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« Torna agli articoli di Leone Grotti
Se il buongiorno si vede dal mattino, l'avventura della tedesca Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea non è cominciata molto bene. Non solo perché ha strappato l'approvazione del Parlamento europeo per appena nove voti, con il determinante appoggio del Movimento 5 stelle (quelli del cambiamento che sferzavano il Ppe), non solo perché è stata scelta con «una poco trasparente manovra di palazzo» (Corriere), ma anche perché dalle priorità indicate, e da come le ha esposte, si deduce una «sostanziale assuefazione allo status quo» che «non riavvicina l'Europa ai cittadini» (ancora Corriere).
SE VOTARE CAMBIASSE QUALCOSA NON CE LO LASCEREBBERO FARE
Nella nomina di Vdl, spiega Paolo Lepri sul Corriere, «l'unica innovazione minore partorita negli anni passati, cioè l'indicazione agli elettori dei capilista candidati alla guida della Commissione», è stata sconfessata. Ma rendere il governo dell'Unione Europea più democratico non era uno degli obiettivi? Come sottolineato da Andrea Bonanni su Repubblica, «dietro il pasticciato paradosso di una candidata che non prende tutti i voti dello schieramento in cui si riconosce, e ne prende invece dal fronte teoricamente avverso, c'è il peccato originale della scelta operata dai capi di governo al vertice che l'ha nominata. In quella riunione, i leader hanno di fatto affossato il sistema degli "Spitzenkandidaten", che riconosceva al Parlamento il diritto di indicare i concorrenti dei vari partiti per la guida della Commissione. Questa scelta ha lasciato ferite profonde».
Il governo italiano si è spaccato sull'elezione di Vdl (M5s ha votato sì, la Lega ha votato no), così come quello tedesco. Speriamo che questa scelta del partito di Matteo Salvini non pregiudichi l'affidamento all'Italia di un commissariato di peso. Di sicuro non fa ben sperare il fatto che Vdl, che nel suo discorso programmatico ha lisciato il pelo a tutti (ma proprio a tutti) gli schieramenti per implorarne i voti, abbia voluto tracciare un'unica linea di demarcazione: quella tra europeisti e populisti. Quelli cioè che, a ragione o a torto, hanno interpretato i timori della maggioranza dei cittadini europei a riguardo di un'Unione troppo fissata sul rapporto deficit/Pil e poco attenta alle esigenze dei singoli paesi. Non è un buon segnale.
PARITÀ DI GENERE E AMBIENTALISMO (STILE GRETA)
Come scrive Stefano Stefanini sulla Stampa, «chi cercava nella nuova Presidente nuovi slanci europeisti sarà forse rimasto deluso». È così. Molte delle emergenze presentate da Vdl al Parlamento europeo, non sono tali per la stragrande maggioranza dei cittadini europei. A partire dalla parità di genere. Il nuovo presidente ha assicurato che «se gli Stati membri non proporranno abbastanza donne commissarie, non esiterò a chiedere nuovi nomi». Questo non è esattamente il criterio meritocratico che dovrebbe guidare la scelta dei commissari e che tutti si aspetterebbero.
Per conquistare il cuore dei Verdi (che non l'hanno votata comunque), Vdl ha proposto un Patto verde e una legge europea sul clima affinché il nostro continente «raggiunga la neutralità carbonica entro il 2050». Greta Thunberg sarà sicuramente andata in brodo di giuggiole, ma come sottolinea il Giornale si tratta di un piano da «mille miliardi di euro» in un momento in cui i paesi dell'Ue crescono dello zero virgola. Vdl assicura che «guiderà negoziati internazionali» ma se il punto di partenza, come sembra, è sempre quello degli accordi di Parigi o del protocollo di Kyoto, è probabile che ottenga gli stessi risultati. Cioè nessuno.
PORTE APERTE AI MIGRANTI
Vdl ha spiegato che «non ci possono essere compromessi, in mare c'è l'obbligo di salvare vite» e ha strappato un'applauso facile all'Aula. Ma la crisi migratoria che ha colpito e diviso aspramente l'Europa va oltre questo assunto. Sulla solidarietà necessaria dei Ventotto verso chi è in prima linea nel salvataggio di vite umane, come l'Italia, e sulla redistribuzione dei migranti, ha promesso che proporrà «un nuovo patto». L'intento sembra positivo e la speranza è che sia diverso da quelli volontari proposti dalla sua mentore Angela Merkel, che si sono rivelati un buco nell'acqua.
Von der Leyen ha dispiegato un bel libro dei sogni pieno di tanta retorica buonista e politicamente corretta, ma poca concretezza. Ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte per compiacere tutti e raccattare voti a destra e a sinistra, senza riuscire del tutto nel suo intento. Le sue dichiarazioni passate sulla necessità dell'austerità mal si sposano con la promessa di permettere più flessibilità. Innovazioni che vadano verso una maggiore integrazione come bilancio unico dell'Eurozona o esercito comune sembrano già accantonate. Vdl ha citato Pericle: «Il segreto della felicità è la libertà, il segreto della libertà è il coraggio». Parlando della «culla dell'Europa» si è dimenticata di citare il cristianesimo, ma questa non è una novità. Di coraggio vero, nel suo discorso e nella sua nomina, se ne è visto davvero poco.
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