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TROPPO PICCOLO PER AVER DIRITTO ALLA VITA
di Carlo Bellieni
 

E’ tornata in questi giorni a farsi viva sui giornali una proposta che circola ormai da tempo, nonostante abbia avuto secche reazioni negative: l’idea che si possa non curare chi nasce estremamente piccolo. Abbiamo già spiegato come questa posizione sia molto carente e non voluta dai neonatologi italiani.
Ma di fronte agli inascoltati appelli che abbiamo fatto in nome di una laica aderenza ai dati scientifici, cosa resta? Cosa resta quando non si riconosce che nessuno - uomo o donna - può giurare sull’esatta età di un feto (e si propone invece di stabilire un’età sotto cui non rianimare)? Quando non si accetta che alla nascita non ci sono strumenti certi per fare una prognosi sui neonati, ma solo strumenti approssimativi (e si propone invece di rianimare sulla base di certi segni vitali)? Quando il fatto che sopravviva "solo" un paziente su dieci fa proporre di non curarne nessuno? Cosa resta, infine, quando non ci si arrende di fronte all’evidenza che la disabilità non è la parola finale sulla vita?
Invece di chiedere più spazi e fondi per le famiglie con disabilità, ci si incammina per una scorciatoia che non si prenderebbe per un paziente adulto. Invece di trovare nelle Finanziarie fondi per la riabilitazione, per le famiglie, per le terapie dei soggetti bisognosi, invece di combattere le barriere architettoniche, creare libri in braille per non vedenti e strumenti per chi è colpito nel corpo e nella mente dalla malattia… cosa si fa? Già: invece di costruire strade di solidarietà ci si arrende alla solitudine.
Insomma: cosa resta quando si chiede di non rianimare un bambino? Quando si dice che è accanimento terapeutico rianimarli dato che solo in pochi sopravvivranno, e si sa che negli anni ’60 solo il 10% dei nati di peso sotto il chilo viveva…  ma si rianimavano, e la medicina è andata avanti… e oggi ne sopravvive il 90%! E’ stato forse accanimento terapeutico quello?
Cosa resta? Non so cosa resta in chi legge. A noi neonatologi resta solo la possibilità di obiettare, di fare obiezione di coscienza, pur sapendo che non si tratta di un problema di "coscienza" (cioè di morale), ma di ragione, di clinica, di scienza. Ci resta la protesta che non sarà silenziosa, ma farà sapere a tutte le mamme cosa accade. Ci resta l’obiezione di coscienza, perché dare una chance a tutti è il nostro dovere come medici, che non possiamo strapparci di dosso, che faremo con tutti i nostri limiti, ma che è la nostra professione, quella grazie a cui tante delle persone che leggono queste righe  oggi hanno tra le braccia un bambino o una bambina, magari nata gravissima e tolta alla morte.
Dunque ci siamo arrivati. Ci diranno a cosa andremo incontro quando rianimeremo un piccolissimo, quando faremo di tutto per darlo alla sua mamma? Cosa ci attenderà se stimoleremo un bambino a reagire o se tenteremo di salvare con un po’ di ossigeno un prematuro? Aspettiamo notizie.

 
Fonte: l'Occidentale, 5 Dicembre 2007