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Il gesto pio e paziente dell'anziano sacerdote, i suoi occhi bassi, la fiduciosa devozione della giovinetta, un raggio di luce proveniente dall'alto... L'incantevole capolavoro di Giuseppe Molteni "La confessione", del 1838, trasmette la perfetta atmosfera di raccoglimento spirituale che dovrebbe permeare il sacramento della Riconciliazione. Tuttavia, l'opera costituisce anche un monumento al più antico, significativo e geniale strumento di conforto mai concepito al mondo. Parliamo dell'antico confessionale, pensato e voluto da San Carlo Borromeo, il cui principio di vita, non a caso, era che l'ordine interiore si raggiungesse attraverso l'ordine esteriore.
Fu lui, il cardinale nipote di Pio IV, ultimo papa del Concilio di Trento, che nelle sue "Istruzioni intorno alla Fabbrica ed alla suppellettile ecclesiastica", del 1577, diede precise indicazioni su come dovessero essere costruiti i primi confessionali. Si trattò della più efficace risposta alle critiche mosse da Lutero verso questo sacramento, che si svolgeva prima d'allora direttamente in casa del sacerdote, senza alcuna cautela.
LA GRATA E L'INGINOCCHIATOIO
I criteri emanati da San Carlo racchiudono, oltre a elevate intuizioni di natura spirituale, anche una serie di avanzatissimi accorgimenti di ordine sanitario e psicologico che riempiono di stupore. Innanzitutto, la struttura del confessionale consente di evitare ogni promiscuità fra il prete e la persona che si confessa. La visibilità esterna dell'intero corpo del penitente inginocchiato, il collocamento pubblico della cabina mettono al riparo non solo da ogni tentazione, ma anche da qualsiasi sospetto o maldicenza. La schermatura poi, aveva un po' la stessa funzione dei vetri che oggi, negli uffici, separano il pubblico dagli impiegati. Si trattava di un'intelligente protezione dalle malattie (specialmente dal contagio della peste) che anticipava di almeno tre secoli le scoperte della medicina. Il Borromeo aveva poi proibito di inserire nel confessionale cassette per le offerte, proprio perché fosse chiaro che l'assoluzione non poteva essere "comprata" con una donazione. Il doppio inginocchiatoio, oltre a donare simmetria armonica al mobile, rende possibile che i fedeli possano alternarsi a destra e a sinistra mostrando a tutta la navata se il posto è libero e facendo sì che la postura del sacerdote non permanga a lungo rivolta solo da una parte. Lo sportellino interno evita che il penitente in attesa possa percepire la confessione dell'altro e, mentre attende il suo turno, inginocchiato, può meditare per ricordare i suoi peccati. Vi è poi, soprattutto, la genialità dell'istituzione della grata che consente l'atto rituale di liberare la propria coscienza in un soffio di parole, "spifferando" il male compiuto all'orecchio del sacerdote, senza vederlo e senza farsi da lui vedere. Quanti rossori, quante lacrime hanno celato, per secoli, quelle grate d'ottone traforate a mano da antichi artigiani. Quanta libertà è stata concessa al penitente nel poter rivelare a un sacerdote, più o meno conosciuto, i propri peccati.
CONFESSIONE E PSICANALISI
Se il grande esegeta cattolico Gilbert Keith Chesterton scriveva: "La psicoanalisi è una confessione senza assoluzione", Carl Gustav Jung, fondatore della psicologia analitica, confermava che "i primordi di ogni trattamento analitico della psiche vanno ricercati nella confessione religiosa". Ovviamente si tratta di due mondi diversi, ma accomunati dal venire incontro a un'esigenza comune, la ricerca della pace interiore. Papa Benedetto XVI raccomandava: "Il prete non è uno psicologo dell'anima in quanto la psicologia è portata a giustificare e cercare attenuanti, mentre il senso di colpa resta". A tal proposito, mezzo secolo fa, il sacerdote-psichiatra Giambattista Torellò scrisse un libro intitolato "Psicanalisi e/o Confessione" (Ares 2007) che offre una visione chiara, sintetica ed equilibrata dei rapporti tra psicanalisi, confessione e direzione spirituale. Comunque sia, è un fatto che secoli prima che si cominciasse solamente a immaginare la psicoterapia, la Chiesa cattolica già offriva "un servizio d'ascolto" istituzionalizzato e materialmente strutturato per milioni di persone. Non sappiamo piuttosto se, nel mondo della psicoterapia, si sia mai sperimentata una soluzione tecnica cosi avanzata come quella della grata del confessionale, magari nell'ottica di assicurare maggiore libertà e comfort emotivo all'assistito attraverso il completo anonimato. Dopotutto, una delle resistenze più difficili da superare per il paziente è proprio quella di liberarsi completamente e senza vergogne di fronte al terapeuta (probabilmente, offrire lo stesso anonimato garantito dal sacramento cattolico non è praticabile, in quanto la psicoterapia non è un servizio gratuito). Chissà se San Carlo avesse intuito, già cinque secoli fa, quello di cui si occupano nello specifico alcune discipline recenti, ovvero lo studio del linguaggio più o meno volontario che esprimono gli occhi e la posizione del corpo. In una confessione vis-à-vis, questi segnali potrebbero sfuggire anche al più controllato dei confessori, veicolando una quantità di messaggi involontari e magari incutendo soggezione o vergogna al penitente.
UN COMPENDIO DI VISIBILITÀ E SEGRETEZZA
La grata costringe quindi il sacerdote e il fedele a una comunicazione intensa, priva della mimica facciale e della gestualità (se non quella ampia e riconoscibile del segno della croce). Questo tipo di comunicazione esclusivamente uditiva richiede maggiore concentrazione e impegno: lo dimostra il fatto che oggi le persone preferiscono molto più chattare sui social o mandarsi email piuttosto che parlare al telefono. Il confessionale è, dunque, un oggetto in cui convivono principi e tendenze del tutto contrapposti: esso garantisce il massimo della visibilità pubblica e il massimo della segretezza, la comunicazione più sincera e il maggiore distacco fisico. Del resto, il cristianesimo è la religione dell'et-et: gli opposti sono compossibili, come si conviene alla religione del vero Dio e vero Uomo. Tuttavia, nonostante il grande risalto dato alla confessione durante il Giubileo del 2000, già San Giovanni Paolo II si addolorava del fatto che sempre più credenti abbandonassero il sacramento per chiedere perdono dei peccati direttamente a Dio, secondo l'uso protestante. Per alcuni, questo progressivo abbandono è da porre in relazione anche al fatto che, dopo il Concilio Vaticano II, per asseriti motivi pastorali, si è instaurata una prassi che permette al confessore e al penitente di guardarsi in faccia. L'avvicinarsi al sacramento comporterebbe così maggiore vergogna e ritrosia tra i fedeli, tanto dallo scoraggiarne la pratica. Eppure, ancor oggi, secondo il Codice di diritto canonico, il sacramento deve celebrarsi in confessionali che si trovino "sempre in un luogo aperto, provvisti di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene". Inoltre, il Codice stabilisce che "non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per giusta causa".
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