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ASIA BIBI HA PASSATO IL NATALE IN UNA STANZA CHIUSA
Intanto cresce anche nel 2018 il numero di cristiani uccisi nel mondo a motivo della loro fede (l'anno scorso sono stati oltre 3.000) principalmente da parte dei musulmani e degli indù
di Ermes Dovico
 

Dopo oltre nove anni di prigionia sarà il primo Natale fuori dal carcere per Asia Bibi, la madre di cinque figli perseguitata per la sua fede cattolica. Nonostante la Corte suprema del Pakistan l'abbia assolta questo ottobre dalla falsa accusa di blasfemia, Asia è tuttora custodita in un luogo segreto dove vive assieme al marito Ashiq Masih, sotto la protezione delle autorità del Paese, in conseguenza delle violente manifestazioni scatenate dopo la pronuncia della Corte suprema dal Tehreek-e-Labbaik Pakistan, un partito di fondamentalisti islamici. Gli estremisti vogliono una revisione del verdetto per arrivare in definitiva alla condanna a morte di Asia, ma il gruppo di avvocati (con a capo il musulmano Saif-ul-Muluk) che difendono la donna cristiana sono fiduciosi sul rigetto di quest'ultima istanza persecutoria, il cui esito potrebbe essere noto già a gennaio.

IN UNA STANZA CHIUSA CON SUO MARITO
Non si sa se i figli di Asia, in particolare le giovanissime Esha ed Eisham, potranno celebrare la nascita di Gesù insieme ai genitori. «Lei trascorrerà il Natale in una stanza chiusa con suo marito», ha detto a Life Site News, mentre si trovava in Canada, il presidente della British pakistani christian association, Wilson Chowdhry, decidendo di non commentare sulla presenza o meno della prole. Difficile sapere, inoltre, se Asia riuscirà magari sotto copertura a partecipare alla Messa di Natale o se sarà consentito a qualche sacerdote di farle visita per portarle il conforto dei sacramenti, con la confessione e l'Eucaristia. Anche in questo periodo di incertezza, Asia è comunque sostenuta da quella grande fede che già nel pieno della fase processuale le aveva fatto respingere più volte la proposta di convertirsi all'islam per essere liberata, dicendosi pronta a morire per Cristo.
La legge sulla blasfemia, intanto, continua a essere usata come arma di persecuzione, come dimostra la vicenda dei due fratelli cristiani Qaisar e Amoon Ayub, imprigionati dal 2015 e condannati a morte il 13 dicembre scorso sulla base di accuse debolissime. Qaisar, sposato e padre di tre figli, dopo aver scelto temporaneamente la via dell'espatrio per sottrarsi alle minacce ricevute in seguito a un diverbio con dei colleghi, è stato accusato di aver pubblicato nel 2011 del materiale offensivo nei confronti dell'islam. Il padre cristiano ha sempre detto di aver chiuso il sito Internet incriminato già nel 2009, spiegando che a riaprirlo per metterlo nei guai è stato un musulmano che Qaisar considerava un amico. Il fratello Amoon, anche lui sposato, è stato a sua volta accusato di cospirazione e blasfemia.
A difendere i due fratelli è il Centre for legal aid, assistance and settlement (Claas), che ha annunciato che presenterà ricorso in appello all'Alta Corte di Lahore. «Temo che, come Asia Bibi, Qaisar e Amoon dovranno aspettare anni per ottenere giustizia», ha spiegato il direttore del Claas per il Regno Unito, Nasir Saeed.

