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« Torna agli articoli di Luisella Scrosati
Un'intensa liturgia penitenziale, sobria, raccolta, piena di silenzio ha ricollocato la Chiesa nella sua posizione di verità di fronte a Dio. Il riconoscimento della colpa, il bisogno del perdono, la mano tesa a chiedere quel soccorso che solo può ridare speranza, in un mondo che ha raggiunto il culmine dell'empietà. E poi l'atto tanto atteso, che ha tenuto il mondo sospeso, che ha tenuto Dio sospeso; come tenne sospesa la creazione intera e la Santissima Trinità, più di duemila anni fa, quel momento di silenzio intercorso tra l'annuncio dell'Arcangelo Gabriele e la risposta di Maria di Nazareth.
Abbiamo udito con le orecchie del corpo le parole del Santo Padre che chiedeva perdono, a nome di tutti, e consacrava la Chiesa e il mondo, la Russia e l'Ucraina al Cuore Immacolato di Maria. Ora le orecchie della fede ci fanno udire la Madonna che, nostra Avvocata, si presenta al trono di Dio, con in mano il mondo, la Chiesa e specialmente la Russia e l'Ucraina come sua proprietà.
Quello che è avvenuto ieri sera è stato una "ricucitura" tra Cielo e terra, l'abbattimento di un muro che il nostro mondo ha costruito, per rendere inaccessibile il Cielo agli uomini, e la ricostruzione di un ponte. E questo ponte non poteva essere ricostruito se non in Colei che ha portato in Sé e donato al mondo il Pontefice eterno, Gesù Cristo Signore nostro; non poteva essere riedificato se non tramite colui che è stato costituito Vicario di Cristo e perciò Sommo Pontefice (appunto, colui che fa da ponte). Tra Lei e lui, tra Maria e Pietro, c'è un rapporto tutto speciale, unico, insostituibile, che dalle apparizioni di Fatima in poi è divenuto molto, molto speciale. Più volte ieri sera, il Papa e la Madonna si sono guardati intensamente, portando in quello sguardo il dolore e la speranza di tutti.
Ieri abbiamo assistito alla ricostituzione di quell'ordine e di quella via d'uscita che la Madonna aveva indicato un secolo fa nel piccolo villaggio portoghese e che lega strettamente tra loro il popolo di Dio, il suo supremo Pastore in terra e la Madre di Dio. A Fatima la Madonna ha chiesto al suo popolo di riparare, intercedere, espiare, mediante la Comunione dei primi sabati, il Santo Rosario, l'offerta di sacrifici e di sé stessi. Ha poi chiesto al Papa che, in comunione con tutti i vescovi, consacrasse la Russia al Suo Cuore Immacolato, fortificando così il ruolo insostituibile che il Papa e la gerarchia cattolica hanno nel piano di salvezza di Dio, a vantaggio del mondo intero.
RICONDURRE TUTTO A DIO
E ieri abbiamo visto per un po' questo ordine ricostituito; abbiamo visto il popolo del Signore, grandi e piccoli, pastori e gregge, domandare perdono a Dio, unirsi in preghiera per questo atto solenne, riconoscendo la voce del pastore, che finalmente li portava a rimettere la loro speranza nella protezione della Madre di Dio, più che in ogni altra iniziativa terrena. Abbiamo visto il Sommo Pontefice - con tutti i pastori della Chiesa - accogliere con umiltà e docilità la richiesta del Cielo, compiendo una consacrazione che egli solo poteva compiere. Perché la Vergine Santa non è venuta a sostituirsi ai pastori e ai fedeli, ma a chiedere loro di vivere secondo quella missione che il Signore ha loro affidato.
È oggettivamente difficile affermare che la modalità con cui è stata compiuta la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria della Chiesa, del mondo, e in particolare della Russia e dell'Ucraina, non corrisponda a quanto richiesto dalla Santissima Vergine a Fatima. E ciò nonostante quanto si possa pensare della "validità" dell'atto compiuto da san Giovanni Paolo II nel 1984 e a prescindere dalle mille considerazioni critiche che si possono fare di questo controverso pontificato.
Il cuore dell'atto sta lì, nelle parole decisive: «Noi, dunque, Madre di Dio e nostra, solennemente affidiamo e consacriamo al tuo Cuore immacolato noi stessi, la Chiesa e l'umanità intera, in modo speciale la Russia e l'Ucraina». Tutti i vescovi e i sacerdoti del mondo si sono uniti al Sommo Pontefice in questo atto che contiene tutti gli elementi essenziali richiesti dalla Madonna nel 1917, ognuno dei quali ha un significato pregnante; significato che noi uomini continuamente sovraesposti ad una comunicazione continua, veloce, per lo più superficiale non comprendiamo più.
