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TERMINATA LA FASE DIOCESANA DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DEL PROFESSOR JEROME LEJEUNE
Scoprì a soli 32 anni l'origine genetica della sindrome di Down e fu perciò candidato al Nobel, ma non gli fu assegnato perché si rifiutò di inaugurare l'era dell'eliminazione dei feti portatori di anomalie genetiche
di Gian Luigi Gigli
 

Le navate di Notre­Dame si sono riempite ieri sera in occasione della Messa per la vita, presieduta da monsignor de Moulins Beaufort, vescovo ausiliare di Parigi. Con la celebrazione eucaristica di ringraziamento è terminata la cerimonia per la chiusura dell'inchiesta diocesana della causa di beatificazione del professor Jerome Lejeune. Con centinaia di parigini, erano presenti la vedova del professore, i suoi quattro figli e i ventisette nipoti, molti colleghi e – particolarmente commossi – molti pazienti con sindrome di Down accompagnati dai familiari.
Jerome Lejeune è, infatti, colui che ha scoperto la Trisomia del cromosoma 21 quale causa della sindrome di Down.
Pensava che la sua scoperta sarebbe un giorno servita alla cura dei pazienti, e soffrì molto nel veder affermarsi la diagnosi prenatale come giustificazione dell'aborto, cosiddetto 'terapeutico' ma in realtà eugenetico, mirante all'eliminazione dei diversi. Allo stesso modo, non poteva evitare di appassionarsi quando parlava dei problemi della disabilità o del futuro della terapia per le malattie genetiche. È in tale contesto che maturò la sua appassionata battaglia contro l'aborto. La sua testimonianza forte e autorevole, fedele al magistero della Chiesa sui temi della vita, gli fece accettare serenamente l'ostracismo cui l'avevano condannato una parte del mondo accademico e alcuni ambienti dei medici francesi. L'intransigente difesa della vita nascente e, in particolare, la sua opposizione all'aborto in caso di malformazioni o malattie genetiche del nascituro gli costarono probabilmente anche un annunciatissimo Premio Nobel.
Colpita da tanta ostilità l'Associazione dei medici cattolici italiani maturò l'idea di nominarlo membro onorario, quasi a ripagarlo del non poter far parte dell'Associazione francese.
Ho avuto la fortuna di parlare a più riprese Jerome Lejeune. Oltre che un conferenziere brillante, era una persona molto amabile e un conversatore affascinante. L'incontro con Lejeune è stato per me, medico, un esempio tangibile di come fosse possibile coniugare la fede e la scienza senza difficoltà ed esitazioni, senza paure e senza timidezza, semplicemente per rendere testimonianza alla verità. È stato anche l'esempio di una fedeltà senza riserve al Papa e alla Chiesa da parte di una personalità disposta a pagare di persona, in termini di successo accademico e di ricchezza, per non venir meno alla sua coscienza. Un esempio di cui mi sono spesso ricordato quando mi è capitato di subire torti e pressioni per testimoniare l'amore alla vita.
Lejeune è il padre della moderna citogenetica, ha esplorato le aberrazioni cromosomiche e i difetti di saldatura del tubo neurale, ha lottato per trovare terapie per i suoi piccoli pazienti. A lui si deve l'uso ormai comune di arricchire la dieta delle gestanti con acido folico, per prevenire i danni allo sviluppo del sistema nervoso centrale durante la gravidanza.
Soprattutto gli dobbiamo una fedeltà indefettibile alla causa dei più fragili, i bambini non ancora nati. Senza rispetto per loro non è possibile costruire una società rispettosa di tutte le fragilità.
Lejeune è il modello di un laico capace di vivere in modo esemplare la vocazione cristiana nella famiglia, nella ricerca scientifica, nell'insegnamento e nella professione medica. Con Giovanni Paolo II sviluppò un legame speciale. Il Papa ne riconobbe pubblicamente la testimonianza nominandolo, pur già malato, primo presidente della neo­istituita Pontificia Accademia per la vita e inginocchiandosi, dopo la morte, sulla sua tomba nel cimitero di Parigi.
Convinto anch'io che Lejeune abbia esercitato in modo eroico le virtù cristiane, spero e prego che i suoi meriti possano essere riconosciuti dalla Chiesa. Sarebbe un modello formidabile per quanti operano nel campo della biologia e della medicina, oltre che per le gestanti in difficoltà, tentate di ricorrere all'aborto, e per tutti i bambini con problemi malformativi, ritardo mentale e malattie genetiche. Sarebbe il riferimento ideale per chi difende la vita e promuovere la dignità dell'uomo. Oggi Jerome Lejeune può aiutarci a recuperare un'antropologia rispettosa di ogni uomo e di tutto l'uomo, senza riserve e senza discriminazioni.

 
Fonte: Avvenire, 12/04/2012