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« Torna agli articoli di Leone Grotti
Rimsha Masih, Sarkis el Zakhm, monsignor Ma Daqin, Franck Talleu, Asia Bibi. Dal Pakistan estremista alla Cina comunista, dalla Siria devastata dalla guerra e dai terroristi fino alla laicissima Francia: cinque uomini e donne, sacerdoti e laici, perseguitati per la loro fede fino al martirio ai giorni nostri, cinque storie emblematiche che raccontano come il cristianesimo sia ancora sotto attacco, proprio come nei primi secoli, ma anche cinque testimonianze raccontate quest'anno da tempi.it di fede luminosa, riassumibili nelle ultime parole pronunciate in vita dal siriano Sarkis, prima di essere ucciso da chi voleva convertirlo all'islam: «Sono cristiano e se volete uccidermi per questo, fatelo».
1) RIMSHA MASIH (Pakistan)
Rimsha Masih stava giocando come tutti i giorni in strada davanti a casa sua nel villaggio di Mehrabadi, alle porte della capitale pakistana Islamabad, quando alcuni vicini l'hanno accusata di blasfemia per avere bruciato 10 pagine di un libro islamico, il Noorani Qaida, usato per imparare le basi dell'arabo e del Corano. Era il 16 agosto del 2012 e la cristiana di 14 anni, analfabeta e disabile mentale, non poteva immaginare che il giorno dopo folle di estremisti islamici avrebbero attaccato la sua famiglia e il quartiere cristiano costringendo 300 famiglie a fuggire.
Arrestata dalla polizia e rinchiusa nel carcere minorile di Rawalpindi, la giovane cristiana, come prevede la legge sulla blasfemia, ha rischiato la condanna a morte. Ma per la prima volta nella storia del Pakistan, la storia ha avuto un esito diverso. Invece che essere uccisa prima della fine del processo, Rimsha è stata giudicata e prosciolta da tutte le accuse.
Di più, il suo accusatore è stato condannato per aver fabbricato ad arte le "prove" e la comunità musulmana si è schierata con la giovane cristiana. Il 15 gennaio 2013 la Corte suprema del Pakistan ha riconosciuto in via definitiva l'innocenza di Rimsha, dimostrando a tutto il paese il modo strumentale in cui la legge sulla blasfemia viene usata per colpire i cristiani. Oggi Rimsha vive con la sua famiglia in Canada, perché in Pakistan rischierebbe ogni giorno la vita.
2) SARKIS EL ZAKHM (Siria)
«Sono cristiano e se volete uccidermi per questo, fatelo». Sono le ultime parole pronunciate da Sarkis el Zakhm prima di essere freddato dai terroristi legati ad al Qaeda di Jabhat al Nusra. Sarkis è stato ucciso «in odium fidei» insieme a Mikhael Taalab e Antoun Taalab, a Maloula in Siria, e la Chiesa ne ha chiesto la canonizzazione per martirio.
Lo scorso 4 settembre i terroristi islamici, che da quasi tre anni combattono il regime di Bashar Al Assad, hanno conquistato il villaggio di Maloula, incastonato tra due colossi di roccia, ritenuto la culla della cristianità siriana anche perché i suoi abitanti parlano ancora un "dialetto siriaco" molto simile, se non identico, al dialetto aramaico che parlavano Gesù e i primi cristiani.
Sarkis si è svegliato come tutta la città al mattino per gli spari e per gli islamisti che gridavano «Allahu Akbar», Dio è il più grande. I terroristi hanno buttato giù la porta di casa sua e hanno urlato: «Venite fuori e state tranquilli». Sarkis, insieme a Mikhael e Antoun, è uscito e ha fatto la sua professione di fede prima di essere ucciso come tanti altri cristiani in tutta la Siria a sangue freddo dai ribelli, che poi sono entrati in casa sparando e lanciando una bomba a mano.
La sorella di Antoun si è salvata ed è riuscita a recuperare i corpi dei tre cattolici, ai cui funerali nella cattedrale greco-cattolica di Damasco hanno partecipato centinaia di persone, «una via crucis immensa».
3) MA DAQIN (Cina)
Il 7 luglio 2013 doveva essere un giorno di festa per Taddeo Ma Daqin. Il giovane sacerdote, infatti, è stato consacrato vescovo ausiliare di Shanghai. Ma durante l'omelia, Ma ha deciso di annunciare davanti a tutti i fedeli che avrebbe abbandonato l'Associazione Patriottica, un surrogato della Chiesa cattolica creato dal Partito comunista cinese in opposizione al Papa e a Roma.
