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« Torna agli articoli di Aldo
Nata con la spina bifida, i medici le concessero sessanta secondi di vita. Ora ha compiuto sessant'anni. È la storia di Carmel Proctor, nata a Doncaster, in Gran Bretagna, l'8 agosto del 1960 e alla quale fu diagnosticata appunto una grave forma di spina bifida, chiamata mielomeningocele.
"Morirà in pochi secondi, massimo un minuto", fu la predizione dei medici subito dopo la nascita di Carmel, e invece la bimba tenne duro.
Spiega Carmel: "Stavo molto male, tanto che i miei genitori mi avrebbero detto più tardi che non dovevo durare nemmeno sessanta secondi. Il medico di famiglia però aveva sentito parlare di un chirurgo dello Sheffield Children's Hospital che stava sperimentando un trattamento pionieristico per i bambini affetti da spina bifida. Due giorni dopo ero sotto i ferri. Fui curata dal chirurgo, e sottoposta a controlli, fino all'età di sedici anni".
"Auguriamo a Carmel molti anni felici", ha detto Michael Robinson, direttore delle comunicazioni della Society for the Protection of Unborn Children. "Ma non dimentichiamo quei bambini non nati il cui futuro è stato strappato via dall'aborto a causa di una diagnosi di disabilità. In realtà molte persone affette da queste malattie raggiungono i loro obiettivi e conducono una vita di soddisfazione e felicità. Ogni persona merita una possibilità di vivere, indipendentemente dalle capacità di partenza".
"Durante il solo 2019 - ricorda il rappresentante della Spuc - in Inghilterra e nel Galles 3863 bambini sono stati uccisi dall'aborto perché risultati affetti da un'anomalia fetale. Centodiciotto di questi bambini non nati avevano, come Carmel, la spina bifida. Storie come quella di Carmel dimostrano che la previsione di un medico non sempre è corretta. Carmel ha avuto la possibilità di vivere, ma tanti altri come lei no".
Per il suo sessantesimo compleanno Carmel Proctor ha organizzato un evento sponsorizzato per raccogliere fondi da destinare all'ospedale pediatrico che si prese cura di lei quando era bambina.
Dalla sua nascita, nel 1960, i progressi della medicina e della tecnologia hanno fatto sì che le prospettive di vita per le persone affette da spina bifida siano molto migliorate. Attualmente la chirurgia prenatale può risolvere molte situazioni.
Proprio all'inizio di quest'anno, come riferisce la Society for the Protection of Unborn Children, la piccola Elouise Simpson ha festeggiato il suo primo compleanno dopo aver subito un intervento chirurgico prenatale alla colonna vertebrale per curare la sua spina bifida.
Allo stesso modo, nel maggio 2019 i medici hanno eseguito un intervento chirurgico su un nascituro, affetto dalla stessa patologia, a sole ventisette settimane di gestazione. Ebbene, dopo la nascita il bambino ha mosso le gambe.
Nonostante le prospettive per le persone con diagnosi di spina bifida (che colpisce circa quattro gravidanze ogni diecimila) siano migliorate in modo significativo, si stima che purtroppo l'80% delle madri scelga di abortire.
Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "La spina bifida? Con l'eutanasia non sarei tra voi" Giovanni Cicconi Bonizio, nato con la spina bifida, racconta la sua esperienza.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Avvenire il 22 novembre 2004:
Vivo a Roma, ho 24 anni. Tempo fa su vari giornali italiani sono usciti articoli su un pediatra olandese che pratica l'eutanasia su piccoli pazienti con diverse malattie o handicap, per liberarli dal destino di una vita impossibile e tale da non valere la pena di essere vissuta. Sento parlare di referendum, di lasciare il passo alla libera ricerca scientifica: sono altri campi, ma vicini a quello del medico olandese. Mi è capitato di parlarne con qualcuno e mi sono accorto che è un tema vivo e che è una posizione che si è fatta strada.
