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« Torna agli articoli di Enrico Morabito
Rolando Rivi nacque, secondo di tre figli, il 7 Gennaio del 1931 a San Valentino di Castellarano, provincia e diocesi di Reggio Emilia e fu battezzato il giorno dopo col nome di Rolando Maria.
Visse in un clima familiare pieno di fede, frequentando la parrocchia ove era ripresa l'attività dell'Azione Cattolica.
A soli 5 anni iniziò già a servire la S. Messa e a imparare i canti liturgici. Lo affascinavano molto le biografie dei santi, e in particolare quelle dei martiri. Il parroco aveva istituito un oratorio che era sempre pieno di giovani, tra cui Rolando e compagni, i quali, dopo il gioco, venivano da lui trascinati alla catechesi e a pregare presso il Tabernacolo.
Il suo motto fu: "Essere soldato e difendere Gesù, amarLo, farGli onore con la vita, essere in prima linea con gli apostoli".
GIOVANISSIMO SEMINARISTA
Nella primavera del '42 avvertì la vocazione al sacerdozio. I suoi genitori furono molto contenti per tale scelta. Così ad appena 11 anni Rolando entrò nel seminario minore di Marola a Reggio Emilia. Fu un seminarista modello mettendo impegno in ogni cosa.
In quello stesso anno ricorrevano il XXV anniversario delle apparizioni della Madonna a Fatima e dell'episcopato di Pio XII. Proprio nel 1942 il Sommo Pontefice parlò alla radio delle apparizioni di Fatima. Rolando rimase molto colpito dal messaggio di quella apparizione mariana, e si unì quindi alle preghiere del Papa.
Le difficoltà non mancavano, la vita in seminario non era facile, ma il pensiero dell'ambita meta gli dava la forza di affrontare tutto con serenità. Condivideva coi seminaristi più poveri quello che i genitori gli portavano in dono quando gli andavano a fare visita.
Nel 1943 il seminario fu occupato dai tedeschi ed i seminaristi furono costretti a tornare a casa. Ma pure lì continuò a studiare ed a vivere da seminarista. Proprio in quell'anno i preti furono presi di mira dai partigiani comunisti venendo, come in Russia, torturati e uccisi solo perché seguaci di Cristo e veri amici del popolo.
GIOVANISSIMO MARTIRE DELLA FEDE
Don Olinto Marzochini, il suo parroco, fu minacciato di morte e percosso dai partigiani comunisti. Il vescovo lo fece trasferire in un luogo più sicuro e prese il suo posto un giovane sacerdote di 25 anni, don Alberto Camellini che nella sua canonica fece da professore a Rolando e ad altri seminaristi della zona.
I genitori temevano molto per la vita del loro figlio e spesso gli consigliavano di togliersi la talare. Ma lui con coraggio si rifiutava, rispondendo che, non facendo nulla di male, non poteva certo tradire Gesù in tal maniera.
Rolando era solito difendere coraggiosamente la Chiesa, il clero, Dio dinanzi alle ingiurie dei partigiani comunisti. Il 10 aprile del '44 Rolando si reca a studiare nel boschetto a pochi passi da casa sua dopo aver partecipato alla Messa (non avrebbe mai immaginato che quella Comunione ricevuta in quel giorno sarebbe stato il suo viatico). Tornati a casa i genitori dopo una faticosa giornata di lavoro non trovano il loro figliolo ma solo un biglietto con la scritta: "Non cercatelo. Vieni un attimo con noi partigiani".
Il padre e Don Alberto si misero subito alla ricerca affannosa molto preoccupati per lui. Rolando restò 3 giorni con i partigiani. Lo spogliarono dell'abito talare che dava loro molto fastidio, lo insultarono, lo picchiarono, lo frustarono con una cinghia. Uno di loro si impietosì ma i suoi compagni gli risposero: "Taci o farai anche tu la stessa fine. Ammazzandolo avremo domani un prete in meno".
Lo portarono di sera tutto sanguinante nel bosco di Piane del Monchio (Modena). Rolando continuava ad essere percosso mentre pregava per i suoi familiari e amici e anche per i suoi uccisori. Un colpo di rivoltella al cuore ed alla testa e Rolando non c'è più. La sua talare venne usata come pallone da calciare e poi appesa sotto il porticato di una casa vicina come trofeo di guerra.
Suo padre e don Alberto incontrarono il partigiano che fieramente si dichiarò l'uccisore di Rolando e mostrò ai due il luogo di sepoltura del ragazzino. Non ci fu tempo per vendicarsi. Il padre e il parroco corsero subito a recuperare il corpo di Rolando colmo di sangue. Quanta sofferenza ci fu nell'abbraccio a quel defunto corpo santo martirizzato dai partigiani comunisti, dei quali la storia scolastica tesse grandi apoteosi tacendone le nefandezze.
Soffrì tutto il paese per la perdita di quel santo seminarista. Nel giorno del funerale Roberto Rivi distribuì le foto ricordo del figlio e sul retro di esse scrisse eroicamente a mano: "Seminarista Rolando Rivi, nato a S. Valentino il 7/1/1931, barbaramente assassinato a Monchio da partigiani comunisti il 13/4/1945". [...]
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