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Il tipico argomento di chi difende le censure di Twitter e Facebook, nei confronti di Trump, ma anche di milioni di altri ordinari utenti e ieri anche del quotidiano Libero: sono compagnie private, hanno il diritto di bandire chi vogliono dal sito di loro proprietà, se non accetti le loro condizioni vai pure su un altro social network. Bene, almeno l'ultima parte di questo argomento è stata smentita in questo fine settimana: un "altro social network", nello specifico Parler, è stato letteralmente cancellato dal Web. Non è stata necessaria una legge che istituisse la censura e neppure si è dovuta attendere la sentenza di un magistrato. È stato cancellato con cinque click da cinque delle maggiori compagnie che operano nella rete. Adesso è letteralmente impossibile iscriversi a Parler, gli account personali sono irraggiungibili e la strada per tornare online si presenta lunga e difficile. L'accusa che ha scatenato questo linciaggio online è la più grave del momento: aver ospitato sostenitori di Trump anche nel giorno dell'assalto al Campidoglio. Ma i ben informati sapevano che l'eliminazione fisica di Parler dal Web era nell'aria da mesi, almeno da novembre, dopo la sua improvvisa crescita a seguito delle elezioni americane, con tutti i numerosi interventi a gamba tesa dei grandi social network.
Parler venne fondato nel 2018 da due ingegneri del Nevada, John Matze e Jared Thomson. Parler non rivela i nomi di tutti i suoi proprietari, a parte John Matze che tuttora è amministratore delegato. Rebekah Mercer, investitrice e Dan Bongino, commentatore politico, entrambi di area conservatrice, hanno affermato di essere fra i proprietari. L'ispirazione conservatrice all'inizio del progetto era abbastanza chiara, Parler si proponeva come alternativa a Twitter, nel momento in cui quest'ultimo aveva fatto chiaramente una scelta di campo ed era sempre più invadente sui contenuti. Il conservatorismo era però più nel metodo che nel merito. Su Parler non si censuravano i liberal e non li si tormentava con messaggini di precisazioni dei "fact-checkers indipendenti", semplicemente ognuno poteva dire quel che voleva, bastava che non fossero reati come minacce, spam, attività criminali. I moderatori c'erano, ma erano giudici più che "costruttori di un mondo migliore" come spesso si atteggiano i social network rivali. L'ingresso era comunque aperto a tutti, ma negli ultimi due anni Parler ha attratto, da Nigel Farage in avanti, soprattutto il mondo conservatore anglosassone, stanco di vedere i propri profili bannati da Twitter.
DISTRUTTO ALL'APICE DEL SUO SUCCESSO
L'avventura è praticamente conclusa all'alba del 2021, non perché Parler sia fallito, ma proprio all'apice del suo successo. Dopo le elezioni americane, quando Facebook e Twitter hanno iniziato ad oscurare il profilo di Donald Trump, a censurare o ad aggiungre commenti alle notizie sui sospetti di brogli, a cancellare tutte le notizie che avrebbero messo in difficoltà Biden (a partire dallo scoop del New York Post su Hunter Biden), centinaia di migliaia di persone hanno iniziato a trasmigrare su Parler. In novembre ha raggiunto il picco di 10 milioni di utenti, di cui 4 milioni attivi. E le voci su una "punizione" a Parler da parte dei giganti del Web è iniziata proprio a novembre.
Il linciaggio online è puntualmente arrivato, con una rapidità sorprendente. Venerdì 8 gennaio Google ha escluso Parler dal suo sistema e dal suo catalogo, rendendolo incompatibile anche con i cellulari che usano il sistema operativo Android. Il giorno dopo, il social network è stato escluso da Apple e infine domenica 10 Amazon (che ne ospitava il sito Web) ha informato Matze che avrebbe cessato il servizio unilateralmente. Nel giro di un fine settimana, un social network promettente e in espansione ha di fatto cessato di esistere. Come se non bastasse anche altre compagnie lo hanno tagliato fuori: Okta Inc ha chiuso fuori Parler rendendolo incompatibile con i software delle maggiori compagnie e Twilio Inc ha chiuso il suo servizio di autenticazione a due fattori usato da Parler. "Ogni venditore, dai servizi di messaggistica ai provider della posta elettronica, fino ai nostri avvocati, tutti ci hanno buttato via nello stesso giorno", ha dichiarato l'amministratore delegato John Matze a Fox News, affermando anche di non voler più tornare a casa perché sta ricevendo concrete minacce di morte.
