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NATALE 2017: PER L'UNIONE EUROPEA IL SALVATORE NON E' GESU', BENSI' ROMANO PRODI
Il baldanzoso professore dichiara che senza l'Unione Europea l'Italia scomparirà dalla faccia della terra (per favore, ditegli che la Gran Bretagna è uscita dalla Ue e non risulta che sia scomparsa, anzi è più vitale che mai)
di Antonio Socci
 

Invece di celebrare, a Natale, la nascita del Salvatore, da Bruxelles - spodestando il Bambinello - hanno infilato nel presepe una vecchia conoscenza, un borbottante dottor Balanzone, e presentano lui come il salvatore dell'Europa e dell'Italia: Romano Prodi. Ieri sulla prima pagina della "Stampa" veniva lanciato con toni messianici: " 'Salviamo l'Europa', il piano di Prodi".
La seconda pagina riportava le sue ricette "salvifiche" e la terza pagina una surreale intervista allo stesso Prodi che davvero si immedesima nei panni del salvatore: "questo piano è una prova d'amore". Non fa autocritiche. Critica solo l'attuale establishment europeo per "gli orrendi errori fatti negli anni della crisi" che hanno trasformato l'euro "in fonte di nuove divisioni e disuguaglianze".
Ma, per Prodi, l'euro in sé non si tocca, è il Bene assoluto. Certo, "Bruxelles porta grandi responsabilità", ma, a sentire lui, "la rovina" dell'Europa non sono coloro che hanno voluto e gestito questa Unione Europea, con i risultati disastrosi che sappiamo: "i populisti sono la rovina". Quali populisti, perché e come non lo spiega. Sventola una vaga e tenebrosa Spectre per spaventare il popolino, ma non fornisce ragioni.
Prodi, che è uno degli apprendisti stregoni che hanno voluto e guidato questa Unione e ci hanno portato nella situazione che sappiamo, tira fuori un'altra minaccia iettatoria: "senza un aggancio all'Europa noi scompariamo dalla faccia della terra" (nientemeno), come se dovessero sganciare sulla penisola cento bombe nucleari (la Gran Bretagna è uscita dalla Ue e non risulta che sia scomparsa dalla faccia della terra).
Poi ripete la sua solita solfa di sempre: "l'euro è il nostro futuro". Una battuta propagandistica che vent'anni fa poteva ancora incantare, ma che ripetuta oggi - mentre l'euro è il devastante passato e il tragico presente - rasenta il teatro dell'assurdo.

RISPOSTA IMMEDIATA
Proprio in queste ore è uscita anche un'analisi dell'Ufficio studi della Cgia da cui emerge che in Italia la crescita economica, la media annua, negli ultimi 17 anni, è sostanzialmente zero (lo 0,15 per cento, in pratica zero). Un paese bloccato. La produzione industriale rispetto al 2000 è crollata di 19,1 punti percentuali. Peggio di tutti in Europa.
Il disastro è cominciato proprio da quando è entrata in circolazione la moneta unica, l'euro, e non si tratta affatto di un caso.
Altri dati interessanti di questo rapporto: rispetto al 2007 (la vigilia della crisi) l'Italia è ancora sotto di 5,4 punti percentuali di Pil e gli investimenti sono crollati del 24,3 per cento.
Inoltre nell'anno in corso la spesa della Pubblica amministrazione è inferiore dell'1,7 per cento rispetto a dieci anni fa. Ma è anche cresciuto (e non di poco) il nostro debito pubblico. Questo è il meccanismo perverso in cui ci troviamo e che non si vuole capire e affrontare.
Come ha spiegato tempo fa, sul "Sole 24 ore", il professor Marco Fortis, "nonostante la sua [dell'Italia] fama di economia di sprechi, molto indebitata e poco osservante degli impegni, in realtà il nostro Paese ha una spesa pubblica al netto degli interessi che in termini reali è rimasta quasi invariata tra il 2005 e il 2015 (una delle migliori performance tra i Paesi avanzati). Inoltre" aggiungeva Fortis "l'Italia è uno dei Paesi più disciplinati nel rispettare le regole europee di finanza pubblica. Ad esempio, durante questi ultimi anni di crisi, già dal 2012, cioè ben prima di altri Paesi, il nostro deficit/Pil rispetta la regola del 3 per cento. Nel lungo periodo, poi, sin dal 1992, l'Italia è sempre stata in avanzo statale primario con la sola eccezione del 2009: un record assoluto a livello mondiale. E, come sottolinea il citato documento del Mef [ministero dell'Economia e delle Finanze], nel periodo 2009-2015 l'avanzo statale primario dell'Italia è stato mediamente il più alto nella Ue".
