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« Torna agli articoli di Mario Palmaro

Un nuovo atto di "magistratura creativa" si è incaricato di dare un'altra spinta alla legalizzazione dell'eutanasia in Italia. Succede infatti che il Tribunale di Firenze ha accolto la richiesta di un settantenne in buona salute, che intendeva nominare un «amministratore di sostegno» a norma dell'articolo 408 del Codice Civile. Poco importa che l'amministratore sia stato introdotto dal legislatore per ben altro scopo. Secondo i giudici fiorentini, è legittimo nominarsi una sorta di tutore legale che, in caso di perdita di coscienza, può impedire ai medici di procedere con la rianimazione cardiopolmonare, la dialisi, la ventilazione, l'alimentazione e l'idratazione artificiale, se questa era la volontà espressa dal paziente a suo tempo capace di intendere e di volere. Insomma, il tutore può dare il via libera all'eutanasia senza che nessuno possa contrastarlo.
La decisione é dotata di un singolare tempismo, perché proprio nelle prossime settimane il Parlamento dovrà discutere il testo di legge sulle cosiddette DAT, le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. L'impressione di molti è che, dopo la vicenda Englaro, e dopo una decisione come quella del Tribunale di Firenze, ormai nell'ordinamento giuridico italiano si sia aperto un varco che permette comportamenti eutanasici, mediante l'abbandono terapeutico del paziente.
Questi ragionamenti hanno creato un clima di attesa di questo genere: i cattolici e molti pro life pensano che, se la legge sulle DAT verrà approvata, il rischio eutanasia sarà scongiurato.
Ma è proprio vero che le decisioni dei giudici hanno "cambiato" le leggi del nostro Paese sul fine vita?
In realtà, il nostro ordinamento continua ad avere un presidio molto solido contro l'eutanasia e l'abbandono terapeutico nelle norme del Codice Penale regolarmente in vigore, soprattutto gli articoli sull'omicidio del consenziente e sull'istigazione al suicidio. Quindi di per sé non siamo di fronte a una situazione di vuoto legislativo o di "far west".
Il fatto è che alcuni giudici – per altro civili e non penali – hanno assunto provvedimenti che ignorano questo profilo. Ma c'è una verità tecnico-giuridica troppo spesso dimenticata: le decisioni dei giudici non hanno la forza di creare una legge erga omnes, ma decidono un caso concreto. Nulla impedisce, quindi, che un provvedimento come quello di cui stiamo parlando venga ribaltato da altri magistrati chiamati a decidere sulla medesima questione. E infatti, sempre a Firenze, tempo fa un'analoga richiesta di uso dell'assistente di sostegno pro testamento biologico era stata respinta prima dal giudice tutelare e poi dalla Corte d'Appello.
E' ormai evidente a tutti che lo scopo di alcuni settori della magistratura favorevoli all'eutanasia è proprio quello di spingere il Parlamento a fare una legge e a riconoscere il testamento biologico. E anche ammettendo che il testo sulle DAT di prossima discussione non venga stravolto, esso comporta il riconoscimento solenne da parte della legge della efficacia e validità del testamento biologico. E contiene ulteriori "zone grigie" che andranno ben oltre il principio di autonomia del paziente. Dato che il problema vero è quello di impedire il proliferare di "sentenze creative", l'unica legge necessaria è quella che chiarisce in modo inequivocabile che è vietata la sospensione di alimentazione e idratazione ai soggetti incapaci.
Proprio perché il problema vero è la volontà di alcuni giudici di forzare la legislazione a colpi di sentenze, dobbiamo però essere realisti ed evitare facili illusioni. Una legge sulle DAT non è garanzia contro le "sentenze creative"; anzi con ogni probabilità esse si moltiplicheranno – in maniera direttamente proporzionale all'ambiguità delle norme approvate -, e si assisterà a uno stillicidio di ricorsi, anche in sede costituzionale. Al proposito c'è un illuminante precedente, quello della Legge 40 sulla fecondazione artificiale, che dal 2004 a oggi è stata ripetutamente modificata da sentenze seguite a ricorsi.
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