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La Turchia non entrerà mai a far parte della UE. Questa la sintesi di brutale franchezza con cui la Cancelliera tedesca Angela Merkel si è espressa in relazione ai negoziati che da decenni la Turchia porta avanti, con fasi alterne, per fare ingresso nell'Unione europea.
La cancelliera tedesca si è espressa senza mezzi termini sull'esclusione della Turchia dalla UE non solo nel corso del serrato dibattito con il candidato socialdemocratico Schulz, in vista delle prossime elezioni che si svolgeranno in autunno in Germania, ma anche in una sede istituzionale di alto rango come il Bundestag, la camera dei deputati tedesca.
Angela Merkel ha espressamente affermato che il prossimo vertice del Consiglio della UE (che riunisce i capi di stato e di governo dei ventotto Stati membri) dovrà pronunciarsi sulla doppia opzione, ovvero il congelamento dei negoziati o la chiusura degli stessi nei confronti della Turchia. In ogni caso il "diktat" del motore politico ed economico d'Europa, la Germania, è più che sufficiente per indicare la rotta che la UE intende seguire per risolvere l'affaire Turchia.
CONVENIENZA ELETTORALE? NON SOLO
Di fronte a questa presa di posizione alcune istituzioni politiche della UE, non pochi osservatori politici e mass media politically correct hanno cercato di smussare la portata delle frasi della cancelliera Merkel, attribuendole alla prossima scadenza elettorale politica in Germania ed alle palesi manifestazioni di insofferenza che l'elettorato tedesco ha mostrato nei confronti della pasticciata confusionaria gestione UE del problema dell'immigrazione clandestina e del potere "ricattatorio" esercitato dal Presidente turco Erdogan, che impegnandosi a "sigillare" le frontiere orientali di accesso all'Europa della marea di disperati in fuga da un Medio Oriente in piena anarchia politica, ha ottenuto ingentissimi finanziamenti economici da Bruxelles; la Merkel insomma avrebbe bisogno di riguadagnare la fiducia dell'elettorato tedesco di fronte al fallimento della gestione delle politiche migratorie di integrazione e agli enormi problemi di carattere politico, economico, culturale e religioso che ne sono derivati. Nulla di più errato.
È certo innegabile che la CDU, il partito cristiano conservatore tedesco al governo della locomotiva d'Europa con Angela Merkel da oltre un decennio ha la necessità di smarcarsi dalle posizioni più "buoniste" in tema di immigrazione della SPD, il partito socialdemocratico tedesco, ma è opportuno sottolineare che nel corso del dibattito politico tra la Merkel e Martin Schulz, lo stesso leader socialdemocratico ha riconosciuto la necessità di congelare i negoziati di adesione della Turchia alla UE.
LA TURCHIA IN EUROPA NON PUÒ PROPRIO ENTRARE
Si svela così un segreto di pulcinella, che in realtà gli analisti di politica estera ed i diplomatici di tante cancellerie hanno sempre conosciuto, a volte sottaciuto, ma mai negato: la Turchia in Europa non può proprio entrare. Le ragioni che spiegano la presa di posizione della leader tedesca sono molteplici, ma chiare, limpide e di assoluta ragionevolezza: soprattutto, se si avesse la pazienza di andare a rileggere e consultare le prese di posizione sul tema dei vari leader tedeschi negli ultimi ventanni, sono assolutamente in linea con la politica estera della Germania, che al riguardo non ha mai fatto mistero della sua avversione all'ingresso della Turchia nella UE.
Lo stesso potentissimo ministro delle finanza Wolfgang Schauble ha espressamente escluso la possibilità di un ingresso della Turchia nella UE. Dal 1963 la Turchia ha avviato i negoziati con l'allora Comunità europea, e da allora solamente un dossier su 33 è stato concluso con il pieno accordo delle parti: la Turchia in buona sostanza non è mai stata in grado di dimostrare di sapersi adeguare ai cosiddetti "Parametri di Copenaghen" - gli standard imposti dalla UE ad ogni Stato che intenda farne parte - in materia di democrazia, rispetto dei diritti civili, delle libertà personali, del libero mercato.
Non solo: la Turchia con arroganza continua a non riconoscere il diritto di uno Stato membro della UE, Cipro, ad ottenere la restituzione dei territori della parte nord-est dell'isola, occupati militarmente dalla Turchia fin dal 1973 e denominati pomposamente "Repubblica turca di Cipro del Nord", una sorta di repubblica delle banane riconosciuta solamente dal governo di Istanbul.
UN EVENTUALE INGRESSO DELLA TURCHIA NELLA UE SAREBBE UNA CATASTROFE
Ma accanto a queste legittime ragioni che in nome della violazione dello stato di diritto impediscono alla UE di riconoscere alla Turchia lo status di partner, è molto più interessante leggere nelle analisi ventennali dei politici e diplomatici tedeschi le vere ragioni dell'ostinato rifiuto del governo di Berlino ad accogliere gli eredi politici della Sublime Porta in Europa. La Turchia ha una popolazione di circa ottanta milioni di abitanti, e forte del sistema di voto ponderato vigente nel sistema normativo della UE, diverrebbe il secondo Stato con il maggior numero di rappresentanti politici nelle istituzioni, subito dopo la Germania e prima della Francia ed Italia.
La Turchia ha una porzione di territorio in Europa pari a solo il 3%, mentre tutta la sua collocazione geografica e geopolitica è sbilanciata sul Medio Oriente, proprio su un'area oggetto di guerre brutali e terrorismo da decenni, in cui il fattore religioso integralista islamico gioca un ruolo da padrone nel determinare gli indirizzi politici delle varie fazioni in lotta.