Ciò significa due cose:
1) che è falsa la diagnosi - ripetuta in ambiente eurotedesco (e poi dai nostri giornali) - secondo cui il nostro disastro deriverebbe dal fatto che noi saremmo un paese di spreconi indisciplinati: al contrario siamo i più virtuosi;
2) è sbagliata la prognosi secondo cui con i sacrifici lacrime e sangue risaniamo il nostro paese: è accaduto l'esatto contrario; nonostante anni di sacrifici ("ce lo chiede l'Europa"), cioè di massacro sociale e di virtuosa gestione dei conti pubblici, il paese è sempre più indebitato e l'economia sempre più al collasso. E il baratro col resto d'Europa si allarga.
La spiegazione è semplice: quella che viene presentata come la cura, in realtà è la causa della malattia. Noi continuiamo ad assumere un veleno pensando che sia la medicina.

L'EURO-FREGATURA
Il professor Alberto Bagnai - nei suoi studi - ha spiegato perfettamente perché il meccanismo dell'euro porta a queste inevitabili conseguenze (aggravate dai Trattati europei e dal rigore eurotedesca): "I Soloni che disquisiscono della neutralità dell'euro" ha scritto Bagnai "dovrebbero spiegarci bene come mai prima dell'adozione di questa valuta noi tenevamo testa ai nostri concorrenti. La teoria economica una spiegazione la dà. Se il cambio riflette i fondamentali, quello di una valuta comune riflette la media dei fondamentali di Paesi forti e deboli. Come tale, il valore risultante non è di equilibrio per nessuno: è forte per i deboli (ostacolandoli) e debole per i forti (attribuendo loro un ingiusto vantaggio). In virtù di questa ovvia caratteristica" conclude Bagnai "la valuta unica agisce come un cuneo che si insinua fra Paesi forti e deboli, divaricandone sempre più le prestazioni. Lo abbiamo visto per la produzione industriale, e naturalmente la stessa cosa vale per le esportazioni".
In effetti va ribaltata anche la narrazione dominante sull'ingresso nell'euro di cui Prodi fu un protagonista.
Tino Oldani tempo fa su "Italia oggi" ha ricostruito cosa e perché accadde: "Il discapito maggiore lo ha avuto l'Italia. Prima dell'introduzione dell'euro, la svalutazione competitiva era una specialità della lira. Con l'ingresso nell'euro tutto ciò è diventato impossibile, e i nostri esportatori ne hanno avuto solo svantaggi. I governanti di allora, Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi, agirono" dice Oldani "con un misto di faciloneria e di europeismo retorico, e non si accorsero che a pretendere da Helmut Kohl l'ingresso dell'Italia nella moneta, anche se i nostri conti non erano a posto, fu una richiesta esplicita degli industriali tedeschi. Ne ha dato conferma l'ex presidente della Confindustria tedesca, Hans-Olaf Henkel, in un'intervista nel 2011 a 'L'Espresso': 'L'Italia era per noi tedeschi un concorrente formidabile perché i vostri politici avevano libertà di svalutare la lira. I prodotti del made in Italy risultavano imbattibili. L'euro ha legato le mani alla vostra economia, e da allora l'Italia sprofonda nei debiti. Siete la vera bomba a orologeria per l'Ue".
Dunque di "salvatori" come Prodi è bene fare a meno. Meglio cambiare strada: è anzitutto recuperando la sovranità monetaria che si salva l'Italia.

Nota di BastaBugie: Antonio Socci nell'articolo sottostante dal titolo "Il colpo di grazia del governo Gentiloni su un'Italia allo sfascio" parla della recente uscita di D'Alema che fa critica, ma non autocritica.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su Libero il 18 dicembre 2017:
Massimo D'Alema ha bombardato il centrosinistra che ha governato finora: "io ho visto governanti che hanno passato anni a baciare la pantofola della Merkel e adesso sono passati alla pantofola di Macron".
