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« Torna agli articoli di Gianteo Bordero
Papa Ratzinger non è mai banale. Neppure quando, seguendo il protocollo, fa memoria di un suo predecessore a trent'anni dalla morte. E' accaduto domenica durante l'Angelus recitato a Bressanone, dove Benedetto XVI ha deciso di trascorrere (come faceva quando ancora era cardinale) un breve periodo di vacanza. Il predecessore in questione è Paolo VI, morto il 6 agosto 1978 nella residenza estiva di Castel Gandolfo all'età di 81 anni, dopo tre lustri di pontificato.
Con poche parole Ratzinger ha fornito una nuova chiave di lettura per interpretare uno dei papati più difficili e controversi della storia della Chiesa. Difficili perché dipanatosi a cavallo del Concilio Vaticano II e di tutto ciò che, nel bene e nel male, ne seguì. Controversi perché la figura di Giovanni Battista Montini trova paradossalmente critici, nel mondo ecclesiale, sia a «sinistra» che a «destra». La prima lo accusa di aver impedito, in particolare con l'enciclica Humanae vitae del 1968, una evoluzione della Chiesa in materia di morale sessuale; la seconda gli imputa un eccesso di «apertura al moderno» e prende di mira soprattutto la riforma liturgica del 1969.
Paolo VI, in realtà, fu altro rispetto agli schemi con cui solitamente viene giudicato il suo pontificato - cioè con le solite, trite e ritrite categorie di «progressista» e «conservatore». Fu l'uomo, secondo quanto affermato da Benedetto XVI domenica, «inviato dalla Divina Provvidenza a Roma nel momento più delicato del Concilio, quando l'intuizione del beato Giovanni XXIII rischiava di non prendere forma». Ratzinger non scende nel dettaglio, non ci dice quale sia stato «il momento più delicato» del Vaticano II. Ma è lecito ipotizzare (anche basandosi sulle riflessioni critiche dell'attuale pontefice in merito al Concilio, sviluppate già a partire dai primi anni successivi all'evento) che egli faccia riferimento al momento in cui una parte dei suoi colleghi teologi e dei vescovi tentò di scardinare, con un documento sulla collegialità nella Chiesa da far approvare all'assemblea conciliare, il primato papale e, con esso, la stessa essenza petrina del cattolicesimo.
Fu allora che Paolo VI, compresa la delicatezza del momento e i pericoli di autodistruzione a cui sarebbe andata incontro la Chiesa, decise di formulare una Nota praevia da accompagnare alla Costituzione dogmatica Lumen gentium. Nella Nota si ribadiva che la parola «collegio» non va intesa in senso «strettamente giuridico» (cioè «di un gruppo di eguali, i quali abbiano demandata la loro potestà al loro presidente») e che non vi è «uguaglianza tra il capo e le membra del collegio», tra il Papa e i vescovi. Montini precisava inoltre che il pontefice, «nell'ordinare, promuovere, approvare l'esercizio collegiale, procede secondo la propria discrezione, avendo di mira il bene della Chiesa. Il sommo pontefice, quale pastore supremo della Chiesa, può esercitare la propria potestà in ogni tempo a sua discrezione, come è richiesto dallo stesso suo ufficio».
La Nota praevia costituì un'autentica opera di salvataggio della barca di Pietro, che rischiava allora di essere sommersa dalle onde di una mentalità che voleva a tutti i costi trasformarla in una qualsiasi istituzione moderna e mondana, mettendo in secondo piano il mistero della presenza di Cristo in essa. Lo stesso Papa Montini, qualche anno dopo, fece capire quanto duri e drammatici furono quei momenti quando, nella sorpresa generale, affermò che «si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E' venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio... Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio». Era il 29 giugno del 1972, festa di San Pietro. Festa del primo Papa. Che quella «fessura» dalla quale il Demonio aveva fatto capolino non fosse proprio il testo sulla collegialità a cui il pontefice aveva allegato la sua Nota?
Sia come sia, è da qui - da questa drammaticità - che bisogna partire per comprendere la figura e il magistero di Paolo VI. Tant'è vero che Benedetto XVI, a Bressanone, ha concluso il suo ricordo di Papa Montini affermando: «Man mano che il nostro sguardo sul passato si fa più largo e consapevole, appare sempre più grande, direi quasi sovrumano, il merito di Paolo VI nel presiedere l'Assise conciliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movimentata fase del post-Concilio». «Quasi sovrumano», dice Ratzinger. Sono parole che rendono finalmente giustizia a un Papa che governò la Chiesa in piena tempesta e seppe, tra infiniti dolori e sofferenze spirituali, mantenere al centro il timone affidatogli da Gesù.
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