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Cominciano i titoli e già si sente una voce che narra «Francesco, va' e ripara la mia chiesa». E qui uno potrebbe anche andarsene, perché ha già capito dove si vuole andare a parare. Il finale è in stile: Bergoglio, appena eletto papa, rifiuta la tradizionale porpora con queste parole: «Il carnevale è finito». Infatti, come sappiamo, poi comincia quello della Pachamama. Stiamo parlando del film I due Papi con Anthony Hopkins (Benedetto XVI) e Jonathan Pryce (Francesco), quest'ultimo somigliantissimo.
E' un film Netflix, che sotto Natale fa il paio col Gesù omosex de La prima tentazione di Cristo (che fa il verso all'«ultima» di Scorsese) e che allinea Netflix al politicamente corretto. Per risparmiarvene la visione diciamo subito che il film spiega tutti misteri: Ratzinger si è dimesso perché ispirato da Dio a lasciare il posto a Bergoglio.
Sì, la Chiesa «dei divieti» ha bisogno di una svecchiata e deve cominciare quella dei permessi, delle liberalizzazioni e degli sdoganamenti. Il popolo non ne può più.
Infatti, tutte le volte che il cardinal Bergoglio si mischia alla gente al bar o per strada si sente dire che Benedetto XVI è «un nazista». Poi, curiosamente, durante un colloquio a quattr'occhi quasi rimprovera Ratzinger di avere gestito al vecchio modo la pratica di un ecclesiastico pedofilo. Gran parte della trama è una serie di flashback in cui si mostra un giovane Bergoglio troppo arrendevole con la dittatura anticomunista argentina.
E' in buonissima fede, ma ecco spiegato anche questo mistero, cioè perché papa Francesco in sette anni è stato dappertutto ma non è mai tornato nella sua patria: sarebbe malamente accolto dai preti «della liberazione» e dalla gente orbata di un futuro alla Cile di Allende. E giù inserti del muro tra Stati Uniti e Messico (non c'entra, ma la tentazione di dare una botta anche a Trump era forte). Appena eletto, in Cappella Sistina, a Bergoglio viene raccomandato di non dimenticarsi dei poveri, altra stilettata alla Chiesa di Ratzinger che, come tutti sanno, dei poveri non si è mai occupata.E giù statistiche un tanto al chilo: il 20% dell'umanità sfrutta tutti gli altri e pure le generazioni future, la famosa «economia che uccide». Per fortuna è arrivato Robin Hood. Il colloquio-scontro tra Benedetto XVI e il cardinale che viene dalle favelas (così nel film) comincia con la richiesta di dimissioni da parte di quest'ultimo. Perché? Perché, è inutile, «le riforme» nella Chiesa non saranno mai fatte. E poi: Ratzinger privo di senso dell'umorismo perché non capisce le barzellette che l'altro gli racconta, quest'ultimo che fischietta Dancing Queen degli Abba (invito alla discoteca rivolto alle adolescenti) e quello, retrivo, che gli chiede che inno è; l'argentino ama il calcio e il tedesco solo la musica classica; insomma la Chiesa preconciliare chiusa al soffio dello Spirito.Che poi, nel film, sarebbe un taglia-e-cuci di slogan: ponti e non muri, accoglienza, no ai formalismi, eucarestia medicina per peccatori e non premio per perfetti, apertura ai tempi che cambiano. A un certo punto, come a mettere la firma, viene inserito il canto di Bella ciao in versione quartetto d'archi. Happy end: i due papi guardano la partita Germania-Argentina alla tivù. La vecchia Chiesa e la nuova si sono riconciliate.Nel senso che la vecchia si è finalmente tolta di torno e ha capito qual sia il vero cristianesimo. A proposito: i cineasti non leggono la Bussola, sennò non avrebbero messo una Fanta in mano ai due mentre mangiano la pizza (la sigla fu inventata in tempi di autarchia bellica tedesca, come il maggiolino Volkswagen). La performance dei due attori è superlativa, certo, ma l'unica battuta che val la pena di conservare di tutto il film è questa: chi sposa un'epoca resta vedovo nella successiva.
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