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Che dietro le rivolte che stanno infiammando le piazze del Nordafrica e del Medio Oriente ci sia una genuina voglia di democrazia e di libertà non c'è dubbio. Che ci sia un inizio, appena un inizio, di rivoluzione culturale nel mondo islamico dove anche delle personalità religiose cominciano a fare i conti con i diritti umani, anche questo è indubbio.
Eppure questi aspetti positivi delle rivolte in atto non garantiscono sull'evoluzione della situazione, perché ci sono all'opera anche altre forze che rischiano di incanalare le proteste verso lidi ben distanti dalle attese dei popoli in fermento.
Nei giorni scorsi lo ha detto chiaramente il vescovo iracheno di Kirkuk, monsignor Louis Sako, secondo cui sono all'opera forze esterne che "hanno la volontà di cambiare lo status quo della regione". Secondo monsignor Sako ci sono da una parte gli interessi degli Stati Uniti che, avendo imparato la lezione di Iraq e Afghanistan, vogliono un "nuovo Medio Oriente" ma senza impegnarsi in altre guerre. Dall'altra parte c'è l'Iran, sciita, che mira apertamente a diventare la prima potenza regionale scavalcando in questo ruolo l'Arabia Saudita, sunnita. Ecco allora che l'indebolimento dell'Egitto e il rovesciamento di alcuni regimi, come quello del Bahrein (dove la minoranza sunnita governa su una maggioranza sciita) diventano una mossa di una più grande partita a scacchi.
Ma più in generale c'è il rischio che i movimenti fondamentalisti, almeno in alcuni paesi, prendano il controllo della situazione spostando gli equilibri della regione. "Il fondamentalismo – ha detto ancora monsignor Sako - ha paura che i paesi islamici perdano la loro identità religiosa: vedono l'Occidente come uno spazio vuoto dal punto di vista religioso e privo di valori spirituali. Quello che osservano dalla televisione è un mondo senza moralità, dove la religione non mantiene più la sua importanza. Se la modernità arriverà in Medio Oriente l'islam crollerà perché, a differenza del cristianesimo, non saprà capace di aggiornarsi".
Che la minaccia fondamentalista sia seria ce lo sta ricordando in questi giorni la Libia dove il crollo del regime di Gheddafi si teme possa spianare la strada ad avventure islamiste. I religiosi islamici si sono infatti schierati apertamente contro Gheddafi e le poche immagini delle proteste di piazze, filtrate in Occidente, mostrano la folla che si scontra con la polizia al grido di "Allah Akhbar" (Dio è grande). Le conseguenze di una tale trasformazione del regime sarebbero enormi: dalla stabilità della regione all'approvvigionamento energetico fino all'immigrazione.
Per questo i paesi europei sono chiamati a seguire con molta attenzione quanto sta avvenendo. E non è certo incoraggiante il sostanziale silenzio di queste settimane così come l'impossibilità dei ministri degli Esteri della Ue di arrivare a un documento esplicito e chiaro a difesa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente.
A questo proposito vale ancora la pena di riprendere le parole di monsignor Sako: "I cristiani del Medio Oriente hanno paura di fronte a questi cambiamenti. Sono in attesa di questa nuova fase con una speranza fragile e delicata. Hanno molto sofferto, per loro la democrazia è una bella soluzione ma vogliono capire il come e il quando della sua applicazione piena. Se non vedono soluzioni concrete e positive, se ne vanno dai loro paesi. Il vero nodo, di fronte ai vari cambiamenti in Medio Oriente, è la sicurezza: come è possibile vivere, soprattutto in quanto minoranza, quando la sicurezza non esiste?".
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