L'INTOLLERANZA DEI ''TOLLERANTI''
I motivi di questa esclusione dal Web citati dai protagonisti sono abbastanza impressionanti. Viene citato soprattutto l'assalto al Campidoglio, che sarebbe stato organizzato su Parler, poi minacce di morte nei confronti del vicepresidente Mike Pence, l'organizzazione di una nuova rivolta il prossimo 19 gennaio, alla vigilia dell'insediamento di Biden. La portavoce di Parler, Amy Peikoff, si difende affermando: "Abbiamo puntualmente affrontato questo tipo di contenuti e abbiamo lavorato attivamente per settimane con le forze dell'ordine". Lo aveva riferito anche ad Amazon ricevendo una risposta incoraggiante. La notizia dell'esclusione dai suoi servizi, che a detta di Matze è arrivata come un fulmine a ciel sereno, è stata a maggior ragione incomprensibile. Attualmente Parler (con gli avvocati che restano) sta facendo causa ad Amazon, accusando il gigante di Seattle di aver agito per motivi politici contro i termini contrattuali. Ma la battaglia si preannuncia difficile, così come è ardua la strada di un eventuale ritorno online del social network "conservatore", che dovrebbe costruire da zero un'infrastruttura tutta sua. Sempre che gliela lascino costruire.
Le difficoltà di moderazione e la presenza di contenuti violenti, segnalata come un problema di Parler, sono tipiche di ogni social network e diventano insormontabili a fronte di un aumento improvviso di utenti. Sui social network Twitter e Facebook si sono fatte le Primavere Arabe, sono stati reclutati jihadisti, sono tuttora presenti scafisti del Mediterraneo, dittatori hanno i loro profili istituzionali sulle loro piattaforme. Gli "standard della community" erano compatibili con le rivolte di Black Lives Matter (19 morti e centinaia di feriti), anzi i colossi del Web si sono fatti promotori della loro causa. Così come sugli stessi social network Twitter e Facebook sono circolate le minacce rivolte al professor Samuel Paty, conclusesi con la sua decapitazione a Parigi. Non si spiega come mai sia stato applicato tanto rigore proprio per Parler. La sua unica vera differenza era l'ostentata tolleranza politica. Quel modo di porsi come rifugio sicuro per i bannati da Twitter, a cui offriva una filosofia opposta: "sii libero di parlare e pensa come vuoi". Nell'era della tolleranza liberal questo atteggiamento è inammissibile.
MA C'È DI PEGGIO ED È LA PROSPETTIVA FUTURA
La distruzione di un social network rivale può essere un inquietante segnale: non puoi sfuggire al controllo di chi sta attualmente occupando una posizione dominante. Non solo devi seguire le loro regole, ma non puoi neppure emigrare credendo di farla franca. Twitter e Facebook sono privati, anche se flirtano visibilmente con una parte politica che, dal 20 gennaio, sarà al governo della prima potenza mondiale. Gli Stati imparano molto in fretta ad applicare i metodi che ora sono stati usati da privati contro un social network rivale. Ricordiamoli ancora: nessuna legge, nessun processo, solo un click e la tua attività è distrutta. Più la nostra identità sarà digitalizzata (non solo l'attività ludica e lavorativa, ma anche il denaro e i documenti di identità), più le conseguenze personali saranno gravi. In Cina già lo fanno, non solo con i social o con i profili degli utenti, ma con le persone in carne ed ossa: una parola di troppo e assieme al profilo di WeChat (social pressoché unico per gli utenti cinesi) viene cancellato anche l'accesso al conto corrente dell'utente e la sua identità digitale, diventa un pariah ridotto alla miseria e all'immobilità. Quindi, sì: abbiamo diritto di avere timore di questi sviluppi.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Stefano Magni, nell'articolo seguente dal titolo "Impeachment per Trump. Ostracizzato il presidente" sottolinea che la Camera del Congresso ha battuto due record: la procedura di impeachment più rapida della storia e la prima volta di un presidente che viene "impeachato" due volte.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 14 gennaio 2021:
Con un voto di 232 a 197, la Camera del Congresso statunitense ha approvato il secondo impeachment per Donald Trump. E ha battuto due record in uno: la procedura di impeachment più rapida della storia e la prima volta di un presidente che viene "impeachato" due volte nel corso del suo mandato. Nancy Pelosi, simbolicamente, ha indossato lo stesso vestito che portava durante il voto del primo impeachment, risalente ad appena 13 mesi fa. Ma è conforme alla Costituzione quel che è successo?
