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« Torna agli articoli di Antonio Socci
Per ora è una voce (un'ipotesi personale di Joseph Ratzinger) e spero che non diventi mai una notizia. Ma poiché circola nelle più importanti stanze del Vaticano merita molta attenzione.
In breve: il Papa non scarta la possibilità di dimettersi allo scoccare dei suoi 85 anni, ovvero nell'aprile del prossimo anno.
Che Ratzinger ritenga possibile questa scelta è noto almeno dal 2002, quando si dovette studiare l'eventualità con l'aggravarsi della malattia di Giovanni Paolo II.
Ma Ratzinger è tornato sull'argomento anche da Papa. Nel libro intervista "Luce del mondo", uscito nel 2010, interpellato dal giornalista Peter Seewald, ha dichiarato: "Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l'incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi".
Oggi papa Benedetto sembra veramente in forma, eppure si pone il problema della sua età e delle sue energie: "a volte sono preoccupato" ha confidato a Seewald "e mi chiedo se riuscirò a reggere il tutto anche solo dal punto di vista fisico".
Con l'enorme mole di lavoro che sta facendo per la Chiesa e l'immenso carico di responsabilità spirituale che porta, il Papa ha affermato nel 2010 di sentire tutto il peso dei suoi 83 anni: "confido nel fatto che il buon Dio mi dà la forza di cui ho bisogno per fare quello che è necessario. Però mi accorgo anche che le forze vanno diminuendo".
Egli sa di essere "ai limiti dell'umanamente possibile a quell'età".
E' in questo contesto che è nata in lui l'ipotesi (per ora solo un'ipotesi) di cogliere il passaggio degli 85 anni per passare la mano. Tuttavia lui stesso aveva dichiarato un problema morale.
A Seewald infatti – che l'aveva interpellato durante la terribile tempesta legata allo scandalo della pedofilia – il papa aveva spiegato: "Quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perché questo sicuramente non è il momento di dimettersi. E' proprio in momenti come questo che bisogna resistere e superare la situazione difficile. Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più. Ma non si può scappare proprio nel momento del pericolo e dire 'se ne occupi un altro' ".
Oggi quella terribile tempesta, che Benedetto XVI ha definito "la peggiore persecuzione", ormai sembra sia stata superata dalla Chiesa proprio grazie alla guida limpida e santa di questo pontefice che ha saputo chiedere perdono e insegnare umanità e umiltà (a Malta, un rappresentante delle vittime di abusi, Joseph Magro, dopo l'incontro col Santo Padre, ha dichiarato: "Il Papa ha pianto insieme a me, pur non avendo alcuna colpa per ciò che mi è accaduto").
Tuttavia il momento della Chiesa è sempre duro e c'è un accanimento particolare proprio nei confronti di questo pontefice. Il filosofo ebreo francese Bernard Henri Lévy ha denunciato che tutte le volte in cui si parla di Papa Ratzinger "la discussione è dominata da pregiudizi, da insincerità fino alla più completa disinformazione".
Quanto più si conosce questo uomo di Dio come un padre mite, sapiente, umano, tanto più sembra scatenarsi la corsa a demonizzarlo o umiliarlo.
Basta scorrere le cronache delle ultime settimane: il 13 settembre c'è chi addirittura vuole trascinarlo davanti al tribunale dell'Aja con la surreale accusa di "crimini contro l'umanità", intanto dalla Germania arrivavano voci ostili al viaggio pontificio, il 20 settembre Umberto Eco lancia la sua ridicola bocciatura del papa come teologo sostenendo che perfino "uno studente della scuola dell'obbligo" argomenterebbe meglio di lui.
In questi giorni in Germania è stato accolto da varie manifestazioni ostili e secondo un sondaggio due terzi dei cattolici tedeschi (allo sbando per decenni di guida progressista della chiesa teutonica) hanno definito "per niente o poco importante" per sé la visita del Papa. Mentre cento parlamentari si sono assentati polemicamente quando lui doveva parlare al Bundestag.
