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"Fr. Enzo Bianchi, Fr. Goffredo Boselli, Fr. Lino Breda e Sr. Antonella Casiraghi dovranno separarsi dalla Comunità Monastica di Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti". Con queste parole, un comunicato ufficiale pubblicato sul sito web ha confermato la notizia dell'allontanamento dello storico fondatore dalla nota realtà monastica interconfessionale. A disporlo, un decreto firmato lo scorso 13 maggio dal cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin ed approvato specificamente da papa Francesco.
La decisione arriva a conclusione dell'indagine portata avanti per quasi sei mesi dal benedettino Guillermo León Arboleda Tamayo, dall'abadessa cistercense Anne-Emmanuelle Devéche e dal padre canossiano Amedeo Cencini. Quest'ultimo, peraltro, è stato nominato Delegato Pontificio "ad nutum Sanctae Sedis" e sarà affiancato nell'esercizio dell'incarico da monsignor Marco Arnolfo, arcivescovo metropolita di Vercelli, e da monsignor José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
Proprio a questo dicastero è stata consegnata la relazione finale preparata dai tre religiosi spediti dal papa in Piemonte il 6 dicembre del 2019. Il Delegato Pontificio dovrà, ora, cercare di ricucire lo strappo e mettere Luciano Manicardi, priore dal gennaio del 2017, nelle condizioni di governare la Comunità senza più l'ombra ingombrante del suo fondatore.
IL CLAMOROSO ALLONTANAMENTO
Le tensioni che hanno portato al clamoroso allontanamento confermato in questi giorni, infatti, hanno origine con le dimissioni di Bianchi arrivate tre anni fa a più di mezzo secolo dall'inizio dell'esperienza solitaria partita in una frazione abbandonata di Magnano. L'ex priore lo aveva detto al momento del passo indietro: "La trasmissione dell'eredità tra generazioni è uno dei grandi problemi della nostra società".
Nel suo caso, il problema è diventato grande a tal punto da spingere papa Francesco - di cui è stato un entusiasta supporter fino ad oggi - prima a disporre la visita apostolica e poi il provvedimento più estremo di fronte al quale - a quanto pare di capire dal comunicato già soprammenzionato - alcuni destinatari avrebbero fatto resistenza, determinando così "una situazione di confusione e disagio ulteriori" che ha convinto i vertici di Bose a rompere il silenzio e confermare la notizia.
Alla base della cacciata dalla 'sua' creatura ci sarebbe l'incapacità ad accettare il pensionamento e l'affidamento del governo al successore: non a caso, nell'annuncio della visita apostolica fatto sei mesi fa dalla Comunità, si era parlato di "un passaggio che non può non essere delicato e per certi aspetti problematico per quanto riguarda l'esercizio dell'autorità, la gestione del governo e il clima fraterno". Clima fraterno che, per via delle presunte ingerenze del fondatore sull'esercizio dell'autorità di Manicardi, si sarebbe guastato al punto da far sì che l'apertura di un'indagine venisse richiesta al Vaticano dagli stessi membri della Comunità.
Le difficoltà a passare il testimone, d'altra parte, si potevano leggere tra le righe di un'intervista concessa da Bianchi a Repubblica - quotidiano di cui è anche editorialista ascoltato - il 27 gennaio del 2017: "gli anziani - disse al giornalista Paolo Griseri - non si fidano di passare la mano perché spesso loro stessi non hanno un indirizzo preciso da indicare ai successori. E così temono, forse a ragione, che i giovani finiscano per dissipare quest'eredità".
FONDATORE AUTORITARIO E INGOMBRANTE
Ma la situazione non doveva essere idilliaca nemmeno prima di quella data se è vero che la prima visita apostolica risale al 2014, quando fu lo stesso Bianchi a chiedere l'invio di due visitatori da lui scelti, padre Michel Van Parys e suor Anne-Emmanuelle Devêche - presente anche nell'ultima ispezione - e che al termine dei cinque mesi d'ispezione incoraggiarono l'allora priore a mantenere l'incarico per almeno altri due anni ma non nascosero nella relazione finale una sottolineatura piuttosto esplicita: "L'esercizio delle diverse autorità in comunità - scrissero - non sia autoritario ma trasparente e sinodale".
Canonicamente, Bose non è un ordine monastico dal momento che costituisce una comunità interconfessionale formata da uomini e donne e lo stesso fondatore è sempre voluto rimanere un laico, avendo frequentato un seminario soltanto per cinque giorni all'età di undici anni. Tuttavia la realtà piemontese è stata riconosciuta come associazione privata di fedeli nel 2001 dall'allora vescovo di Biella, monsignor Massimo Giustetti e questo status permette, quindi, l'esecuzione del provvedimento vaticano.
La Comunità nata nel 1965 è lungamente vissuta in una sorta di limbo canonico per via del suo carattere interconfessionale e della presenza mista di uomini e donne: nel 1967 l'allora vescovo di Ivrea, per via della presenza di un non cattolico, vietò le celebrazioni pubbliche. Un divieto, però, che fu vanificato de facto dal cardinale Pellegrino, all'epoca arcivescovo di Torino e grande protettore dell'esperienza fiorita in una cascina abbandonata, che si recò lui stesso a celebrarvi Messa e nel 1973 approvò la regola monastica nel giorno della professione dei primi sette fratelli membri.
La Santa Sede, avendo concesso lo status di "associazione privata di fedeli" dovrebbe riconoscere i soli membri cattolici della Comunità che sarebbero, quindi, i soli vincolati ai provvedimenti canonici, al contrario di quelli appartenenti alle altre confessioni. L'ex priore, oggi 77enne, con "grande amarezza" dovrà lasciare quel "sogno" che fece diventare realtà più di mezzo secolo fa e che gli ha fatto conquistare nel tempo l'apprezzamento di una parte importante del mondo culturale cosiddetto progressista e le critiche dei tanti che hanno giudicato pericoloso il modello interconfessionale da lui proposto. Cosa ne sarà, ora, di Bose senza il carisma del suo ingombrante fondatore?
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L'eretico priore di Bose
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