Queste le parole che sono costate a monsignor Ma l'inizio di un calvario che dura ancora oggi: «Con questa ordinazione, io consacro il mio cuore e la mia anima al ministero episcopale e all'evangelizzazione. Voglio dedicarmi ad assistere il vescovo [Jin Luxian, allora 96enne, oggi deceduto, ndr] e per questo ci sono alcune posizioni che mantengo e che risulterebbero sconvenienti. Da oggi in poi, dunque, non sarò più membro dell'Associazione patriottica».
Alla fine dell'ordinazione, la polizia ha aspettato il vescovo fuori dalla chiesa e l'ha arrestato portandolo nel monastero di Sheshan «per riposare». Per punirlo di essersi opposto al partito, la polizia l'ha privato della possibilità di uscire in pubblico e dire Messa per due anni. Infine, gli hanno anche revocato il titolo di vescovo, che resta però valido per la Chiesa Cattolica.
Sabato 27 aprile, Jin Luxian è morto e monsignor Ma è diventato il legittimo vescovo di Shanghai. Ma il partito comunista lo tiene ancora in prigione «per partecipare a dei "corsi di studio"» perché lui non ha voluto rinnegare il Papa come centinaia di altri sacerdoti cinesi. Da allora, le poche notizie che si hanno di lui si limitano a qualche articolo sulla natura pubblicato sul suo blog su internet.
4) FRANCK TALLEU (Francia)
Franck Talleu è francese e come in altri paesi europei anche in Francia non esiste la persecuzione violenta dei cristiani, ma una molto più sottile che vuole impedire loro di intervenire ed esprimersi pubblicamente nella società. Al contrario degli altri casi riportati, Franck non è stato minacciato di morte, né messo in prigione. Non a lungo, almeno.
Il direttore dell'Insegnamento cattolico a Soissons, Laon e Saint-Quentin lo scorso 1 aprile sfruttando la bella giornata è andato insieme alla moglie e ai sei figli a fare un pic-nic pasquale ai giardini del Lussemburgo. Ad aprile la società era pervasa dal dibattito sul matrimonio gay, poi approvato dal governo Hollande, e Franck portava la felpa della Manif pour tous, che rappresenta senza slogan un uomo, una donna e due bambini che si tengono per mano.
Le guardie che proteggono il Senato, che si trova vicino ai giardini, hanno avvicinato Franck e gli hanno imposto di togliersi o coprire la maglietta «perché contraria ai buoni costumi». «Io ho chiesto spiegazioni, dicendo che non era mia intenzione provocare nessuno, anche perché non vedo niente di scioccante o provocatorio nel simbolo – ha dichiarato Franck in un'intervista a tempi.it – Allora il tono si è un po' alzato, le guardie hanno detto che avrebbero steso un verbale e io ho risposto che non avevano il diritto di farmi un verbale perché indossavo una maglia. Allora mi hanno chiesto di seguirli al posto di polizia (foto a fianco, ndr) che si trova nel bel mezzo dei giardini e là mi hanno fatto una contravvenzione».
Franck è rimasto qualche ora al commissariato, poi è stato rilasciato dopo essere stato costretto a togliersi la maglia. Come testimoniato per primo da lui «chi sottolinea il fondamento naturale della famiglia, affermando un modello preferenziale di famiglia, rischia in Francia di creare dei problemi, perché c'è chi vuole che tutti i modi di formare una coppia siano messi sullo stesso piano». Franck è stato il primo, ma in tanti sono stati tenuti anche più di 15 ore in prigione per aver sostenuto che la famiglia è formata da uomo e donna.
5) ASIA BIBI (Pakistan)
Si trova in carcere da 1.649 giorni Asia Bibi. Anche lei cristiana, anche lei pakistana, anche lei accusata di blasfemia come Rimsha. La madre di 49 anni è colpevole di aver bevuto nel giugno 2009 nella stessa tazza di una musulmana e di aver rifiutato la conversione all'islam, chiedendo alle donne musulmane che si trovavano con lei se Maometto avesse fatto per loro la stessa cosa che ha fatto Gesù per i cristiani, morire in croce.
Per questo nel settembre 2010 Asia Bibi è stata condannata a morte e oggi aspetta ancora il processo di appello nel carcere femminile di Multan, lontana ore di viaggio da casa sua. Una Ong che segue la sua situazione giudiziaria ha reso note queste parole pronunciate dalla donna a giugno 2013: «Ho sacrificato la mia vita per seguire Gesù Cristo. Credo in Dio e nel suo grande amore e sono orgogliosa di sacrificarmi e passare la mia vita in prigione, come cristiana, piuttosto che convertirmi a un'altra religione in cambio della libertà».
Asia Bibi, oggi, potrebbe già essere fuori dal carcere prosciolta da ogni accusa. L'ha scritto lei stessa in una lettera, dando ulteriore testimonianza del suo coraggio e della sua fede: «Un giudice, l'onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all'islam. Io l'ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. "Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui"».
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