Tanta intolleranza e tanti pregiudizi risultano ancor più immotivati vista l'ammirazione generale che poi ha suscitato il discorso del Pontefice al parlamento tedesco (è sempre così: anche con il viaggio in Gran Bretagna i gelidi inglesi finirono con l'innamorarsi di questo Pontefice sapiente e umile).
Giuliano Ferrara – che è uomo colto e consapevole – dopo il discorso al Bundestag ha manifestato il suo entusiasmo, ha pubblicato per intero il testo sul "Foglio", ha aggiunto un suo filosofico commento dove si è definito "ratzingeriano" e – pur da non credente – è arrivato ad affermare: "Solo un Papa ci può salvare".
Ferrara che negli ultimi tempi (secondo me sbagliando) temeva che il grande papa Ratzinger ("il nostro amato Papa") si fosse impaurito (per le virulente reazioni) dopo il discorso di Ratisbona e che lo vedeva "immerso nelle acque della sola fede", da dove il Pontefice "invitava a pregare e a espiare le colpe personali e della chiesa", dedito alla ricostruzione interiore della fede dei cristiani, ha ritrovato colui che considera l'unico vero, grande leader dell'umanità in questo frangente storico: "nello splendido discorso tenuto al Bundestag, il Parlamento della sua patria" ha scritto Ferrara, "è riemerso in chiara, mite e fulgidissima luce – la luce dell'intelligenza e della ragione – quel formidabile professor Ratzinger che fu eletto alla guida della chiesa di Roma su una piattaforma di lotta intellettuale ed etica alla deriva relativista e nichilista dell'occidente moderno. Che solo un Papa può salvare. Benedetto ha sorpreso tutti. Niente afflato pastorale minimalista, niente catechesi ordinaria, e invece un energico, nitido e straordinario richiamo alla sostanza di ciò che è politico, pubblico, e alla questione filosofico-giuridica di come si possa fare la cosa giusta, condurre una vita giusta, reggere governi e stati giusti, fare leggi giuste in un mondo che non dipende più dalla tradizione, dall'autorevolezza intrinseca della fede, ma dalla democrazia maggioritaria".
E' stata – aggiunge Ferrara – "una grande lezione filosofica, storica e teologica sui fondamenti, anzi sulla fondazione politica, della nostra cultura e della nostra idea di libertà, di umanità, di natura e di ragione. I giganti usano parole semplici e concetti alla portata di tutti, non sono esoterici, parlano al centro forte e realista dell'intelligenza umana. E così ha fatto il Papa (…). Non è un discorso intercettabile dalle polemiche e dai sofismi. Se siamo liberi, se siamo in un mondo laico, se siamo padroni del nostro destino è perché siamo cristiani. Il cristianesimo non ha imposto come legge la Rivelazione, non è la sharia, non è uno spazio mitico per litigiosi dei. Alla base dei diritti umani, delle conquiste dell'Illuminismo, dell'idea stessa moderna di coscienza, sta la scelta cristiana e cattolica in favore del diritto di natura e della legge di ragione".
Ferrara lo spiega benissimo. Ma è davanti agli occhi di tutti la grandezza e l'umiltà di quest'uomo di Dio, che voleva lavorare per il Regno di Dio con lo studio e i libri, che non voleva essere nominato vescovo, né prefetto dell'ex S. Uffizio, che da lì aveva provato due volte a dimettersi e che – mentre lo stavano eleggendo Papa, nella Sistina – pregava così: "Signore, non farmi questo".
Il popolo cristiano – come mostrano i due milioni di giovani accorsi a Madrid in agosto – sa che questo Papa arriva al cuore e all'intelligenza come nessun altro e le menti più limpide della cultura laica sanno che oggi Benedetto XVI è il solo faro dell'umanità in un frangente molto buio. Tutti speriamo che non ci abbandoni nella tempesta, che non lasci mai il suo ministero di padre di tutti.
Perché non tutti i papi sono uguali. San Vincenzo di Lérins diceva che "Dio alcuni papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge". Benedetto XVI è un dono a cui non possiamo rinunciare.
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