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A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina. Ebbene, per quanto riguarda i risultati delle elezioni legislative egiziane la sottoscritta ho pensato male, ma non ha indovinato. Doveva pensare peggio.
Chi come me ha da sempre sostenuto che in Egitto le elezioni democratiche avrebbero portato a una vittoria schiacciante dei Fratelli Musulmani ha indovinato. Ma credo che nessuno di noi avrebbe pensato che ai Fratelli Musulmani, che hanno ottenuto il 40% circa, si sarebbero aggiunti i salafiti, ovvero lo zoccolo duro dell'estremismo islamico, con un impensabile 20%. In altre parole risulta vincente il Partito della Libertà e della Giustizia, in seno alla coalizione sibillinamente denominata Alleanza Democratica per l'Egitto, seguito dal Partito al-Nur, distaccatosi dall'Alleanza Democratica per entrare nell'Alleanza islamica. Ha ragione chi dice che siamo solo alla prima tornata e che i risultati finali li avremo solo il 13 gennaio prossimo, ma non illudiamoci. Il 28 e 29 novembre scorsi si è votato al Cairo, Alessandria e altre sette circoscrizioni. Il 14 e 15 dicembre si voterà a Giza, Assuan e Suez. Il 3 e 4 gennaio si voterà nel Sinai. Significa che i primi risultati sono quelli delle aree urbane principali, quelle più ricche e istruite, quindi teoricamente più vicine alle idee laiche. Quindi le prossime tornate potranno solo peggiorare la situazione.
A chi pensa a una frattura o a una concorrenza tra le tue tendenze islamiche consiglio di non illudersi. Emad 'Abd al-Ghafur, leader del partito al-Nur, ha dichiarato che il successo del suo partito e di quello della Libertà e della Giustizia nella maggior parte delle circoscrizioni indica «il fallimento della politica del terrore nei confronti della corrente islamica, esercitata dal regime precedente e dalle altre correnti politiche negli ultimi dieci mesi». Ha anche aggiunto, ribadendo che l'uscita dall'Alleanza Democratica era stata causata da dissidi con gli elementi liberali non con la Fratellanza, che il suo partito «si alleerà con i Fratelli Musulmani».
Dal canto loro i Fratelli Musulmani hanno pubblicato sul loro sito Ikhwan Online un comunicato che si conclude dicendo che queste elezioni hanno dimostrato che «il popolo egiziano è in grado di proteggere e costruire un proprio Stato in modo legale; che il vento ha iniziato a spirare in una nuova direzione e che la rivoluzione ha iniziato ha raggiungere i propri obiettivi; che il popolo è maturo e può cacciare dall'agone politico quel che rimane del vecchio regime». Il popolo egiziano ha cacciato un dittatore, ma non ha cacciato il passato. Basti pensare che nelle elezioni del 2005 i Fratelli Musulmani si erano presentati con candidati indipendenti e avevano ottenuto 88 seggi, ovvero il 20%.
Il leader del partito al-Nur ha ragione quando dice che Mubarak ha fallito, ma non certo perché ha creato lo spettro islamista per restare al potere. Anzi, Mubarak ha sbagliato perché ha tollerato la presenza dei Fratelli musulmani ufficialmente messi al bando tanto da consentire la loro partecipazione "in incognito" alle elezioni del 2005, da far sì che la loro sede centrale fosse a due passi da piazza al-Tahrir, da consentire che la casa editrice filogovernativa Dar al-Shoruk pubblicasse tutte le opere del teologo dei Fratelli Musulmani Yusuf Qaradawi, nonostante quest'ultimo non potesse mettere piede in Egitto. Mubarak ha sbagliato in modo particolare a trascurare l'educazione delle nuove generazioni che onde evitare le aule superaffollate delle scuole pubbliche sono cresciute, soprattutto nelle zone rurali, all'ombra delle moschee gestite dall'estremismo islamico. Non si dimentichi che uno dei nodi cruciali e fondamentali della tattica dei Fratelli musulmani sin dal 1928, anno della loro fondazione, è l'educazione.
Se sommiamo gli errori di Mubarak, la disorganizzazione degli elementi liberali e laici della società egiziana e la perfetta macchina della Fratellanza, forte di esperienza e coesione, ecco il risultato odierno. Ma la sorpresa la vera sorpresa sono i salafiti. Costoro sono il risultato più aberrante di quello che l'intellettuale egiziano Tarek Heggy ama definire «il vento sabbioso che spira dal deserto saudita». Non a caso il partito al-Nur è quello che ha accettato di avere donne candidate, ma non solo non le ha ritratte nei manifesti elettorali, ma addirittura ha sostituito l'immagine della donna con quella del marito.
Padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, sembra fiducioso che nelle prossime tornate l'avanzata islamica possa essere arginata: «Le formazioni radicali islamiche non hanno ancora vinto del tutto. Questa è solo la prima fase delle elezioni. Occorre attendere i risultati delle altre due fasi, che avverranno a dicembre e a gennaio. Non è vero che da domani tutto l'Egitto diventerà musulmano radicale». La sua convinzione è che i liberali si possano organizzare meglio da qui a gennaio e che quindi la vittoria scontata degli islamici non sarà schiacciante. A sentire lo scrittore Gamal al-Ghitani si tratta di un wishful thinking: «L'Egitto entrerà nel suo periodo più buio se i Fratelli musulmani conquisteranno il Parlamento. Sarà la peggior epoca mai vista sino a quando costoro saranno la maggioranza».
Il pericolo che si corre è che l'Occidente che ha già sdoganato la Fratellanza ergendola a modello di islamismo "moderato", con il contraltare salafita si convincerà ancora di più che si tratta di "moderati". Si faccia attenzione perché, come dimostra la già annunciata alleanza tra gli elementi islamisti, si tratta solo di due facce della stessa medaglia, di due modalità diverse di porsi e presentarsi e di raggiungere il potere, ma il fine è lo stesso lo Stato islamico. E a chi spera e crede nella possibilità di una democrazia islamica ricordo le parole dell'intellettuale tunisina Raja Benslama: «Non possiamo considerare democratici quei mufti, quegli attivisti, quegli intellettuali islamici a meno che non pensiamo a una democrazia di tipo speciale […] una democrazia senza democrazia, qualcosa di perverso e detestabile come la propoaganda islamica riguardo ai diritti umani, come la riforma priva di riforma cui aspirano alcune associazioni arabe oggi».
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