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ELEZIONI FRANCESI: MACRON E' IL MOZART DELLA FINANZA CHE HA RUBATO LA MOGLIE A UN ALTRO
Forse è necessario in Francia un nuovo Pascal (il quale, a rigor di logica, dimostrava che il cristianesimo è l'unica religione vera)
di Lupo Glori
 

Macron-Le Pen, questo l'anomalo e inedito duello politico uscito dalle urne domenica 23 aprile e che si appresta a monopolizzare l'attenzione dei media internazionali da qui a domenica 7 maggio, data fissata per il ballottaggio finale che stabilirà il nuovo presidente della Repubblica francese. I duellanti non potrebbero essere più diversi e distanti.
Ma se tutti conoscono la storia, le idee e i programmi politici di Marine Le Pen e del suo "Front National", ben pochi sono a conoscenza del passato politico e dei progetti futuri di colui che, con tutta probabilità, sarà il successore di Francois Hollande alla guida della Francia: il trentanovenne "social-liberale", candidato del neonato movimento politico "En Marche!", Emmanuel Macron. Ex banchiere da Rothschlid, ex segretario generale dell'Eliseo, ex ministro dell'Economia del presidente Hollande, la carriera professionale e politica di Macron è stata fulminea e strabiliante.

IL MOZART DELLA FINANZA CHE HA RUBATO LA MOGLIE A UN ALTRO
Enfant-prodige della École nationale d'administration (ENA), la scuola nazionale d'amministrazione che sforna i futuri quadri dell'alta funzione pubblica francese, il giovane "Mozart della finanza", così soprannominato per le sue eccellenti doti da pianista oltre che da finanziere, ha bruciato tutte le tappe, passando in breve tempo dagli studi filosofici all'economia, fino alle più prestigiose cariche politiche. Dietro l'improvvisa e repentina ascesa pubblica di Macron vi è una enigmatica quanto determinante figura della sua vita privata, rappresentata dalla moglie, oggi 64enne, di ben 24 anni più grandi di lui, Brigitte Trogneux.
La loro storia risale a quando Emmanuel era un giovane e brillante studente del liceo di Amiens di 16 anni e Brigitte che, di anni ne aveva 40, era la sua professoressa di francese. Tra i due scoppia un travolgente e lunghissimo amore clandestino che porterà alla fine, nel 2007, la Trogneux a lasciare marito e figli e sposare il suo allievo prediletto, quando lui ha 29 anni e lei 53. Tutti i principali analisti politici hanno individuato nella Trogneuxla "musa" ispiratrice e l'autentica stratega della campagna elettorale di Macron, per la sua abilità nel costruire il personaggio politico del marito, sottolineando come sia stata lei stessa ad insistere per la candidatura nel 2017, senza aspettare altri cinque anni che si sarebbero rivelati fatali e controproducenti sul piano dell'immagine, dichiarando: «Nel 2022 avrà il problema della mia faccia».

IL PIANO POLITICO DI MACRON
Ma al di là della sua storia personale, qual è il piano politico di Macron? L' Ansa ha così lo ha così efficacemente sintetizzato: «Propone una società più aperta e flessibile, lontana da corporativismi e privilegi del passato, in grado di rispondere alle sfide globali. La sua convinzione è che occorra superare gli steccati ideologici e la vecchia dicotomia destra/sinistra che frenano il rilancio della République e la creazione di posti di lavoro. "Una buona idea è una buona idea, a prescindere", questo, in sintesi, il suo mantra. In questi anni non ha perso occasione per picconare i tabù della sinistra tradizionale. Il tema delle 35 ore, la settimana di lavoro ridotto, è uno dei suoi bersagli. Idem sul lavoro domenicale». Altrettanto azzeccato è stato il ritratto fornito da Marcel Gauchet, professore emerito all'École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi e direttore della rivista Le Débat, che intervistato dal settimanale francese Le Nouvel Observateur (Obs) sull'essenza del progetto politico di Macron, ha così risposto: «Nessuno lo sa, nemmeno lui. Emmanuel Macron è uno di quegli uomini politici che si nutrono di una situazione, di una congiuntura, molto più di quanto la creino. Macron è indefinibile e si vuole tale. Gioca "tra": né destra né sinistra, o meglio sia destra che sinistra. E lo fa in un paese tradizionalmente polarizzato come la Francia, raggiungendo un livello nei sondaggi per adesso altissimo. (...) Macron si nutre del settarismo altrui. Questo spiega il suo successo, ma anche la sua debolezza: non è certo che la sua straordinaria capacità a suscitare empatia sia sufficiente a fare di lui un presidente della Repubblica».
Macron è dunque figlio dei tempi, ma è anche una creatura di quei poteri mediatici e finanziari, che dello "spirito dei tempi" sono gli artefici. Qualcuno, in questa prospettiva, ha definito Macron un compendio di "Rotschild+ Soros". Il futuro presidente della Francia under 40, senza passato politico, dall'aspetto sfuggente e malleabile, sembra essere un candidato artificiale, plasmato ad hoc e messo lì appositamente dall'establishment per ricoprire il necessario e contingente ruolo di garante e paladino della nuova Europa, minacciata dalla progressiva crescita del sentimento anti globalista, costi quello che costi. Se Macron rifiuta gli schematismi e propone di superare la "vecchia dicotomia destra/sinistra", non è possibile ignorare quello che è l'inequivocabile scontro politico in atto, che vede contrapporsi oligarchia da una parte e paese reale dell'altra. Su quale fronte egli sia schierato, non vi sono dubbi.