CONIUGI INNOCENTI CONDANNATI A MORTE
Dello stesso avviso è il domenicano James Channan, che parlando con Vatican Insider ha ricordato un altro caso di persecuzione, ossia quello dei coniugi Shagufta e Shafqat Emmanuel, condannati a morte con l'accusa, peraltro indimostrata, di aver inviato sms offensivi verso l'islam. «Shagufta era vicina di cella di Asia Bibi, ha condiviso con lei la sofferenza e anche la speranza della libertà e di una nuova vita». Padre Channan, responsabile del Peace Center, ha aggiunto: «I due sono innocenti. Li accusano di aver inviato sms in inglese, una lingua che, paradossalmente, i due non conoscono, essendo persone di umili origini. Qualcuno li ha incastrati, ma dovremo dimostrarlo in tribunale per salvare loro la vita. Tra l'altro a Shagufta, come avvenuto nel caso di Asia, è stata proposta la conversione all'islam come via brevis per ottenere l'assoluzione. Ma è una donna di profonda fede e ha rifiutato. Ora tocca a noi aiutarla».
Poiché la tensione in Pakistan rimane alta, nelle maggiori città del Paese (tra cui Islamabad, Rawalpindi, Karachi e Lahore) si stanno seguendo speciali misure di sicurezza. Come ha spiegato all'Agenzia Fides padre Mario Rodrigues, rettore della cattedrale di San Patrizio a Karachi, «i funzionari di polizia hanno assicurato cooperazione e pieno supporto per le celebrazioni del giorno di Natale. Agenti saranno schierati nelle chiese di tutta la città, specialmente durante le messe della notte di Natale e del giorno». Padre Rodrigues ha poi detto: «Dopo l'assoluzione di Asia Bibi, la situazione è molto delicata e nutriamo delle preoccupazioni. Stiamo pregando perché tutto vada per il meglio».

Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Ermes Dovico, nell'articolo seguente dal titolo "Nel 2018 in aumento i cristiani uccisi per la loro fede: oltre 3.000" parla della drammatica situazione dei cristiani nel mondo.
Ecco l'articolo completo pubblicato sul sito del Timone il 28 dicembre 2018:
Come da profezia di Gesù («Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi»), le persecuzioni continuano a essere una realtà estremamente attuale per il cristianesimo, tant'è che il 2018 è già indicato come perfino più cruento - in termini di cristiani uccisi per la loro fede - dell'anno precedente. A rivelarlo è Cristian Nani, direttore in Italia di Porte Aperte (Open Doors), associazione che pubblicherà il suo rapporto annuale sui cristiani perseguitati il 16 gennaio.
CRESCE IL NUMERO DI CRISTIANI UCCISI (OLTRE 3.000)
In un'intervista con Vatican News, Nani spiega che il 2018 «è stato un anno molto violento; il numero di cristiani uccisi a causa della loro fede probabilmente salirà rispetto al 2017, anno in cui i cristiani uccisi sono stati 3.066». Le stime dicono insomma che si è già superata questa cifra e Nani precisa che «quando ci riferiamo a questi dati in Open Doors consideriamo persone, uomini, donne e bambini, che sono stati uccisi a causa della loro identificazione con Cristo, quindi non stiamo parlando di cristiani uccisi in guerre o carestie o cose di questo genere, ma proprio a causa della loro espressione di fede cristiana. Quindi un'anteprima che posso dare è sicuramente questa: purtroppo c'è un aumento del numero di cristiani uccisi nel corso del 2018». All'origine delle persecuzioni ci sono «principalmente il fondamentalismo islamico e il nazionalismo religioso, come ad esempio in India».
DONNE CRISTIANE DOPPIAMENTE VULNERABILI
Anche Marta Petrosillo, portavoce di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), ha detto che il 2018 conferma la «tendenza drammatica» in fatto di persecuzioni, ricordando tra i molti casi i cinque sacerdoti uccisi in Centrafrica, i sette sacerdoti uccisi in Messico, gli 11 pellegrini cristiani uccisi il 2 novembre in Egitto mentre si recavano a un santuario nell'area di Minya, nonché il calvario di Asia Bibi e della sua famiglia in Pakistan. Rispondendo a una precisa domanda sulla situazione delle donne cristiane, la Petrosillo spiega che «in moltissimi contesti sono doppiamente colpite. Abbiamo rapimenti, stupri e matrimoni forzati in diversi Paesi», tra i quali cita i casi emblematici del Pakistan e dell'Egitto. In luoghi come questi le donne cristiane sono dunque «doppiamente vulnerabili» e «ciò vale, ovviamente, anche per i bambini».
La portavoce di Acs ha poi spiegato che la Chiesa svolge un'azione importante in diversi contesti difficili. «Una suora attiva in Libano con i rifugiati cristiani provenienti dalla Siria mi ha raccontato come un signore musulmano, prima fortemente ostile alla comunità cristiana, abbia iniziato addirittura ad aiutarla. Di storie emblematiche di perdono ce ne sono moltissime da parte dei perseguitati stessi». Tra queste storie c'è quella di Rebecca Bitrus, rapita e violentata da uomini di Boko Haram: «Da uno dei suoi aggressori ha avuto anche un bambino; lei ci ha riferito più volte che nel suo cuore non c'è odio e che ha perdonato, fin da subito, gli uomini che le avevano fatto del male».
NATALE IN SIRIA, PADRE KARAKACH: RINGRAZIAMO IL BUON DIO
«Questo è il primo Natale che viviamo dopo le violenze, il primo Natale che viviamo in sicurezza, senza paura di mortai, di atti terroristici. Quindi si respira un clima veramente molto positivo e gioioso. Le celebrazioni sono ovunque, gente per le strade, nei mercati, anche le piazze della città sono abbellite. [...] le maggiori citta siriane vivono questo clima positivo e quindi ringraziamo il Buon Dio perché finalmente riusciamo a tornare alla normalità», ha detto il francescano Bahjat Elia Karakach, parroco e superiore a Damasco del convento dedicato alla Conversione di San Paolo, intervistato da Vatican News.
NATALE IN IRAQ: LA NASCITA DI CRISTO DIVENTA FESTA NAZIONALE
È noto che in Iraq la presenza cristiana si è drammaticamente ridotta in seguito alla guerra e all'ascesa dell'Isis (oggi ridimensionato), ma in questi giorni - sebbene come in Siria permangano difficoltà, specie per il ritorno dei cristiani costretti a fuggire - è arrivata una buona notizia: il governo iracheno ha approvato un emendamento alla legge sulle festività nazionali, che «eleva il Natale al rango di celebrazione pubblica per tutti i cittadini, cristiani e musulmani», come riferisce Asia News. L'esecutivo ha raccolto quindi l'appello del cardinale Louis Raphael Sako, che aveva chiesto proprio che il Natale diventasse una «festa ufficiale in Iraq [...] in considerazione del rispetto che i fratelli musulmani hanno di Cristo». E così, dopo l'emendamento che si sofferma sulla «nascita di Gesù Cristo», il 25 dicembre il governo ha diffuso un messaggio via Twitter per augurare «Buon Natale a tutti i nostri cittadini cristiani, a tutti gli iracheni e a quanti festeggiano nel mondo».
NATALE IN AFGHANISTAN: IL DOVERE DI DARE UNA TESTIMONIANZA CRISTIANA
«Il Natale in Afghanistan è una festa un po' particolare, non è condivisa dalla popolazione locale, che è nella totalità musulmana. Quindi è una festa che riguarda esclusivamente i cristiani, che sono solo stranieri». Così il barnabita padre Giovanni Scalese, superiore della missione cattolica in Afghanistan, spiega a Vatican News la situazione nel Paese controllato in discreta parte dai talebani. «Molti di coloro che fanno parte della nostra comunità cristiana e che frequentano regolarmente la Chiesa, in queste occasioni tornano a casa per celebrare la festa con le loro famiglie; però ci sono altri che rimangono per tanti motivi e che in queste occasioni partecipano alle celebrazioni. Per noi è molto importante, perché proprio in questi momenti si prende maggiore consapevolezza della propria identità, di ciò che siamo. Il fatto di celebrare la nascita di Cristo significa per noi ricordarci che siamo cristiani e quindi anche quel dovere di dare una testimonianza».

 
Titolo originale: Asia Bibi e il suo Natale in una stanza chiusa
Fonte: Sito del Timone, 21 dicembre 2018