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« Torna agli articoli di Luisella Saro
Oggi racconterò di una figlia che non c'è più e di una mamma che c'è ancora. E di legami che, accada quel che accada, non si spezzano mai.
Non è naturale, non dovrebbe esserlo, che una madre sopravviva ai figli: il ciclo della vita vorrebbe che prima se ne andassero i più vecchi. Eppure dentro le nostre famiglie è accaduto, accade. Anche tra i nostri amici, i conoscenti. Non credo ci sia dolore più grande.
Oggi che si festeggia la mamma, è di queste due donne che voglio parlare. Una storia che nessun giornale ha raccontato perché non fa notizia e non fa rumore se non nel cuore di chi l'ha vissuta o l'ha sentita raccontare. Una storia come tante.
A novembre se n'è andata una mia amica carissima. Una leucemia diagnosticata all'inizio dell'anno, visite, terapie, e cinque mesi di ospedale in quei reparti in cui dalle camere non si esce e le visite sono centellinate nel numero e nei minuti. Incontri filtrati da mascherine, camici, cuffie, calzascarpe. E' così debole l'organismo, sono così basse le difese immunitarie che ogni contatto con l'esterno può nascondere insidie e rivelarsi fatale.
Non era sposata, la mia amica. Stessa classe alle medie e al biennio del classico, poi lei ha cambiato strada, ma non ci siamo perse mai.
Viveva con la madre – il padre è morto qualche anno fa – e quando è stato necessario il ricovero a Udine, in ematologia, la mamma ha preso una camera in un albergo vicino all'ospedale e due volte al giorno, sempre un po' prima dell'orario di visita, a piedi si recava al nosocomio, saliva al quinto piano e aspettava davanti alla porta a vetri. Sperava la facessero entrare un po' prima dell'orario, chiedeva che la lasciassero rimanere un po' dopo che il tempo per stare insieme era finito e per tutti tornava la divisione tra il mondo dentro e il mondo fuori. Anziana e con un grave problema ad un occhio, le teneva compagnia quando mangiava se mangiava, e le raccontava di sé e portava le notizie di fuori e di casa. O stava in silenzio se lei aveva sonno, se aveva male, se la nausea le toglieva la voglia di tutto. Stava lì.
Il mercoledì, se non avevo impegni scolastici pomeridiani, approfittando del mio giorno libero andavo a Udine per stare accanto a sua madre (come sono lunghe le giornate quando sei fuori casa, quando sei sola, quando hai quel dolore nel cuore...) e per fare compagnia a lei, perché vedesse volti diversi da quelli dei medici e degli infermieri. Perché, attraverso me, sentisse aria di casa, di amici, di normalità.
Ho cercato più volte di dirle al telefono che sarei andata al posto di sua mamma, che sarebbe stato bene far riposare un po' quella povera donna. E confesso che mi sembrava egoismo, il suo, quando insisteva perché oltre a me, che pur vedeva volentieri, ci fosse sempre anche sua madre. E se si ammala chi ti segue, le dicevo. Niente.
La mamma è andata da lei, puntuale, due volte al giorno tutti i giorni per tutti i mesi di degenza. E con lei è andata a tutte le visite, a tutti gli esami. L'avrei voluta sostituire non solo per sollevarla un po' dalla fatica, ma anche per risparmiarle la pena delle chemio, delle complicazioni, di quei capelli che cadevano a ciocche. Non c'è stato verso. Né con l'una, né con l'altra. Eppure ci conoscevamo da una vita, siamo state in classe insieme, mi ha confidato tutti i suoi segreti, mi chiamava sorellina...
Non era nemmeno pudore. L'ospedale ti mette a nudo: ti spoglia del lavoro che fai, degli hobby che hai, del look che ti sei scelta. E così la malattia, quella malattia. In quei giorni l'ho imboccata anch'io, l'ho accompagnata in bagno anch'io, l'ho lavata anch'io. Ho raccolto il suo pianto, il suo dolore, le sue paure anch'io. Poi l'ho capito che i suoi non erano capricci.
So che la mamma è vecchia, fatica a camminare e vede poco, mi ha detto. Lo so che quel che fa lei puoi farlo anche tu, può farlo chiunque e forse lo fa meglio di lei. Lo so che non è lei che può farmi guarire. Ma a me basta che la mamma mi guardi.
Oggi che è la festa della mamma, mi tornano in mente quei mesi e queste parole.
In quella fedeltà silenziosa all'orario di visita e alla carne della sua carne fino all'ultimo giorno, all'ultimo respiro, ho visto l'amore di tutte le madri. Incondizionato, gratuito. Segno dell'Amore da cui veniamo e verso cui tutti tendiamo, che è amore per sempre. In lei, la mia amica, ho visto e vedo me e tutti i figli del mondo. Bisognosi, ultimamente, solo di quello sguardo. Perché vivere ha senso, e gioire, e faticare, e sopportare il dolore, se ci sentiamo guardati da qualcuno che ci ama... così. Se no, non vale la pena.
Nota di BastaBugie: la canzone "Mamma tutto" cantata da Iva Zanicchi, riassume bene il grazie che ogni figlio deve a sua madre (e smaschera la violenza di chi vorrebbe togliere per legge il diritto di ogni bambino di avere un papà e... una mamma)
https://www.youtube.com/watch?v=KbWCQboRd4o
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