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Pur attivo e informato vaticanista per il Giornale, l’ancor giovane Andrea Tornielli pubblica libri da storico professionista: volumi imponenti e rigorosi, con ampi corredi bibliografici e fonti spesso inedite. Tra questi, un paio di anni fa, per Mondadori, un Pio XII che è stato tradotto in varie lingue. In effetti, lontano da invettive e indignazioni, ma con la forza dei documenti, Tornielli sgretolava le “leggende nere” create ad arte sulla figura di quel grande pontefice, molti anni dopo una morte che era stata accompagnata dall’omaggio riconoscente e unanime delle comunità ebraiche e dei governanti israeliani. Dopo il papa diffamato, ecco ora il papa incompreso. Dopo il Pastor angelicus (come fu chiamato, sulla scorta dei motti attribuiti ai papi dallo pseudo Malachia ), ecco colui nell’immaginario corrente è una sorta di “Amleto bresciano“, uomo di dubbi ed esitazioni più che di certezze e di decisioni. Anche qui –in più di settecento, fitte pagine, ancora per i tipi di Mondadori- Tornielli smonta molti clichés e pregiudizi attorno a Paolo VI. Non caso, in copertina, sotto il nome del biografato, il sottotitolo dice: “L’audacia di un papa”.
Il pontificato di Giovanni Battista Montini è stato non solo largamente incompreso ma anche quasi dimenticato, come schiacciato da coloro che lo hanno preceduto e seguito sul trono di Pietro. Successore, infatti di Giovanni XXIII, il “papa buono” per eccellenza, nella voce popolare; ma anche predecessore di colui che, subito dopo la morte, fu acclamato dal mondo come “Karol il Grande”. Straordinari carismi di due straordinarie figure, alle quali Montini poteva opporre solo doti meno recepite dalle folle: la discrezione, la prudenza, la sobrietà, la modestia, l’attitudine all’ascolto, il gusto della meditazione, la vastissima cultura non soltanto religiosa, il rispetto delicato per ogni persona. Non solo: Paolo VI è stato (ed è tuttora) incompreso e magari avversato sia da sinistra che da destra. Per dirla con Tornielli : “I progressisti lo sospettano di avere tarpato le ali al Concilio, soffocandone le speranze e frenandone gli slanci, mentre i conservatori gli attribuiscono la responsabilità della crisi della Chiesa, della riforma liturgica, della fuga in massa di preti e suore, della caduta delle vocazioni”.
In realtà, la tempra dell’uomo, la mente lucida, la mano decisa pur dietro modi cortesi e apparenze soft, sono testimoniate da un’ impresa di portata storica. Papa Roncalli aveva indetto il Vaticano II seguendo, disse, una ispirazione dall’Alto, ma contando su uno svolgimento di pochi mesi e sulla approvazione all’unanimità degli schemi preparati dalla Curia romana. Alla fine, a suggello dei lavori, Giovanni XXIII aveva previsto - e va ricordato a chi ne deforma la personalità vera, spacciandolo per “progressista” - la proclamazione, per acclamazione, della santità di Pio IX, di colui cioè che aveva dovuto interrompere, per l’aggressione risorgimentale, il Concilio che solo ora si portava a compimento. In realtà gli schemi approvati e proposti da Roncalli e Ottaviani furono, a sorpresa, respinti dall’assemblea conciliare (il giovane teologo Joseph Ratzinger fu tra coloro che si segnalarono per il netto rifiuto), i mesi diventarono anni e l’unanimità prevista si rovesciò in duri confronti tra opposte fazioni. Quando Roncalli morì, dopo la prima sessione, un cardinale osservò: “Ha lasciato porte e finestre spalancate a ogni vento, non c’è da invidiare chi dovrà cercare di chiuderle”. Quel compito ingrato toccò al presunto “amletico Montini”, il quale non solo seppe governare la barca della Chiesa tra i flutti della contestazione clericale e del Sessantotto laico, ma riuscì addirittura a concludere i lavori conciliari con quella unanimità che era sembrata utopica. Una concordia che si ruppe subito dopo, non soltanto nel confronto tra le due ali estreme, ma anche nello sconcerto, nella caduta della tensione spirituale, nella confusione dottrinale che parvero contaminare la Chiesa intera. Qui pure, però -e Tornielli lo mostra in modo inequivocabile- Montini sofferse, ma non subì rassegnato gli eventi, fece il possibile per governare la transizione, mai cedendo là dove la fede stessa era minacciata. Alla pari di papa Giovanni, anche per lui il “dialogo” non era un fine ma uno strumento per il rilancio della evangelizzazione. Apertura al mondo sì, ma per favorire la missione agli uomini moderni. Papa “di sinistra”? Alla tradizione familiare antifascista univa un saldo anticomunismo: una DC “alla De Gasperi”, che governasse da sola, sarebbe stato il suo ideale e solo in nome della Realpolitik, come necessità imposta dai tempi accettò l’apertura ai socialisti. Singolare “progressista” che, appena eletto, si affretta a togliere le censure imposte da papa Giovanni a padre Pio, icona del cattolicesimo pre-conciliare, e che definisce “sconsiderato” (pur affermandogli di volergli bene) don Primo Mazzolari, visto come un profeta dalla contestazione ecclesiale. Uomo, comunque, che bontà e comprensione portano a pregare per la salvezza eterna di Pasolini, a mandare una privatissima lettera manoscritta a Pietro Nenni dopo la morte della moglie, ad annunciare dalla finestra le sue orazioni per Togliatti colpito da ictus in Crimea, a soffrire anche fisicamente per ogni guerra e miseria.
Contro i teorici del “declino” del cattolicesimo, molti storici imparziali osservano che gli undici papi succedutisi da Pio IX sono state, tutte, figure non solo di rilievo culturale ma anche di grandi virtù umane e cristiane: in effetti, alcuni già sono beati e santi e altri lo diverranno. Paolo VI figura assai degnamente in questa serie straordinaria: lo confermano queste fitte pagine di Andrea Tornielli, dove la precisione dello storico convive con il gusto per l’aneddoto del giornalista.
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