APPROVATA IN KENYA LA NUOVA COSTITUZIONE
Il paradosso della istituzione delle corti islamiche su tutto il territorio in un Paese a maggioranza cristiana
di Paolo Perego
Non nascondono l’amarezza le lenti brunite degli occhiali. Eppure nelle parole del cardinale arcivescovo di Nairobi, John Njue, non c’è scoramento. O rassegnazione, come ci si aspetterebbe. Keniota, 66 anni. Ha appena letto gli ultimi sondaggi che danno per certa la vittoria del sì al referendum sulla nuova Costituzione. Che la Chiesa locale ha dichiarato «inaccettabile». «Nel 2005 il Paese era diviso e la riforma non era andata in porto – sottolinea –. Con le elezioni del 2007 e il nuovo governo di coalizione le cose sono cambiate. Oggi la nuova Costituzione trova l’appoggio di una larga maggioranza del Parlamento. Come Chiesa abbiamo partecipato a più tavoli di discussione. Ma non siamo mai stati presi in considerazione ».
QUALI I NODI PRINCIPALI?
Chiariamo: non siamo contro a priori. Ma su questioni come l’aborto, vietato in generale, salvo poi introdurre deroghe ambigue che spalancherebbero le porte a una prassi sregolata; o l’affermazione del diritto di unione per le coppie eterosessuali, senza definire quale status potrebbero avere altri tipi di rapporto minando il concetto di famiglia; o ancora, l’istituzione delle Corti islamiche su tutto il territorio, per cui l’islam sarebbe l’unica confessione citata nel testo, in un Paese a maggioranza cristiana. Ecco, tutto questo non possiamo accettarlo. Tanti, invece, pensano che sia una ventata di novità. Anche molti cattolici sono favorevoli. Ma non sanno cosa c’è in gioco davvero. Non c’è informazione, e sono in pochi a dire la verità.
COME VI STATE MUOVENDO?
Educhiamo. Cerchiamo di risvegliare la responsabilità della gente. Per questo ho chiesto alle parrocchie di organizzare incontri con esperti: per dare alle persone elementi di giudizio. La responsabilità si gioca a livello della fede. E proprio la maturità della fede, che rende capaci di giudizio di fronte alle cose, oggi è messa alla prova. Per questo il punto non è che i cattolici votino no in modo ideologico. È una sfida che rimarrà aperta anche dopo il referendum, qualunque sia l’esito delle votazioni. Il seme della fede è stato piantato dai primi missionari che arrivarono qui. A noi è chiesto di continuare a farlo maturare. Anche imparando a leggere i segni tempi. Solo così si potrà reagire. Ma sempre sostenuti dalla fede.
Fonte: Avvenire, 04/08/10
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