Nota di BastaBugie: Francesco Agnoli nell'articolo sottostante dal titolo "Quando Blaise Pascal seppelliva il multiculturalismo" parla delle prossime elezioni francesi dove una certa fetta di voti sarà determinata dal modo con cui i francesi guardano all'islam. Come lo giudicavano nel passato? Nell'Illuminismo era tale il rancore anti-cristiano che l'islam veniva preferito. Il razionalista Pascal, un secolo prima, al contrario, dimostrava a rigor di logica che il cristianesimo era l'unica religione vera.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 2 maggio 2017:
Nelle prossime elezioni francesi una certa fetta di voti sarà certamente determinata dal modo con cui i francesi guardano al rapporto con l'islam, interno ed esterno. Può allora essere interessante vedere come la cultura francese ha considerato la religione islamica in secoli passati.
In età illuminista l'avversario dei filosofi è il cristianesimo: bisogna letteralmente "schiacciare l'Infame". Non lo pensa solo Voltaire, ma anche il barone di Montesquieu, che nelle sue Lettere persiane del 1721 presenta l'islam come immune dai mali della cristianità; pochi anni dopo un importante enciclopedista, il marchese Nicolas du Condorcet, si chiede stupito come mai la scienza sia nata "sotto le superstizioni più assurde, nel mezzo della più barbara ignoranza", cioè nei paesi cristiani, e non invece nelle terre dominate dalla "religione di Maometto, la più semplice nei suoi dogmi, la meno assurda nelle sue pratiche, la più tollerante nei suoi principi". Nello stesso periodo Voltaire dedica un'intera opera al tema: Maometto ossia il fanatismo è una sua tragedia rappresentata a Parigi nel 1742. Ma a differenza di quello che si può credere leggendo il titolo, il bersaglio preferito è ancora una volta il cattolicesimo, perché è piuttosto evidente che Voltaire ha utilizzato Maometto come metafora per colpire la Chiesa cattolica. La quale risponde mettendo la tragedia all'Indice. Solo pochi anni dopo, nel 1756, nel suo Saggio sui costumi, Voltaire elogia ampiamente Maometto, l'islam e la cultura araba.
Prima degli illuministi le cose stanno diversamente. Il giudizio più sintetico e celebre su Maometto è quello di Blaise Pascal, filosofo, matematico, fisico di primissimo ordine. Pascal dedica a Maometto il pensiero numero 356, intitolato Differenze tra Gesù Cristo e Maometto. Recita così: "Maometto, non predetto; Gesù Cristo, predetto. Maometto, che uccide; Gesù Cristo che lascia uccidere i suoi. Maometto che vieta di leggere; gli apostoli che comandano di leggere. Infine, il contrasto è tale che, se Maometto ha scelto la via del successo umano, Gesù Cristo scelse quella di perire umanamente; e, invece di concludere che siccome Maometto è riuscito, Gesù Cristo doveva fare altrettanto, bisogna dire che, siccome Maometto riuscì, Gesù Cristo doveva perire".
Perché Pascal affronta il tema islam? La Francia cattolica della sua epoca non è ancora la Francia laica e imperialista che nel 1830 attaccherà l'Algeria iniziando la colonizzazione dell'Africa islamica. Non vi è dunque nessun riferimento stretto all'attualità, e non vi sono nel paese milioni di immigrati di fede maomettana. La Francia è invece un paese che sta smettendo di essere cattolico, e in cui serpeggia un crescente scetticismo, l'idea cioè che non esista una verità, o che, se esiste, è inutile cercarla perché è impossibile trovarla.
Pascal crede invece nella verità e nella ricerca di essa: nelle verità limitate indagate dalla scienza, dalla sua amata matematica, e nelle Verità eterne indagate dalla teologia. Qual è la "vera religione"? Questa domanda lo porta a concludere che solo Cristo è la vera risposta alla natura dell'uomo, perché Egli, in quanto uomo, incontra la nostra miseria, il nostro essere "indegni di Dio"; in quanto Dio realizza la nostra natura di creature "capaci di Dio". Scrive infatti: "Noi non conosciamo Dio che tramite Gesù Cristo. Senza questo Mediatore è tolta ogni comunicazione con Dio..."; e aggiunge: "Non solamente noi non conosciamo Dio che per mezzo di Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi se non per suo tramite".
