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« Torna agli articoli di Mario Palmaro
La notizia non è freschissima perché, a cercare bene, la si sarebbe trovata a pagina 3 del numero del 24 agosto del settimanale "Il Ticino", organo della diocesi di Pavia. Non sarà freschissima, ma siccome nessuno l'ha portata in luce risulta nuova fiammante e, a voler rendere onore a quel mestieraccio che è il giornalismo, è anche enorme e può venire riassunta così: il vescovo di Pavia, monsignor Giovanni Giudici, è in comunione di fede con i musulmani. Parola sua.
Perché non si tratta di una malevola interpretazione di un testo redatto in stile ambiguo che si presta a più letture e a più ermeneutiche. No, qui è tutto chiarissimo e precisissimo e di ermeneutica ce ne può essere una sola. Il messaggio che monsignor Giudici ha inviato alla "Guida della Comunità musulmana di Pavia" in occasione della fine del Ramadan finisce proprio così: «grati della Vostra testimonianza, si sentiamo in comunione di fede e di preghiera». Purtroppo, questo gran finale, diciamo così iperecumenico, non si può neanche definire un colpo di scena poiché il testo del messaggio lo lascia presagire fin dall'inizio e durante tutto lo svolgimento.
In poche righe, il pastore che dovrebbe aiutare i fedeli pavesi a conservare la fede cattolica è stato capace di infilare una discreta serie di quelle che, fino a poco tempo fa, si aveva la buona creanza di chiamare eresie. Leggere per credere: «Come Vescovo di questa comunità ecclesiale pavese, voglio esprimere a nome mio e della comunità sentimenti di vicinanza e di presenza alla Comunità musulmana pavese, in occasione della chiusura del mese sacro del Ramadan 2012. Sappiamo che avete celebrato la discesa celeste del Libro sacro del Corano, applicandovi a una lettura più intensa e pia della Parola di Dio e che avete offerto a Dio il sacrificio del vostro digiuno quotidiano. Grati della Vostra testimonianza, ci sentiamo in comunione di preghiera e di fede. Con stima, Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia».
Dal messaggio di Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia, si evince che il Corano è un Libro sacro disceso dal Cielo. Dunque, se è di origine celeste deve per forza di cose contenere la Parola di Dio, parrebbe, proprio come il Vecchio e il Nuovo Testamento. Qui si ha il pudore di usare il condizionale "parrebbe", ma le maiuscole profuse da monsignor Giudici inducono a far piazza pulita di ogni prudenza. Da non sottovalutare neppure l'apprezzamento dell'offerta a Dio del sacrificio quotidiano del digiuno da parte della comunità musulmana. Se monsignor Giudici crede ancora nel valore sacrificale della Messa, come dovrebbe fare qualsiasi cattolico, mette i brividi sentirlo usare lo stesso termine che definisce la rinnovazione del Sacrificio del Calvario e le pratiche di una religione che, non essendo vera, può solo essere falsa.
Religione con la quale, se le parole e la sintassi hanno ancora un senso, il Vescovo di Pavia si sente in comunione. Rimane da rilevare che gli stessi sentimenti di vicinanza, di presenza, di stima e di comunione di preghiera e fede provati per i musulmani, monsignor Giudici non li prova per quei cattolici che mesi fa avevano intenzione di presentare a Pavia il libro di Roberto de Mattei sul Concilio Vaticano II. In quell'occasione, il Vescovo fu pronto e inflessibile nell'impedire l'associazione del nome e del marchio della sua diocesi all'iniziativa, forse troppo cattolica, tanto da metterlo in imbarazzo.
Per comprendere giova ricordare che monsignore può essere definito una riuscitissima creatura del cardinale Martini, che nel 1991 lo volle vicario generale della sua diocesi. Insomma, l'albero ha dato i frutti che doveva dare. Non servono commenti. Solo la considerazione che, fino a qualche decennio fa, affermazioni come quelle del Vescovo di Pavia non sarebbero state permesse neppure a un chierichetto durante la gita parrocchiale.
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