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Il 2 aprile 2025, in quello che ha definito il "Giorno della Liberazione", il presidente americano Donald Trump ha annunciato l'introduzione di un dazio universale del 10% su tutte le importazioni negli Stati Uniti. Inoltre, ha imposto tariffe più elevate su 57 partner commerciali, giustificando queste misure come necessarie per correggere pratiche commerciali considerate sleali e per riequilibrare la bilancia commerciale statunitense.
L'iniziativa di Trump ha provocato sconcerto e proteste in tutto il mondo, ma non è in sé scandalosa. I dazi, in inglese Tarifs, sono un classico strumento del protezionismo, che è la politica economica adottata da uno Stato per proteggere le proprie industrie e produzioni nazionali dalla concorrenza estera. Ciò avviene attraverso l'applicazione di imposte indirette sulle merci che attraversano i confini di uno Stato, sia in importazione che in esportazione. I prodotti esteri divengono a questo punto meno competitivi rispetto a quelli locali.
Al protezionismo si oppone la politica economica del libero scambio, che considera nociva per uno Stato ogni barriera opposta al commercio internazionale. Il più conosciuto teorico del libero scambio è l'economista britannico Davide Ricardo (1772-1823). Tutti gli studenti di economia conoscono la sua teoria dei vantaggi comparati, secondo la quale ogni paese può trarre vantaggio dal commercio internazionale, poiché gli scambi tra paesi favoriscono la specializzazione produttiva e permettono una maggior produzione a livello mondiale.
A Ricardo si oppose il suo contemporaneo tedesco Friedrich List (1789-1846), favorevole all'utilizzazione di dazi e di interventi statali, soprattutto per proteggere le industrie nascenti. La tesi dell'industria nascente, elaborata da List era stata enunciata per la prima volta dal segretario al Tesoro degli Stati Uniti Alexander Hamilton (1755-1804) con l'obiettivo di costruire una nazione forte partendo da un'industria solida e autonoma.
FIN DALLA NASCITA
Fin dalla loro nascita gli Stati Uniti adottarono politiche protezioniste per sostenere lo sviluppo industriale interno contro la concorrenza europea, soprattutto britannica. La Tariff Act, la legge sui dazi del 1789, fu uno dei primi strumenti approvati dal Congresso statunitense dopo l'indipendenza. Per quasi un secolo, almeno fino alla Guerra civile (1861-1865), l'applicazione di dazi su tutti i prodotti importati era la principale fonte di entrate per il governo federale. La legge dei dazi del 1930 (Smoot-Hawley Tariff Act), voluta dal presidente Herbert Hoover per proteggere l'economia americana dalla Grande Depressione, non risolse però la crisi globale e avviò una fase di declino del protezionismo.
Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti guidarono la costruzione di un nuovo ordine economico internazionale basato sulla liberalizzazione degli scambi. Furono tra i principali promotori del GATT (poi divenuto WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio) e firmarono numerosi accordi di libero commercio, tra cui il NAFTA con Canada e Messico. Il Trattato di Maastricht del 1992 inserì l'Europa in questo processo di globalizzazione che sarebbe dovuto avvenire attraverso l'abbattimento delle frontiere e la mondializzazione dei mercati.
Gli anni 2000 hanno visto però la crisi del nuovo ordine mondiale, che si sta capovolgendo in un grande disordine internazionale. La pandemia del Covid ha inferto un duro colpo alla globalizzazione, costringendo gli Stati nazionali a imporre forti restrizioni alla libertà di circolazione dei propri cittadini. L'Europa è stata in prima linea e le sue proteste europee contro le barriere commerciali rivelano una buona dose di ipocrisia. Negli ultimi anni, infatti, l'Unione Europea si è messa alla testa della Green economy contro il cambiamento climatico. Tra le sue politiche prioritarie spicca il cosiddetto "protezionismo verde", ossia l'uso di politiche ambientali (come tasse sulle emissioni, regolamenti climatici, standard verdi) che, limitano o condizionano l'importazione di beni da paesi terzi. Questa politica economica non si ispira alla logica liberista di Davide Ricardo, ma a quella protezionista di Friedrich List, perché protegge le industrie strategiche in nome di un "fine superiore" o di un'"emergenza", che ieri era lo sviluppo industriale, oggi è il cambiamento climatico. In pratica, è una forma di protezionismo commerciale mascherato da tutela ambientale.
ANCHE BIDEN E L'EUROPA IMPONGONO DAZI
Anche l'amministrazione Biden, si è servita di misure protezionistiche, per realizzare la Green Economy. L'Inflation Reduction Act, approvato negli Stati Uniti nel 2022, prevede centinaia di miliardi di dollari in sussidi per le imprese che producono tecnologie verdi (come auto elettriche, pannelli solari e batterie), se parte della produzione avviene sul suolo americano. Si tratta di una forma evidente di protezionismo.
Il mito della globalizzazione sembra ormai alle nostre spalle. La prima presidenza di Donald Trump (2017-2021) ha segnato un ritorno al protezionismo, con l'imposizione di dazi su acciaio, alluminio e beni cinesi, nel tentativo di ridurre il deficit commerciale. Nel discorso di insediamento alla Casa Bianca del 20 gennaio 2025, che ha inaugurato il suo secondo mandato, Trump si è richiamato al 25esimo presidente americano William McKinley (1843-1901), "padre" di un'ondata di dazi, approvata nel 1890, che avrebbe contribuito alla "Gilded Age" americana.
La guerra tariffaria di Donald Trump deve lasciarci dunque tranquilli e soddisfatti? Non è così. Dopo la caduta del muro di Berlino, è stato creato, in nome della "Repubblica Universale", un mondo fragile e interdipendente. Un intervento troppo forte su questo sistema debole può creare un effetto domino, scatenando una serie di crisi sistemiche che, alimentandosi a vicenda, possono produrre un collasso economico planetario. Va ricordato che l'economia non è solo fatta di numeri e algoritmi. I mercati sono profondamente emotivi e le decisioni economiche sono spesso basate, non solo su ciò che sta accadendo, ma su cosa si crede accadrà. La grande crisi del 1929 fu causata soprattutto da un crollo di fiducia che si trasformò in panico collettivo.
La pandemia ha lasciato profonde tensioni che ancora oggi si ripercuotono sulla psicologia dei popoli. In Europa la guerra russo-ucraina e l'immigrazione incontrollata hanno contribuito ad accrescere questa instabilità psicologica, che può rapidamente portare alla destabilizzazione politica ed economica, e quindi al caos. La civiltà moderna, nata trionfante sulle macerie di quella medievale, sembra vicina al suo crollo, ma il ritorno all'ordine o sarà religioso e morale, o non sarà.
CINQUE FALSITA' SUI DAZI DI TRUMP + TRE CONSIGLI ALL'EUROPA (CHE I BUROCRATI IGNORERANNO)
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