La natura dell'uomo, per Pascal, sta qui: nell'essere immensamente grande, perché "l'uomo supera infinitamente l'uomo", perché è tensione, ricerca, desiderio infinito, ed è capace di amore e di pensiero (cosa di cui l'intero universo non sa nulla), e nell'essere infinitamente piccolo, misero, peccatore, a causa della Caduta originaria.
Ebbene, per Pascal le Scritture e la Chiesa, oltre ad avere dalla propria profezie e miracoli, hanno dell'uomo l'idea corretta, un'idea che non è frutto del loro ragionamento umano, ma che si può riconoscere vera e razionale una volta che è stata rivelata da Dio. Maometto, invece, non ha compreso affatto la natura umana nel profondo, ma è rimasto alla superficie, come può fare una mente limitata, non divina: ciò che lui insegna, dunque, non deriva da Dio. Infatti Allah è inaccessibile, lontanissimo, non si coinvolge nella storia, non mostra il suo volto, non si fa Mediatore ma manda un uomo a rivelare la sua legge. Se da un lato è inaccessibile, dall'altra il suo paradiso è invece un premio puramente materialistico. Ciò significa, in altre parole, che per Pascal Allah è troppo "in alto", e il suo paradiso troppo "in basso", laddove Cristo, invece, è un Dio che scende incontro all'uomo miserabile, bisognoso di aiuto, per portarlo dove l'uomo però vuole davvero arrivare, non ad un somma di piaceri finiti e terreni (i fiumi di miele e le donne-amanti in quantità del paradiso islamico), ma ad una Felicità infinita, qualitativamente diversa, quella propria del Paradiso cristiano.
Viene da domandarsi, alla luce di quanto si è detto, cosa avrebbe pensato Pascal dei giudizi sull'islam che vanno oggi per la maggiore, non solo nel mondo che si richiama ai Montesquieu, ai Condorcet, ai Voltaire, ma nel suo mondo cattolico. Sarebbe certamente rimasto spiazzato a sentir dire che "tutte le religioni sono religioni di pace" o affermazioni analoghe. Non solo perché, come dice espressamente nel passo citato, Pascal definisce Maometto come un predicatore armato e guerriero (come effettivamente fu), mentre Cristo è un Dio disarmato e pronto al sacrificio proprio e dei propri apostoli, ma soprattutto perché troverebbe illogico, contrario al buon uso della ragione, mettere sullo stesso piano religioni del tutto diverse, finendo per negarle, a rigor di logica, tutte quante. Se infatti in matematica tanti sono gli errori possibili, ma uno solo il risultato giusto, così tante possono essere le vie, le religioni, inventate dagli uomini per salire a Dio, ma uno solo è il Dio sceso ad incontrare gli uomini e a portare loro il suo messaggio, a svelare chi è davvero Dio e chi è davvero l'uomo.
Ma le religioni non dovrebbero "allearsi contro il secolarismo oggi vincente"? A questa affermazione odierna, se potesse sentirla, Pascal risponderebbe non solo citando il I comandamento ("Non avrai altro Dio all'infuori di me") ma anche ricordando che lui è vissuto proprio alle origini del secolarismo, nel paese, la Francia, che più di tutti lo ha diffuso. Ebbene questo secolarismo, che oggi possiamo definire relativismo religioso ed etico, è nato proprio mettendo tutto, verità ed errori, sullo stesso piano. Esso è dunque figlio dello scetticismo, cioè dell'idea che la verità o non c'è o non va cercata, e del deismo, anch'esso originariamente seicentesco, che mantenendo Dio, ma negando Cristo, il "Dio con noi", ha funto da battistrada per l'ateismo.
L'unico antidoto allo scetticismo ed all'incredulità è allora l'idea secondo cui l'uomo è fatto, agostinianamente per la ricerca della Verità. Se l'uomo cerca, Dio lo troverà: "Consolati: tu non mi cercheresti, se non mi avessi trovato".

 
Titolo originale: Macron: il candidato figlio della situazione politica
Fonte: Corrispondenza Romana, 26/04/2017