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« Torna agli articoli di Marina Corradi

Nello schizzare di fango che viene ormai ogni mattina dai quotidiani, con ventilati annunci di sempre maggiori scandali, e rivelazioni, e signore autofotografatesi – che singolare abitudine – in bagno durante una festa, vien voglia, almeno a noi, di voltare pagina verso altre storie – per esempio i massacri a Teheran, per esempio la morte annunciata di altri milioni di uomini, quest’anno, per fame. Ma le storie di Palazzo Grazioli hanno scosso molti, anche fra i lettori di Avvenire, e vorremmo allora provare a discuterne pacatamente.
Dunque: non fa piacere a nessun cittadino apprendere che il presidente del Consiglio, a oltre settant’anni, per svagarsi riceve delle fanciulle che le cronache chiamano "escort". Se sapessimo la stessa cosa di nostro padre, ne saremmo rattristati; penseremmo a uno squilibrio, a una sorta di esorcismo della vecchiaia, in un uomo che in realtà la teme. Una debolezza, una fragilità tuttavia private. In lingua cristiana, peccati. Che però – e sorprende un po’ che proprio dei cattolici come noi debbano ricordarlo – in quanto peccati, non sono reati. Non si capisce insomma quale dovrebbe essere il reato addebitato, in una inchiesta penale. E invece vortica la gogna mediatica, e soffia vento di impeachment; benché Berlusconi sia stato eletto con un ampio consenso popolare.
Allora non si può non domandarsi quanto questa indignazione sia strumentale. Se cioè i gossip contro Berlusconi non siano l’ultimo tentativo di scalzare un ingombrante avversario, quando per via elettorale non ci si è riusciti in alcun modo. È un tallone d’Achille, la "sregolatezza" del Cavaliere, su cui accanirsi facilmente. Su cui cercare il consenso dei cattolici, nel nome della decenza, e della morale cristiana. Se la Chiesa poi non parte lancia in resta, la si accusa di badare alla convenienza politica; se non grida scomuniche, la si avverte, come ieri sul fondo di Repubblica, che la sua voce in difesa della famiglia sarà d’ora in poi «molto meno credibile».
Si vorrebbe, d’improvviso, una Chiesa ingerente, che condanna un politico per la sua condotta morale; si vorrebbe d’improvviso una Chiesa moralista – ma non era questa la grande accusa ai cattolici? – che si accanisce contro il peccatore, più che sul peccato. Si vorrebbe una Chiesa giustizialista, che confonde peccati e avvisi di garanzia.
Ora, tutto ciò, oltre che strumentale a un disegno politico, appare doppiamente strano se si pensa al pulpito da cui viene la predica. È la stessa parte politica e mediatica che da trent’anni modernizza l’Italia, dettando i dogmi della nuova morale: l’irrilevanza del matrimonio, la liceità di divorzio e aborto, l’equivalenza di ogni tipo di "famiglia". Il "partito" che chiede anche ai cattolici la condanna di Berlusconi, è lo stesso che ha ribaltato i canoni della morale cristiana di questo Paese, nel nome di una modernità liberata dall’«oscurantismo» cattolico. Singolare, in una cultura che ci ha insegnato che l’aborto è un «diritto», che la fedeltà coniugale è cosa d’altri tempi e che i preservativi bisogna distribuirli a scuola, quest’onda di indignazione per un politico a cui piacciono – troppo, è vero – le donne.
La coscienza di Berlusconi, tuttavia, è un suo privato contenzioso col Padreterno. Vorremmo potere smettere di occuparcene – magari anche il premier potrebbe dare una mano in tal senso – e vedere che cosa il suo governo fa per l’occupazione, le famiglie, la scuola, l’immigrazione, la crisi demografica. Questo ci interessa assai di più che le foto dei bagni di Palazzo Grazioli. Scommetteremmo anzi che questo interessa di più, a molti italiani. Questa è la vera questione morale. Il resto è battaglia di potere, nella cui buona fede fatichiamo a credere.
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