'Armata Marco Bertolini, un uomo consapevole della cupezza dei tempi tanto da aver dichiarato il 2 luglio scorso: "Ad altri toccheranno sfide che alla mia generazione sono state risparmiate".
Molto stimato nel suo mondo, il generale (ora in congedo) che è stato Comandante del Centro operativo interforze e ha guidato tante missioni militari italiane all'estero, nell'intervista ha dichiarato: "Ritengo che una società che voglia sopravvivere, debba preservare con tutte le forze la propria identità e le proprie tradizioni. Poi, sarà ovvia, per ogni nuovo venuto, la necessità di adeguarsi alla nostra cultura. Ma se pensiamo che la nostra identità possa esclusivamente basarsi sul 'Made in Italy', sulle eccellenze della nostra cucina e sui centimetri di pelle nuda che esponiamo in pubblico, stiamo freschi. Senza radici cristiane, cosa ci resta da difendere, il nostro benessere? Quanto ai diritti, faccio parte di una generazione che era stata educata al rispetto dei propri doveri, vale a dire di quanto, come individui, si doveva alla comunità. I diritti, intesi come atti che la comunità deve all'individuo, non ci salveranno. Anzi".
Parole lucide, profonde e coraggiose. Difficili da sentire in Italia. All'estero invece sì. Leggiamo sempre più spesso riflessioni analoghe.
SE DIO E' MORTO
Per esempio Pat Buchanan, alcune settimane fa, ha pubblicato un articolo dal titolo eloquente: "If God is Dead...".
Buchanan è un intellettuale e un politico conservatore ed è stato consigliere di Nixon e di Reagan. Oggi sostiene Trump.
In quell'articolo - riprendendo alcune considerazioni di Dennis Prager - biasima il laicismo delle élite: "Essi non si rendono conto del disastro a cui l'ateismo ha portato in Occidente".
Buchanan sostiene che l'America (e con essa l'Occidente) non può sopravvivere alla morte di Dio: "La religione di un popolo, la sua fede, crea la sua cultura, e la sua cultura crea la sua civiltà. E quando una fede muore, muore la cultura, muore la civiltà - e anche quel popolo comincia a morire. Non è questa la storia attuale dell'Occidente?".
La diagnosi di Buchanan si allarga alle cause del fenomeno, reperibili nella storia del Novecento. Sintetizzata in una celebre battuta di Chesterton: "quando gli uomini cessano di credere in Dio, non è che non credano più in nulla; credono a tutto".
In effetti - spiega Buchanan - "le elites europee, abbandonato il Cristianesimo, cominciarono a convertirsi alle ideologie, quelle che Russel Kirk chiamava 'religioni secolari'. Per un certo tempo, queste religioni laiche (marx-leninismo, fascismo, nazismo) hanno conquistato i cuori e le menti di milioni. Ma sono oggi tra gli dèi che hanno fallito nel XX secolo. Così ora l'Occidente abbraccia le fedi più nuove: egualitarismo, democratismo, capitalismo, femminismo, ambientalismo, mondialismo. Anche queste danno significato alle vite di milioni; ma anche queste sono sostituti inadeguati della fede che partorì l'Occidente. Infatti manca ad esse la cosa che il cristianesimo ha dato all'uomo: una causa per la quale vivere e per la quale morire, ed anche un codice morale 'con cui vivere' tutti i giorni – con la promessa che, al termine di una vita vissuta secondo quel codice, viene la vita eterna. L'Islam fornisce questa promessa. Il secolarismo non ha niente da offrire che eguagli una simile speranza".
Buchanan rivendica i valori di libertà e dignità dell'uomo che l'America "ha insegnato al mondo", ma - aggiunge - quei valori "risalgono alla cristianità" e oggi "con il cristianesimo morto in Europa, e lentamente morente in America, la cultura occidentale diventa sempre più corrotta e decadente, e la civiltà occidentale è visibilmente in declino".
Per Buchanan, fra tutti i leader, solo Vladimir Putin "che ha visto da vicino la morte del marxismo-leninismo, sembra capirel'importanza cruciale del cristianesimo per la Madre Russia".
LA LEZIONE DI RATZINGER
Il tema delle radici religiose, necessarie all'Occidente, è di una tale evidenza che perfino sul Wall Street Journal, qualche mese fa, in un editoriale di Bret Stephens, si è potuto leggere che "la morte dell'Europa è all'orizzonte" non tanto "a causa della sua sclerotica economia o della sua stagnante demografia o delle sue disfunzioni statali". Ma per ragioni morali. Per la "superficialità" della sua cultura che ha scordato le radici giudaico-cristiane.
L'editorialista citava la mente più illuminata di oggi, cioè Joseph Ratzinger: "È encomiabile che l'Occidente cerchi di essere più aperto, più comprensivo dei valori degli estranei, ma ha perso la capacità di amarsi. Nella sua stessa storia riesce solo a vedere ciò che è disprezzabile e distruttivo; non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. Ciò di cui l'Europa ha bisogno è una nuova accettazione di se stessa, se davvero vuole sopravvivere".
Se l'Europa "non sarà fedele al suo patrimonio essenziale", alle sue radici spirituali, "non potrà più esistere come Europa", la quale è sempre stata caratterizzata "dal matrimonio tra ragione e rivelazione".
Così "la tradizione politica liberale europea non potrà sopravvivere all'afflusso massiccio degli immigrati musulmani".
Le considerazioni qui esposte non sono confessionali. Ma derivano da consapevolezza culturale e storica.
Jonathan Sacks, rabbino capo del Regno Unito dal 1991 al 2013, un mese fa, ricevendo il Premio Templeton, ha tenuto un discorso che ha fatto clamore, dove esprimeva preoccupazioni simili: "Il futuro dell'occidente, l'unica forma che ha aperto la strada alla libertà negli ultimi quattro secoli, è a rischio. La civiltà occidentale è sull'orlo di un crollo".
Il sintomo di questa crisi, per il Rabbino, è il crollo demografico che "ha portato a livelli senza precedenti di immigrazione".
Ma - ricordato che l'immigrazione di massa non può essere la risposta - ha spiegato che la crisi demografica deriva dalla crisi spirituale: "Senza memoria, non vi è identità. E senza identità, siamo solo polvere sulla superficie dell'infinito".
Così anche l'integrazione degli immigrati diventa impossibile "perché quando una cultura perde la memoria perde l'identità e quando una cultura perde l'identità non c'è niente in cui far integrare le persone".
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