Anzitutto, è presente la forma espressa della consacrazione, alla quale si accompagna anche l'affidamento: non si esagererà mai l'importanza di questa parola - consacrazione - e dell'atto che essa esprime. Dopo decenni di secolarizzazione a tutti i livelli, al punto che, in ambito cattolico, abbiamo assistito non solo alla demolizione sistematica del sacro, ma addirittura alla critica della sua stessa idea, l'atto di consacrazione fa invertire la rotta di 180 gradi. Dopo anni e anni in cui si è lavorato indefessamente e insipientemente per cancellare ogni elemento di sacralità fin nell'intimità del culto, in obbedienza allo slogan che tanto "tutto è già sacro" - e così, per una rigorosa dinamica interna, più nulla ormai lo è - la consacrazione ricorda e attua quel grande movimento per cui l'uomo esiste: ricondurre tutto a Dio, consacrando tutto a Lui.
L'IMPRESCINDIBILE MEDIAZIONE DI MARIA
Poi, il "destinatario" della consacrazione, ossia la Trinità Santissima attraverso l'imprescindibile mediazione del Cuore Immacolato. Dopo anni di minimalismo mariano, si torna a riconoscere «solennemente», per usare le parole contenute nel testo, che Maria può (e deve) essere destinataria dell'atto della consacrazione, perché Ella è stata costituita Mediatrice di tutte le grazie. Se ne è già parlato (vedi qui) e non è il caso di soffermarsi ulteriormente. Ma quanto è bello sottolineare l'infinita pazienza di Maria Santissima e il Suo rispetto per quanto stabilito dal Figlio; la Sua mediazione, infatti, non ha voluto sostituire le mediazioni umane disposte da Dio, che culminano in quella del Sommo Pontefice, ma le ha stimolate, attese, nobilitate.
E poi l'oggetto della consacrazione. Alcuni hanno criticato il fatto che la formula della consacrazione abbia aggiunto la Chiesa, il mondo e l'Ucraina, laddove invece la Madonna aveva chiesto la consacrazione della sola Russia. Ed è vero che suor Lucia, in riferimento alla consacrazione del 1982, aveva precisato che la Madonna aveva chiesto non la consacrazione del mondo, ma della sola Russia. Una "disobbedienza" che non disattende però la richiesta della Madre di Dio, ma le riconosce la potestà sull'universo intero e sulla Chiesa universale, senza tacere di quella nazione da Lei tanto attesa. Riguardo all'Ucraina, appare piuttosto scontato che essa venga consacrata insieme alla Russia, non solo in ragione di quanto sta accadendo da anni a questa parte (nonostante qualcuno faccia finta che la guerra sia scoppiata solo alla fine di febbraio), ma anche perché si tratta di due nazioni intimamente legate per il loro battesimo nella fede cristiana e la consacrazione alla Madonna proprio della Rus'-Ucraina da parte di Jaroslav il Saggio. Un legame che in questa consacrazione viene purificato e rafforzato.
Infine, l'adesione di tutti i vescovi e addirittura di tutti i sacerdoti del mondo, che sono stati espressamente chiamati ad unirsi a questo atto. È oggettivamente difficile trovare una consacrazione, dal 1952 ad oggi, passando per quella del 1984, più aderente alle richieste della Madre di Dio di quella avvenuta ieri. Ed è qui, su questo lato oggettivo delle cose che occorre fermarsi, accogliendo l'invito di tornare a Dio che Francesco ieri ha a più riprese rivolto a tutti.
Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "Non vanifichiamo l'atto di consacrazione" spiega perché l'atto del 25 marzo rischia di rimanere un episodio isolato. E che nel conflitto russo-ucraino c'è bisogno di cambiare prospettiva per uscire dalla logica del nemico e del tifo.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 28 marzo 2022:
C'è un rischio molto concreto per noi di vanificare l'atto di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria che papa Francesco e vescovi di tutto il mondo hanno compiuto il 25 marzo. Vanificare o perlomeno depotenziare. Perché, come abbiamo avuto modo di spiegare, non venga inteso come un rito magico, l'atto di consacrazione impegna ciascuno di noi alla conversione, esige la nostra disponibilità «a lasciarci riconciliare con Dio», come San Paolo supplica i Corinzi nella lettura che abbiamo ascoltato ieri a Messa. E questo vale a prescindere da quanto l'atto di consacrazione sia esattamente aderente alla richiesta fatta dalla Madonna a Fatima, se manchi questo o quel dettaglio, se sia ancora in tempo oppure no, tutte questioni su cui vedo tanta gente ama disquisire. Perché, Fatima o non Fatima, l'unica risposta alla guerra e ai vari castighi è la nostra conversione: lo abbiamo sentito dallo stesso Gesù nel Vangelo letto l'altra domenica: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13, 5).
