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« Torna agli articoli di Caterina Giojelli
È a casa Farah: il giudice Rana Masood Akhtar del tribunale di Faisalabad l'ha restituita al suo papà e ai suoi cinque fratelli, al nonno e alla comunità cattolica che per otto mesi ha battagliato perché fosse liberata. Liberata dal suo aguzzino musulmano, liberata dalle funzionarie preposte a rafforzare in lei la conversione all'islam nella Dar-ul-Aman, liberata dalle umiliazioni di poliziotti e magistrati compiacenti con chi l'aveva rapita, convertita, sposata a forza e ridotta a schiava incatenata in un cortile. Farah Shaheen, orfana di mamma, aveva solo 12 anni il giorno in cui venne sequestrata e costretta a chiamare "marito" un pakistano musulmano di 45 anni.
Sorride Farah nelle foto diffuse il giorno del suo rilascio da Aid to the Church in Need, circondata da parenti e una folla di bambini come lei: non c'è traccia dello smarrimento che le abitava gli occhi a dicembre, quando la polizia aveva fatto irruzione nella casa di Khizar Hayat. Qualcuno aveva fatto girare le immagini delle sue caviglie sbendate, mostrando la pelle ridotta a cuoio indurito da piaghe, cicatrici e macchie di sangue raggrumato, segni delle pesanti catene che la piccola si era trascinata tra i liquami del cortile, pulendo lo sterco delle bestie di quell'uomo che la mattina del 25 giugno l'aveva sequestrata, convertita all'islam, stuprata, sposata a forza.
LA TANA DELL'AGUZZINO
Per mesi il suo papà Asif Masih aveva provato a denunciare il rapimento invocando l'applicazione della legge pakistana che vieta rapporti con i minori, per mesi aveva chiesto indagini su Hayat, principale sospettato. La polizia aveva tergiversato fino al 5 dicembre, quando l'attenzione mediatica sollevata da recenti casi di rapimenti e conversioni forzate di altre ragazzine cattoliche che mettevano in discussione l'operato della giustizia compiacente con i rapitori, li aveva rassegnati a un controllo a sorpresa: la bambina, ritrovata ammanettata mani e piedi in una stanza della casa di Hayat, aveva raccontato terrorizzata la sua storia, quella di una schiavetta obbligata a pulire escrementi fin dall'alba.
«Sono una donna libera, l'ho sposato e ho abiurato volontariamente, riportatemi da lui»: perché allora Farah nell'udienza del 23 gennaio aveva supplicato terrorizzata i giudici di riportarla dal suo aguzzino? Che cosa era accaduto nelle settimane successive alla sua liberazione? La stessa cosa capitata alla piccola Arzoo, salvata a novembre da una sentenza ma non dal lavaggio del cervello dei radicali islamici e dalle minacce dei familiari dell'uomo che l'aveva rapita, sposata e violentata: come Arzoo, anche Farah non era stata restituita alla famiglia d'origine, era stata invece condotta alla Dar-ul-Aman, case di accoglienza accreditate dal governo. Lontana dal padre, le funzionarie le avevano messo in mano un rosario islamico, insegnato le preghiere del profeta, obbligandola a recitarle ogni giorno.
Era spuntata fuori una anche una perizia medica, denti e genitali, diceva il referto presentato alla Corte, corrispondono a quelli di una ragazza tra i 16 e i 17 anni. A nulla era valso il certificato di nascita, le proteste del padre, il suo corpo da bambina: il giorno dell'udienza, facendo cadere tutte le accuse verso il rapitore, il magistrato non chiese nemmeno a Farah perché suo marito la tenesse in catene.
IL RITORNO A CASA
Poi, il 16 febbraio, la svolta: «Sia lodato Gesù Cristo, il nostro angioletto Farah è tornato a casa», ha proclamato ad Acn Uk il vescovo Iftikhar Indryas che ha affiancato la famiglia della ragazzina assicurandole assistenza legale nel tentativo disperato di cambiare esito alla sua vicenda giudiziaria. Il giudice Rana Masood Akhtar ha invalidato il matrimonio che non risulta registrato presso alcuna autorità locale. Di più, ha invalidato la perizia medica che attestava la maggiore età della bambina e stabilito che la sua permanenza presso la Dar-ul-Aman non potesse essere protratta a tempo indeterminato: la volontà del padre di accogliere Farah e l'impegno assunto insieme ai famigliari a «impedire a chiunque di arrecare danno alla sua vita e alla sua libertà» ha consentito al tribunale di lasciarla tornare a casa sotto la sua esclusiva responsabilità. Racconta monsignor Indryas che la piccola, sentite le parole del giudice è scoppiata in lacrime di gioia mentre dalle case di amici e parenti scrosciavano applausi e preghiere.
La storia di Farah è quella di duemila ragazzine cristiane e indù che lo scorso anno in Pakistan sono state rapite, sottomesse all'islam e ridotte in spose o schiave sessuali di orchi senza scrupoli. Alla piccola di Faisalabad, a Maira, Huma, alla minuscola Arzoo e a un popolo di povere famiglie, vescovi, politici cattolici e coraggiosi avvocati che battagliano per salvarle sfidando la mafia che alimenta matrimoni forzati e sequestri (imam, magistrati, poliziotti corrotti e uno Stato complice) Tempi ha dedicato un ampio servizio sul numero di febbraio. A guidarci nella "terra dei Puri" e tra le storie di ragazzine violentate e umiliate tutti i giorni della loro vita, Shahid Mobeen, fondatore dell'associazione Pakistani cristiani in Italia, amico e consulente di Shahbaz Bhatti, ministro cattolico che sacrificò la sua vita per difendere le minoranze religiose in Pakistan assassinato il 2 marzo 2011 a Islamabad.
Nota di BastaBugie: per ricordare chi era Shahbaz Bhatti e per approfondire la situazione in Pakistan, si possono leggere gli articoli pubblicati nel dossier "Cristiani in Pakistan".
DOSSIER "CRISTIANI IN PAKISTAN"
Asia Bibi, Shahbaz Bhatti, ecc.
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