La Germania legittimamente - e pragmaticamente - ritiene che un eventuale ingresso della Turchia nella UE sarebbe una catastrofe in quanto grazie al peso del numero dei suoi rappresentanti nelle istituzioni la Turchia farebbe orientare pericolosissimamente la bussola della geopolitica europea a favore degli interessi del Medio Oriente, diventando di fatto l'ago della bilancia di ogni decisione a Bruxelles.
Prova provata che i fattori identitari culturali, religiosi ed etnici - tanto vituperati dalla vulgata della globalizzazione politically correct - sono ancora e restano criteri valutativi indispensabili per costruire ponti ed alleanze politiche basate sul rispetto reciproco dei valori di ogni società politica.
Nota di BastaBugie: Gianandrea Gaiani nell'articolo sottostante dal titolo "Jihadisti in Europa: in 50mila pronti a colpirci" parla dell'esercito potenziale di 50.000 uomini pronti a colpire l'Europa in nome di Maometto. La statistica sui potenziali terroristi nel Vecchio Continente, la metà dei quali si trova nel Regno Unito, è stata illustrata da Gilles de Kerchove, coordinatore dell'antiterrorismo di Bruxelles.
Ecco dunque l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 15 settembre 2017:
Circa 2.500 foreign fighters islamici provenienti dall'Europa stanno combattendo per l'Isis in Siria e in Iraq. Lo ha dichiarato il coordinatore dell'antiterrorismo di Bruxelles, Gilles de Kerchove, in un'intervista al giornale tedesco Die Welt.
"Molti moriranno in combattimento o saranno uccisi dallo Stato Islamico, poichè l'organizzazione non tollera i disertori. Altri si trasferiranno nelle aree di crisi di Somalia, Libia o Yemen". Kerchove ha precisato che circa 5.000 europei sono andati a combattere per lo Stato islamico (altri si sono arruolati con milizie qaediste o salafite), tuttavia 1.500 sono tornati e quasi 1.000 sono morti. Lo stesso de Kerchove teorizzò l'anno scorso al Parlamento Europeo l'impossibilità di incarcerare tutti i miliziani e terroristi che rientrano in Europa, affermando la necessità di "recuperarli alla società", come cercano in modo quasi comico di fare alcuni Stati come Svezia e Danimarca che hanno pagato sussidi di disoccupazione e invalidità anche ai foreign fighters recatisi in Siria e Iraq o che finanziano loro gli studi universitari una volta rientrati in Europa.
Pochi giorni fa il coordinatore della Ue aveva stimato in oltre 50mila i jihadisti pronti a colpire in Europa, quasi la metà in Gran Bretagna (dove solo 500 dei 3mila considerati molto pericolosi sono sotto costante sorveglianza da parte dei servizi di sicurezza interna MI5), 5mila in Spagna, 17 mila in Francia, 2.500 in Belgio. La perdita di terreno in Iraq e Siria pone "un reale rischio" di vedere rafforzati da parte dell'Isis i finanziamenti per nuovi attacchi in Europa, ha detto il 7 settembre il commissario alla Sicurezza Ue, Julian King, davanti alla commissione per le libertà civili dell'Europarlamento.
"Nel momento in cui stiamo vincendo sul terreno contro l'Isis, in Iraq e Siria, stanno trasferendo fondi fuori da Iraq e Siria", ha detto King. "C'è un reale rischio di nuovo afflusso di fondi destinati al terrorismo. Dobbiamo esserne coscienti e dobbiamo lavorare assieme per vedere il da farsi. Un rapporto Onu nel mese di agosto ha spiegato come l'Isis stia continuando a inviare 'rimesse' all'estero - spesso si tratta di piccole somme, difficili da intercettare - nell'ottica di alimentare le campagne terroristiche fuori dai Paesi dove hanno perso il controllo territoriale. Una dinamica confermata, ha fatto notare il commissario King, "dal ritmo accelerato degli attacchi in Europa". Le fonti di finanziamento dell'organizzazione jihadista restano in buona parte i profitti dalla vendita di petrolio e le tasse imposte alla popolazione nelle aree sotto il suo controllo. Questo, malgrado il ridimensionamento territoriale del 'Califfato" sia nell'ordine del 90% rispetto al periodo di massima espansione.
King però sembra dimenticare che le cellule terroristiche non hanno bisogno di molto denaro per organizzare attentati (quello di Barcellona è costato meno di 2mila euro) e l'Europa continua a sborsare generosi sussidi del proprio welfare. Come ha ricordato Lorenza Formicola sul sito Formiche.net l'imam libico Abu Ramadan, aderente alla Fratellanza Musulmana, predica dal 1998 lo sterminio di tutti gli infedeli, ma ha ricevuto in 20 anni più di 620.000 franchi (oltre mezzo milione di euro) dal welfare svizzero, per lo più in sussidi di disoccupazione. Alcuni membri del commando jihadista che attaccò Parigi avevano ricevuto oltre 50 mila euro di sussidi dal welfare belga così come Khuram Butt e altri terroristi jihadisti britannici, incluso Salman Abedi, il kamikaze di Manchester, che ricevette migliaia di sterline solo per essersi iscritto all'Università. Sami Abu-Yusu, imam Salafita della moschea al-Tawheed di Colonia, sostiene la legittimità degli stupri delle donne infedeli e il rogo per i gay, ma vive col sussidio di disoccupazione gentilmente offerto dallo Stato tedesco.
Julian King nel suo rapporto non ha dimenticato la lotta virtuale ai jihadisti del Web. Negli ultimi 2 anni Europol ha individuato "35mila elementi di contenuto terroristico online". Una quota compresa fra l'80 e il 90% di questi è stata eliminata: si tratta di circa 30mila contenuti.
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