I Democratici hanno subito giocato la carta dell'impeachment non appena hanno consolidato la loro maggioranza alla Camera nel 2019, dopo le elezioni di medio termine. Avevano colto la palla al balzo per una telefonata di Trump al presidente ucraino Zelensky in cui pareva ricattarlo perché investigasse sugli affari di Hunter Biden, figlio di Joe Biden, attuale presidente eletto. Già allora la procedura di impeachment era apparsa molto fragile, basata su testimonianze e pareri più che su solide prove (nulla a che vedere con l'impeachment a Nixon nel 1974 che fu l'esito di un'indagine molto più complessa). E infatti i Democratici, in quel caso, non sono riusciti a convincere nessun repubblicano: il voto per l'impeachment era passato alla Camera solo perché avevano la maggioranza semplice, ma in Senato i Repubblicani hanno fermato il processo. In questo caso, l'impeachment appare più che altro come un voto per ostracizzare il presidente uscente e nulla di più. Forti della loro maggioranza, a cui si sono aggiunti dieci deputati repubblicani dissidenti (fra cui Liz Cheney, figlia dell'ex vicepresidente Dick Cheney), i Democratici hanno condotto una procedura-lampo, senza istituire commissioni di inchiesta, senza condurre indagini, senza neppure organizzare audizioni dei testimoni.
L'accusa si basa unicamente sulla responsabilità "oggettiva" di Donald Trump per l'irruzione in Campidoglio di un gruppo di suoi sostenitori. Le indagini a carico di 170 sospetti sono appena incominciate. Non si conosce ancora di preciso per quale motivo la polizia abbia rimosso le transenne e fatto entrare i facinorosi. Non si sa ancora quale sia stato (sempre che vi sia stato) il ruolo di possibili infiltrati nelle manifestazioni. L'unica prova su cui si basa l'accusa è il discorso di Trump del 6 gennaio, che viene visto come un'istigazione diretta a compiere l'incursione, ma non sono stati dimostrati ordini diretti del presidente ai suoi sostenitori, tantomeno si intravvede una regia del presidente nella pianificazione dell'azione.
Il voto per l'impeachment ha dunque un significato politico doppio. Per i Democratici si tratta dell'ultimo tentativo (al fotofinish) di sbarazzarsi di un avversario molto pericoloso per loro, del primo candidato repubblicano che è riuscito a contendere alla sinistra il voto di latinos, afro-americani e asiatici. Per una parte dei Repubblicani della vecchia guardia, invece, è l'ultima occasione per sbarazzarsi di un leader piovuto dal mondo esterno, completamente estraneo al Grand Old Party, ma capace di dominarlo completamente per quattro anni, ottenendo risultati storici in termini di voti e popolarità.
Adesso la parola passa al Senato, dove è necessaria una maggioranza qualificata per la messa in stato d'accusa del presidente. Si potrebbe votare anche il 19, ultimo giorno del suo mandato, a riprova del fatto che l'obiettivo non è quello di rimuovere Trump dal suo incarico, ma di distruggere il suo futuro politico. Con un voto separato, in cui è richiesta una maggioranza semplice, si deciderà anche se vietare esplicitamente future candidature di "The Donald". In Senato, dove la maggioranza è ancora repubblicana (fino al 19 gennaio), potrebbe essere l'ultima occasione, per molti Repubblicani dissidenti (e ne bastano 17 per arrivare alla maggioranza qualificata), di sbarazzarsi di un avversario interno che li ha finora completamente eclissati, accentrando su di sé tutta l'attenzione che prima era riservata al Gop.
Se il Senato confermasse, si completerebbe la procedura di impeachment più veloce della storia. Ma a perderci non sarebbe solo Trump, ma anche la credibilità delle istituzioni americane. Sarebbe la dimostrazione che, con la giusta maggioranza e il necessario odio, si può rimuovere un presidente con un semplice doppio voto. È ostracismo, più che un impeachment.
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