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Devo dirlo, fa proprio senso sentire i redattori dei tg ripetere a pappagallo gli slogan della sinistra più becera. Nel commentare le elezioni presidenziali in Austria, il perdente era sempre definito «xenofobo e populista». Non è neppure il caso di mettersi a replicare che chi vuole un'immigrazione regolamentata non è xenofobo, che chi vuole ridurre le tasse non è populista, che chi ha schifo delle nozze gay non è omofobo e chi non vota comunista non è fascista. Non serve a niente.
La sinistra giacobina ha vinto la guerra delle parole, anche perché ogni nuovo conio trova i baciapile della tastiera pronti e solerti ad adottarlo e rilanciarlo fino allo sfinimento, finché non entra ben bene nel lessico comune e la gente di strada è costretta a farlo proprio anche solo per farsi capire. Tutte le loro guerre i giacobini le hanno vinte a forza di propaganda, la propaganda politica che loro stessi hanno inventato. A colpi di parole – meglio, di aggettivi - hanno sempre trionfato col semplice espediente di fare apparire gli altri peggiori di loro. Mai una volta che dicano: votate per noi perché vi dimostriamo di essere intenzionati e capaci di farvi stare meglio. No. Dicono sempre: non votate per gli altri, perché sono cattivi. E giù aggettivi. Le loro donne sono «quote rosa», naturalmente benemerite e perciò obbligatorie. Le donne altrui sono tutte bagasce. Cristo nel Vangelo direbbe che «hanno per padre il diavolo», che è l'Accusatore per eccellenza. Se comandano loro tutto va ben madama la marchesa e questo è il migliore dei mondi possibili. Se perdono, scatenano una bagarre mai vista, in tutti i luoghi e con tutti i mezzi: marce, girotondi, centri sociali, scioperi, «satira», querele & denunce.
Il loro motto, inespresso, è: o comandiamo noi o sfasciamo tutto. Se il popolo vota diversamente, non esitano a dire che è ora di finirla con questa democrazia che permette anche agli imbecilli di votare. Vince la Brexit? Eh, sono stati i vecchi e quelli delle periferie, mica i mejo della city e i giovani italiani che fanno i camerieri a Londra (e sai la soddisfazione!). Auguriamo tutto il bene a Fillon, ma stia pronto a pararsi il didietro perché la gauche-caviar sta già affilando gli artigli. Non vorrei essere nei panni del povero Trump, perché alla radio ho sentito già questa a proposito della first lady: le sciampiste hanno una speranza. Con tutto il disprezzo per le sciampiste, firmato dai politicamente corretti che «animano» i programmi radio, gente assunta solo perché è svelta di lingua (il cervello non serve per certe cose). Che schifìo il populismo! E la mia vicina di casa abbocca.
De Luca - l'ho visto personalmente - ha raddrizzato Salerno facendo il sindaco-sceriffo, eliminando i vucumprà e riempiendo la città di luminarie (anche al parco le sculture sono illuminate come la Piedigrotta). Naturalmente ha fatto benissimo. Ogni sabato da tutta la Campania e oltre arrivano pullman appositi che portano le famigliole a fare shopping in città. De Luca sempre rieletto. Con due lampadine. Populista? No, piddino, così nessuno gli dà del populista. Nemmeno lo danno a Giggino De Magistris, che a Napoli ha fatto il famoso Nalbero aggiudicandosi 65mila presenze turistiche il giorno stesso. Quando giacobini erano i liberali piemontesi il sistema borbonico era etichettato - e liquidato - come le tre effe: feste, farina e forca. Il resto era «malgoverno». Ora hanno trovato qualcuno più giacobino di loro e si puppano i M5S vegani, no-tav ed eko pur di togliersi di dosso il sudario piddino. Il fatto è che i popoli vogliono il populismo, il paternalismo, le feste e la farina, nonché la forca per i delinquenti. Gli orfani dell'impero sovietico per feste intendono quelle del primo maggio, la farina serve solo a loro (con una Capalbio senza immigrati) e la forca è l'unica cosa che sanno far funzionare bene. Gli unici ad avere capito l'antifona, per mestiere, sono i prelati. Quelli austriaci e quelli italiani. E vai col tango (argentino).
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