Questo ovviamente senza escludere la possibilità che Dio intervenga direttamente aprendo i cuori e le menti di quanti oggi sembrano così entusiasticamente protesi alla guerra. Ma mentre speriamo e preghiamo per questo intervento, anche per noi tutti questa è un'occasione da non perdere. Per questo non possiamo fare a meno di notare come l'atto di consacrazione rischi di restare un episodio isolato, che non incide più di tanto nel nostro cuore e nella nostra mente. Una bella preghiera, un bel momento che magari ci ha fatto anche commuovere, un bel pomeriggio di fede vissuta, ma ora se la sbrighi la Madonna con Suo Figlio, mentre noi torniamo alle nostre occupazioni. In particolare, vedo che torniamo a pensare a quanto accade in Ucraina esattamente come facevamo fino al 25 mattina.
E infatti, sfumati i commenti alla consacrazione, eccoci di nuovo allo scontro tra tifoserie, contro Putin o contro la Nato, per Zelensky o contro Zelensky. Le ragioni dell'uno contro le ragioni dell'altro, o meglio: le ragioni dell'uno ignorando quelle dell'altro. In pratica, come se l'atto di consacrazione non fosse mai avvenuto, non l'avessimo vissuto.
La conversione non è vera se non incide anche nel nostro modo di pensare, nel nostro modo di guardare anche a questa situazione di guerra. Non si tratta di cambiare squadra per cui tifare o diventare equidistanti, tutt'altro. All'inizio di questa guerra, ho già citato ampiamente una riflessione del metropolita Antonij, che descrive quale sia il compito a cui è chiamato un cristiano davanti a una realtà di ingiustizia e violenza; come ci sia chiesto di essere uniti con tutti, «sia con chi ha ragione sia con chi è colpevole», perché Gesù «ha abbracciato tutti con un unico amore».
C'è però un primo, piccolo, passo che indica se ci stiamo muovendo in questa direzione o meno. Se, come abbiamo pregato con l'atto di consacrazione, la radice della guerra è il nostro peccato, il nostro esserci allontanati da Dio, «ignorare Dio, convivere con le nostre falsità», questo riguarda tutti: governo russo, ucraino, Nato, Unione Europea e tutti quanti partecipano a questo "gioco". Il primo passo è proprio smetterla con il tifo. Nessuno può vantare o pretendere che ci sia qualcuno che abbia la coscienza immacolata. Fa molta impressione in questi giorni vedere come gli uni, per dare ragione a Putin, siano disposti a passare sopra l'aggressione, le distruzioni, i morti e i tre milioni di profughi; e gli altri, pur di condannare Putin, sono pronti a chiudere un occhio sulle atrocità commesse anche dai militari ucraini o addirittura rendono romantiche le gesta del battaglione Azov, di chiara matrice neonazista. Chiudere gli occhi sull'uno o sull'altro vuol dire essere complici della violenza.
Chi vede soltanto le ragioni degli uni, come se il peccato riguardasse soltanto una parte in causa, persevera sulla strada sbagliata. E questo non per dire che tutti hanno pari responsabilità in ogni frangente, ma, come abbiamo già spiegato, sono tanti i fattori da considerare e le ragioni che si scontrano. L'Ucraina giustamente lamenta l'aggressione della Russia e ha diritto a difendersi; ma la Russia giustamente può lamentarsi delle provocazioni della Nato; e i paesi dell'ex Patto di Varsavia hanno tutte le ragioni a temere il nuovo espansionismo russo e chiedere l'ombrello della Nato, e così via.
Ci sono mille ragioni per fare la guerra, una sola per fermarla: la consapevolezza che ogni guerra porta con sé un carico di sofferenza, violenza, distruzione dell'umanità, morte, che chiama a sua volta altra violenza, altra distruzione, altra morte. Non c'è guerra che non provochi maggiori ingiustizie di quelle che si voleva correggere. Lo sappiamo: l'esito della Prima guerra mondiale ha posto le basi per la Seconda; la prima Guerra del Golfo ha portato a una instabilità di tutta la regione - e non solo - che a distanza di oltre trent'anni sta solo peggiorando. E si potrebbe andare avanti all'infinito: non per niente, nei tentativi di andare alle radici del conflitto russo-ucraino in corso, abbiamo letto ricostruzioni storiche che, di guerra in guerra, arrivano fino al XIII secolo.
La storia è un groviglio di torti e ragioni, se ne esce solo cambiando prospettiva, uscendo dalla logica del nemico, dall'illusione che il mondo sarebbe meglio senza questo o quell'uomo, senza questo o quel popolo. Se ne esce anzitutto tornando a Dio, cominciando da noi.
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