Tra i casi in cui il medico ha praticato l'eutanasia c'è quello di un bambino nato con la spina bifida (mielomelingocele). Eutanasia per «senso professionale» e per «amore», secondo il racconto. Chiedeva il medico, infatti, quasi con orrore su un quotidiano: «Ma voi avete mai visto un bambino nato con la spina bifida?». Vorrei cambiare la domanda: avete mai visto crescere un bambino con la spina bifida e diventare un ragazzo, un giovane, un adulto? L'avrà mai visto lui? Insieme a un'altra: quando una vita è tale che vale la pena di essere vissuta? Mi sembra infatti che tanti parlano come se la risposta fosse ovvia, ma proprio ovvia non è.
Evidentemente io debbo essere un sopravvissuto. Non dovrei esserci. Sono nato con la spina bifida. Eppure ho una vita ricca, intensa, anche molti amici. Ho superato la maturità e ho preso il mio diploma. Da giugno scorso lavoro in una banca di interesse nazionale. La mia vita, anzi, è quello che si direbbe «una vita piena di interessi». Il mio lavoro è buono, la mia famiglia è quella che augurerei a molti altri. Alcuni problemi in più nella vita mi hanno creato una sensibilità aperta alle difficoltà anche degli altri e forse è per questo che da anni vado a trovare degli anziani: l'amicizia aiuta a vivere anche loro.
Leggo, parlo, scrivo, so usare il computer come tutti i ragazzi della mia età. Quando sono nato pochi scommettevano su di me. Per fortuna c'è stato chi mi ha voluto bene, davvero, e non si è spaventato. Pian piano ho potuto stare eretto, anche camminare e camminare bene. Mi muovo da solo in una città come Roma. Ho fatto più fatica di altri, ne sono più orgoglioso di altri. Non valuto la mia intelligenza (né quella del medico olandese) ma di certo posso parlare, esprimere quello che penso, anche se quel medico teorizza che quelli come me non possono mai comunicare e per questo sarebbe meglio che sparissero.
La mia vita non è né triste né inutile. Certo, ho subito diversi interventi chirurgici che mi hanno aiutato a superare problemi di vario tipo e mi hanno permesso di vivere il più possibile una vita - come si dice - normale. Non è stato sempre facile, qualche volta ho anche sofferto, ma nei letti vicino al mio c'erano sempre tanti altri ragazzi con la stessa voglia di guarire, di comunicare, di farsi amici e soprattutto di vivere.
C'è invece, ormai, una incapacità a concepire la vita quando ci sono delle difficoltà da superare. Il medico olandese e quelli che la pensano come lui dovrebbero interrogarsi sulla loro paura della vita. Paura di una vita che contiene anche fatica, conquista, lotta, sconfitte, vittorie, e che non è semplicemente una piatta crescita biologica, magari ubriaca delle ultime, mai soddisfacenti, mode. Una cartolina di tutti belli e tutti vincenti che si liquefà alle prime difficoltà della vita, dove tutti sorridono a 36 denti e fanno fitness e beach volley.
Penso che ci dovremmo tutti chiedere un po' di più cosa è davvero umano e cosa non lo è, invece di essere stupiti del fatto che nella nostra società aumenta il numero delle persone depresse, che migliaia fanno la fila per diventare veline, che milioni sognano di indovinare «il prezzo è giusto» e che non si sa a che cosa tengono davvero i giovani.
Il problema è che non sempre si fa tutto quello che si potrebbe fare per aiutare chi ha un problema, una malattia, a vivere meglio. È su questo che il medico olandese e chi pensa che l'eutanasia è un modo di dare dignità alla vita dovrebbe spendere più energie e conoscenze.
L'eutanasia sui bambini mi sembra davvero orribile, perché non sanno difendersi. Si uccidono - perché di questo si tratta - quelli che hanno dei difetti senza neanche aspettare che crescano per vedere cosa succede, senza invece dare quello che è necessario: più aiuto a chi è solamente più debole. La proposta è questa: se proprio dobbiamo eliminare qualcosa, allora, invece di abolire la fragilità è meglio cominciare dalla paura della fragilità che ci fa tutti più disumani (e più indifesi).
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