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« Torna agli articoli di Mario Palmaro

Il Parlamento italiano è diventato “antiabortista”? A leggere i giornali in questi giorni ci sarebbe quasi da crederlo: dopo il voto sulla Mozione Buttiglione, non pochi ambienti “pro life” cantano vittoria, parlano di “inversione di tendenza” e, soprattutto, di “scelta per la vita”. Ma quando si parla di “scelta” si è già traslocato armi e bagagli nel campo dell’abortismo. Che ritiene l’aborto una questione di scelta, una faccenda della donna (che non può essere obbligata a partorire), un diritto dell’adulto a disporre liberamente della vita dei non nati. Questo è il nocciolo duro dell’abortismo, e contro questo nocciolo duro un’autentica cultura per la vita deve battersi. Sempre.
Il voto del Parlamento italiano non scalfisce nemmeno con un graffio questo bunker di idee sbagliate intorno all’aborto. Anzi: implicitamente le accetta e le assume come piattaforma comune di dialogo e di confronto. E’ come se dicesse: premesso che l’aborto è un diritto della donna, vediamo di non farlo diventare un dovere per nessuno. Il Parlamento italiano ha votato a maggioranza una mozione che dice una cosa semplice: nessuno Stato, nessun governo, deve obbligare per decreto le donne ad abortire. Tutto qui. E’ ovviamente una decisione importante con riferimento a quei Paesi nei quali da tempo si attuano politiche antinataliste e antidemografiche, anche usando l’aborto come strumento per impedire alla popolazione di aumentare. In questo senso, il voto dell’altro giorno è un punto messo a segno contro la cultura della morte.
E’ altrettanto evidente che la mozione uscita vincente era “migliore” della proposta proveniente dal centro sinistra, che faceva leva come al solito sul mito della contraccezione (spesso abortiva) come panacea di tutti i mali del mondo.
Vogliamo dunque dire che il voto sulla Mozione Buttiglione è un fatto politico importante? E diciamolo pure. Ma non trasformiamo l’acqua gasata in champagne. C’è altrimenti il rischio di perdere la bussola, di smarrire il senso del proprio impegno civile, e di fare così il gioco di quella cultura di morte che si vuole sinceramente combattere.
Il senso di questo voto può trasformarsi addirittura in un colossale autogol, se l’orizzonte del dibattito e dei commenti conferma una inesorabile deriva che Verità e Vita ha segnalato da tempo, e che – purtroppo – si va aggravando di giorno in giorno: e cioè l’idea che il diritto di aborto sia indiscutibile, e che si possa soltanto garantire la “libertà della donna di non abortire”. Magari con adeguati aiuti economici.
La natura paradossale di questa posizione si comprende meglio se la si applica, poniamo, al tema dell’eutanasia: se il Parlamento italiano avesse votato una mozione “contro l’eutanasia obbligatoria, fermo restando il diritto del malato a ottenerla liberamente”, questa sarebbe giudicata una decisione “contro l’eutanasia e per la vita”? Se il Congresso degli Stati Uniti votasse una legge che impone l’uso della “dolce morte” in luogo della sedia elettrica per i colpevoli di efferati delitti, qui in Italia parleremmo di “superamento della pena capitale”?
Anche il Magistero della Chiesa è, su questo punto, chiarissimo. E lo vogliamo ribadire, perché non vorremmo che qualcuno, fra qualche tempo, anche in casa cattolica, ci venisse a dire che “l’importante è che la donna possa scegliere se abortire in piena libertà e disponendo di adeguati aiuti economici.” Nella Evangelium Vitae Giovanni Paolo II denuncia i “potenti della terra” che impongono “con qualsiasi mezzo una massiccia pianificazione delle nascite” (EV, n. 16). Ma subito dopo, chiarisce che il male dell’aborto non sta tanto nell’essere imposto dalle autorità, quanto nel fatto che le democrazie liberali ne hanno fatto un diritto garantito dalle leggi (EV. n. 20, n. 68, 69, 70, 71, 72, 73), avviandosi così sulla strada di un totalitarismo di nuovo tipo. E sempre Giovanni Paolo II ribadisce che “la gravità morale dell'aborto procurato appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio» (EV, n. 58).
Il livello di libertà di decisione della donna incide sulla sua responsabilità, ma non muta un delitto in diritto. Rivendicare il diritto all'aborto, all'infanticidio, all'eutanasia e riconoscerlo legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questa è la morte della vera libertà” (EV 20)
Come hanno ricordato in un loro coraggioso comunicato gli amici di “Due minuti per la vita”, "la realtà dell'aborto non muta laddove sia la madre a sceglierlo liberamente e ne deriva che anche in questo caso dovrà essere condannato. La moralità di un atto umano si valuta, infatti, in primo luogo con riferimento all'oggetto di tale atto e nel caso dell'aborto volontario non si può omettere di ricordare che esso consiste sempre nell'omicidio di una persona innocente ed indifesa, pratica disumana che mai dovrebbe essere lecita in un paese civile. Questa la realtà da cui partire, questa la verità da riaffermare".
L’abortismo è capovolgimento della realtà: se si sposano le sue promesse, si cammina a testa in giù. C’è un fatto fisiologico: il concepimento di un nuovo essere umano, la gravidanza, e la nascita di un figlio. E c’è un atto – non un fatto fisiologico - che l’uomo può compiere: sopprimere quel figlio prima che nasca. Compito del diritto è difendere quell’indifeso, dicendo proprio che partorire è doveroso, in quanto l’alternativa (abortire) è un delitto contro la vita.
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