Poi, in questa intervista alla "Stampa", ha rincarato la dose: si è accorto che i francesi - oggi protagonisti di un grande shopping in Italia - hanno con noi un atteggiamento "coloniale".
Perciò critica "la fragilità della classe dirigente italiana" e riconosce che "gran parte dei principali asset nazionali stanno finendo nelle mani di capitale straniero, soprattutto francese, ma non solo".
Mentre la "reciprocità" ha aggiunto "non c'è" perché "a noi non è consentito andare a fare shopping in casa d'altri".
Dunque siamo sottomessi agli stranieri? Dice il lìder Massimo: "non è una novità che una parte della classe dirigente sia subalterna allo straniero".
Parole pesanti e drammatiche. Ma lui, D'Alema, non è stato in questi anni all'opposizione. Certo, ha una questione personale con Renzi, ma non risulta che si sia schierato contro questi governi del centrosinistra.
Non si è mai visto in questi anni un D'Alema "sovranista" che abbia fatto dell'indipendenza del Paese e della nostra sovranità nazionale la sua battaglia politica.
Infatti D'Alema oggi non contesta le vere cause storiche della nostra "subalternità allo straniero", cioè la fondamentale cessione di sovranità, che ci ha messo alla mercé di tutti, quella dell'euro e dell'Unione europea.
E' così che siamo diventati sudditi. Un meccanismo che stritola lo stato nazionale e lo stato sociale, insieme con la nostra indipendenza e il nostro futuro come nazione.
Era presidente del Consiglio proprio D'Alema nel 1999 quando l'economista Paul Krugman - poi Premio Nobel - ci avvertiva: "Adottando l'euro, l'Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera con tutti i danni che ciò implica".
Ma non risulta che a Palazzo Chigi si siano allarmati per l'annunciato disastro. Anzi il centrosinistra dagli anni novanta ha fatto dell'Euro e dell'Unione Europea una sorta di "religione civile", con dogmi indiscutibili, sebbene tutti smentiti dalla dura realtà dei fatti.
ALLA LUCE DEL SOLE
Non a caso D'Alema nella stessa intervista di ieri resta sempre nell'orizzonte di questa UE e dell'euro.
Eppure D'Alema sa bene come stanno le cose. E, per esempio, in una intervista televisiva del luglio 2015 sulla crisi greca, dimostrò di conoscere perfettamente il meccanismo perverso che stritola i paesi più deboli. Lo illustrò pubblicamente così:
"Moneta unica, ma differenti livelli di competitività e forza economica. In Germania il costo del denaro è bassissimo, anzi, addirittura con interesse negativo. Quindi le banche tedesche raccolgono denaro dai risparmiatori tedeschi, che per loro ha un costo quasi nullo, comprano i titoli della Grecia, che paga il 15 per cento di tassi d'interesse, perché paese a rischio, e guadagnano una montagna di soldi. Da un paese povero come la Grecia enormi risorse si trasferiscono verso un paese ricco come la Germania. E il paese povero si impoverisce sempre più, mentre il paese ricco si avvantaggia sempre di più".
Una spiegazione chiara che già dovrebbe far riflettere criticamente. Ma poi, quando il paese povero, con la gente alla canna del gas, non è più in grado di pagare cosa succede? Dovrebbero rimetterci le banche che hanno lucrato fin lì enormi profitti? Invece no.
"Quando il paese povero non è più in grado di pagare i debiti" spiegava sarcastico D'Alema "arrivano gli aiuti europei. Noi [europei] abbiamo dato alla Grecia 250 miliardi di euro, ma non per le pensioni dei greci, ma per pagare gli interessi alle banche tedesche e francesi (e - molto parzialmente - italiane): 220 miliardi dei 250 miliardi di aiuti sono andati direttamente alle banche tedesche, francesi e italiane [in minima parte]: i prestatori. Questo meccanismo non può reggere a lungo".
Sembrerebbe una stroncatura drastica. Invece D'Alema non ne ha mai tratto le conseguenze: mai a Sinistra si è messa in discussione questa Unione europea, l'euro e i trattati.
Eppure, oggi, non basta dire che l'Italia è "subalterna allo straniero" e prostrata. Bisogna dire perché si è ridotta così. Se non si ripensano l'euro e la Ue non si uscirà mai dalla sudditanza e si andrà verso il baratro.
