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QUELLO CHE FINI NON SA (1)
La lettera che Papa Pio XI inviò al re per fermare le leggi razziali del 1938
di Luigi Matteo Napolitano
 

Sulla copertina del numero 7, 16 febbraio 2006 del settimanale "Panorama" è riportata la notizia della pubblicazione di una lettera che Papa Pio XI inviò il 5 novembre 1938 a Vittorio Emanuele III, re d’Italia, per impedire la promulgazione delle leggi razziali varate da Benito Mussolini contro gli ebrei.
Nel tentativo di impedire la pubblicazione delle leggi razziali, la Santa Sede aveva tentato una mediazione tramite il padre gesuita Pietro Tacchi Venturi e il sottosegretario al ministero degli Interni, Guido Buffarini-Guidi.
Fallita la mediazione il 4 novembre 1938, Pio XI scrisse al Duce, Benito Mussolini, dal quale non ottenne alcuna risposta.
Il 5 novembre, quindi, il Pontefice scrisse una lettera direttamente al re, Vittorio Emanuele III, protestando perché la legge "per la tutela della razza ariana" comprendeva norme in aperto contrasto con il Concordato stipulato l’11 febbraio del 1929 tra Santa Sede e Regno d’Italia. Nella lettera, Pio XI lamentava anche che Mussolini non avesse preso in considerazione il punto di vista della Santa Sede, neanche per ciò che riguardava gli ebrei convertiti alla religione cattolica.
La lettera, riprodotta per intero da "Panorama", è parte dei documenti contenuti nella collezione storica che Licio Gelli ha donato allo Stato italiano e che sono stati presentati l’11 febbraio 2006 a Pistoia.
Per approfondire il senso e la rilevanza storica di questa lettera, intervistiamo il professor Luigi Matteo Napolitano, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Urbino.
Che ne pensa della lettera inviata da Pio XI al re Vittorio Emanuele III per contrastare le leggi razziali, pubblicata dal settimanale "Panorama"?
Napolitano: La lettera non è una novità. Fu resa nota alla fine degli anni Cinquanta da Padre Angelo Martini, uno dei quattro gesuiti curatori dei documenti vaticani sulla Seconda Guerra Mondiale; e anche in quei volumi se ne trova traccia.
La lettera è stata pubblicata poi nel 2003 da Gianluca André, nel volume dei Documenti Diplomatici Italiani da lui curato. Più importante è dire che la missiva si pone nell’ambito di quella forte critica che la Santa Sede (nelle persone di Pio XI e del suo Segretario di Stato Eugenio Pacelli, poi suo successore) muoveva alla Germania hitleriana e al "modello razzista" importato in Italia da Mussolini. Su questo la documentazione è inoppugnabile.
Più importante è aggiungere un tassello a questa storia. È vero che il re rispose al Papa di aver trasmesso a Mussolini il suo messaggio, e che questo sarebbe stato tenuto "in massimo conto" per conciliare i punti di vista divergenti fra Chiesa e Stato. Ma questa era una risposta del tutto formale, di circostanza. Lo prova il fatto che la lettera del re fu redatta dallo stesso Mussolini il quale, nel prepararla, disse al sovrano che i punti di vista della Santa Sede e dell’Italia fascista erano "molto antitetici" e che il Vaticano stava tirando alquanto la corda con l’Italia, mollando completamente in altri casi (e non alludeva certo alla Germania, ma all’atteggiamento del Vaticano verso le potenze "democratiche"). Di queste considerazioni riservate ovviamente non vi è traccia nella risposta del re che, come si è detto, riproduceva alla lettera la bozza di Mussolini.
La sensazione diffusa dalla metà degli anni Sessanta in poi è che la Chiesa cattolica non avesse fatto nulla contro le leggi razziali. Questa lettera mostra invece un atteggiamento di critica severa contro quelle leggi. Sulla base della conoscenza che lei ha di quel periodo, cosa si può dire sull’atteggiamento della Santa Sede in merito alle leggi razziali?
Napolitano: Nel periodo considerato sono molti gli elementi che provano come tra la Santa Sede e le dittature ci fossero ripetuti e aspri contrasti. Non si tratta solo di una critica severa, ma anche di una generale ripulsa nei confronti di tutto ciò che nazismo e fascismo ormai rappresentavano, in termini di idee-guida e di direttrici politiche.
Tornando alla domanda, è importante vedere che cosa accadde dopo il decreto-legge del 10 novembre 1938, che varò le leggi razziali. Gli archivi conservano le note di protesta della Santa Sede contro queste leggi: la prima è del 13 novembre 1938, la seconda del 22 successivo. Ad esse il Governo italiano rispose con una nota del 29 novembre, cui il Vaticano replicò con altra nota del 14 dicembre.
Il bilancio di questi scambi e dei rapporti tra il Vaticano e l’Italia sta tutto nelle parole di Eugenio Pacelli riguardo alle leggi razziali fasciste: "Mussolini pensi bene a quello che fa: deve sapere che sono molti gli Italiani, anche in alto, malcontenti di Mussolini. È un vulnus al Concordato: il Santo Padre non si presterà in nessun modo". Questo risulta dagli archivi, e non solo da quelli vaticani.
Ci fu qualche altra istituzione, gruppo politico o corrente culturale che si oppose alle leggi razziali?
Napolitano: Le leggi razziali rappresentavano un innesto innaturale nella cultura e nei valori italiani. Pur dietro un’apparente consenso al regime, non dovrebbe sorprendere il riscontrare diffuse aree di dissenso nei confronti di quelle leggi, considerate una passiva imitazione del nazismo: un "corpo estraneo" (e purtroppo invasivo) nella vita italiana.
La Chiesa cattolica e i fedeli, in grado diverso, svilupparono così una "disubbidienza civile" nei confronti di quelle leggi, proprio come accadde nella Francia di Vichy; e lo fecero aiutando gli ebrei perseguitati nei modi in cui ciò si poté fare. Lo prova, del resto, anche il recente volume sui "Giusti italiani" (molti dei quali cattolici) curato da Yad Vashem. La Santa Sede fece fronte all’emergenza razziale con la sua rete di nunziature, delegazioni apostoliche e diocesi; ma anche creando un ufficio dedicato all’assistenza di tutte le vittime di guerra. Nessuna organizzazione o istituzione impegnata in questo campo (come la Croce Rossa internazionale o le stesse agenzie ebraiche) poté privarsi del consiglio e della collaborazione del Vaticano nei momenti più drammatici della Seconda Guerra Mondiale e della Shoah.
A chi dice che la Chiesa fece poco bisogna rispondere che fece tutto quello che si poteva fare in quella situazione, di fronte a regimi dittatoriali, per salvaguardare la dottrina ma anche  per salvare le vite umane.
La stessa cosa accade oggi con la Cina, dove i cattolici sono duramente perseguitati e dove la Chiesa evita proteste pubbliche che inasprirebbero la situazione di coloro che vivono in una situazione di persecuzione.