Del resto lo stesso Matteo Renzi - il 3 agosto 2017, quando non era più premier - riconosceva (come riporta un tweet del TgLa7): "Ue: abbiamo sbagliato a non difendere i nostri interessi nazionali".
Un'ammissione stupefacente. Che però - anch'essa - non è stata seguita da revisioni autocritiche. Anzi.
SEMPRE PEGGIO
A capo del governo è andato quel Paolo Gentiloni che il 2 agosto 2012 - con un altro eloquente tweet - esponeva il suo pensiero perfettamente allineato alla de-sovranizzazione che già subiamo: "Dobbiamo cedere sovranità a un'Europa unita e democratica".
Già allora Gentiloni voleva cedere anche l'ultimo rimasuglio di sovranità nazionale. Invece di proporre e di fare l'esatto contrario.
"L'Europa ci porta alla morte. Abbiamo perso un terzo del manifatturiero e oltre il 25 per cento della produzione industriale. Bisogna uscire dall'eurozona. Altrimenti diventeremo un Paese deindustrializzato e del Terzo mondo come Romania e Bulgaria. È una lotta contro il tempo". Sono parole di Luciano Barra Caracciolo, magistrato presidente di sezione del Consiglio di Stato e autore del libro "Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra Costituzione e Trattati europei".
Ma Gentiloni è sulla strada opposta. E l'inconsistenza politica del suo esecutivo aggrava la nostra sudditanza portandoci a fare figuracce come la recente perdita beffarda dell'Agenzia del farmaco da parte di Milano.
Proprio a causa della sua irrilevanza internazionale il governo ha preso sberle su sberle (e le ha fatte prendere all'Italia). Per esempio continuiamo a subire le sanzioni alla Russia, "una misura autolesionistica" (D'Alema) che ha danneggiato solo la nostra economia.
Anche ripercorrendo solo le ultime settimane si susseguono le umiliazioni. Nei giorni scorsi a Bruxelles ci hanno ulteriormente punito sulle quote della pesca, con il nostro governo che latitava.
Al vertice col gruppo di Visegrad e con la Ue sul ricollocamento dei migranti Gentiloni si è di nuovo sentito rispondere picche. E l'Italia è rimasta con la patata bollente in mano.
Ma per capire quanto (poco) conti oggi l'Italia basta leggere un titolo di "Repubblica" di sabato: "Nasce l'asse Merkel-Macron per rifondare l'Eurozona".
Sottotitolo: " 'Entro marzo soluzione comune sulla riforma'. L'Italia resta fuori dal tavolo ma spera in Schulz. In ballo c'è la gestione di conti pubblici e banche".
Capito? Decidono lorsignori. L'Italia resta sempre e solo il pollo da spennare. Germania e Francia la fanno da padrone. "Saranno loro" spiega Repubblica "a tracciare la strada per la nuova governance della moneta unica rilanciando l'asse franco-tedesco".
E a che titolo? In forza di quale trattato? L'Italia, lasciata fuori dalla porta come la servitù, si è ben guardata dall'obiettare qualcosa ai padroni della Ue. Anzi Gentiloni - quello che voleva ancor di più "cedere sovranità" all''Europa - subisce (e fa subire all'Italia) l'ennesima umiliazione. Di cui presto pagheremo conti economici (e sociali) salatissimi, come è già accaduto in questi anni.
Infine ci mancava solo il "geniale" emendamento governativo alla manovra che prospetta la possibilità per i ministeri di vendere a stati stranieri il patrimonio del demanio pubblico italiano. Siamo a questo punto. Giorgia Meloni ha tuonato: "Colpo di coda del governo dei nemici dell'Italia".
E dire che il centrosinistra si era presentato alle elezioni del 2013 sotto il nome "Italia bene comune". Alla fine l'esecutivo ha fatto retromarcia, ma di questo passo, un giorno, si arriverà a vendere agli stranieri pure la Fontana di Trevi come Totò.

 
Titolo originale: In questo Natale a Bruxelles non celebrano la nascita del salvatore, ma la nomina di Romano Prodi a salvatore d'Europa (aiuto!!!)
Fonte: Libero, 24/12/2017