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« Torna agli articoli di Massimo Introvigne
I campionati mondiali di atletica in corso a Mosca, le Olimpiadi invernali di Sochi dell'anno prossimo e i campionati mondiali di calcio in programma in Russia nel 2016 sono nel mirino non solo delle organizzazioni omosessuali ma anche di molti governi, a cominciare da quello degli Stati Uniti, e dell'Unione Europea. Si annunciano proteste, dimostrazioni e perfino possibili boicottaggi che ricordano i tempi della Guerra Fredda. Questa volta però non si tratta di comunismo ma di omosessuali. Leggiamo dichiarazioni - anche di popolari atleti e allenatori - secondo cui la legge appena approvata farà sì che atleti, dirigenti e turisti omosessuali che si recheranno in Russia saranno discriminati, ed è comunque una legge omofoba e vergognosa, contraria ai valori dello sport.
La battaglia propagandistica intorno alla legge russa è decisiva. Se infatti passerà - grazie alla mobilitazione del mondo dello sport - l'idea che leggi di questo genere non sono tollerate dalla comunità internazionale, l'ideologia del gender avrà fatto un altro passo avanti cruciale. Per capire il problema, occorre leggere la norma russa. Mi permetto di chiedermi quanti fra gli uomini e le donne di sport che protestano lo abbiano fatto davvero. La legge firmata dal presidente Putin il 30 giugno 2013 modifica l'articolo 6 comma 21 del Codice Federale sulle Contravvenzioni Amministrative, che - come dice il nome - si occupa di reati minori puniti normalmente con un'ammenda anziché con una pena detentiva. Il nuovo comma 21 vieta la propaganda, rivolta a minorenni, di «relazioni sessuali non tradizionali», e recita quanto segue: «S'intende per propaganda l'atto di distribuire a minorenni informazioni che (1) hanno lo scopo di creare atteggiamenti sessuali non tradizionali; (2) rendono attraenti i rapporti sessuali non tradizionali; (3) sostengono che il valore sociale delle relazioni sessuali tradizionali e non tradizionali è lo stesso; e (4) creano un interesse per le relazioni sessuali non tradizionali».
Chi si rende responsabile di questa propaganda presso i minori non viene - come si potrebbe credere leggendo certa stampa anche italiana - messo al muro o mandato in un Gulag, come capitava ai dissidenti in epoca comunista, ma deve pagare una multa massima di cinquemila rubli (114 euro) - più o meno il costo di una cena per due persone in uno dei buoni ristoranti di Mosca - , a meno che sia un pubblico ufficiale, una persona giuridica o faccia propaganda - sempre rivolta specificamente ai minori - via Internet, nel qual caso le multe sono significativamente più alte, così come sono più alte per gli stranieri, i quali nei casi più gravi - quelli di propaganda finalizzata all'adescamento di minori - rischiano anche quindici giorni di prigione e l'espulsione dalla Russia.
La norma è questa. Non si deve confonderla con le decisioni di tribunali russi che vietano le sfilate dei Gay Pride per ragioni di ordine pubblico e di buon costume - nel maggio 2012 la Corte Distrettuale di Mosca le ha vietate nella capitale per cento anni -, su cui esiste un contenzioso fra Russia e Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ma che non c'entrano con la legge introdotta nel 2013. Come non c'entra il fatto che bande di teppisti ogni tanto picchino degli omosessuali in Russia. Si tratta di violenze assolutamente deplorevoli e da condannare senza riserve: ma la legge russa le punisce e anche qui il comma 21 contro cui protestano gli sportivi non c'entra.
La chiave del comma 21, forse non chiara a molti, è che vieta la propaganda «rivolta a minorenni». Non vieta in nessun modo l'apologia dell'omosessualità rivolta a maggiorenni, in pubbliche conferenze o altrove, purché non vi partecipino minori. Non vieta di cercare di convincere maggiorenni che le relazioni omosessuali sono meravigliose e che il loro «valore sociale» è lo stesso delle relazioni fra un uomo e una donna, di conseguenza propagandando l'idea che lo Stato debba introdurre il matrimonio omosessuale. Questa propaganda è vietata solo se rivolta, specificamente, ai minori.
Sono stati manifestati timori su come i giudici russi, accusati di scarsa simpatia per gli omosessuali, applicheranno la legge. Attendiamo di vederli all'opera, e certamente la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo non mancherà d'intervenire per sanzionare gli abusi. Nel frattempo vale la pena però di riflettere sull'essenziale. Chi ha letto il comma 21, ha davvero capito di che si tratta e lo considera scandaloso - dobbiamo immaginare che il presidente Obama, prima di parlarne, lo abbia letto - di fatto sostiene che dev'essere assolutamente lecito fare propaganda all'omosessualità tra i minorenni, indottrinarli sostenendo che i rapporti tra uomini e donne e quelli omosessuali hanno uguale valore sociale, e - come afferma la legge russa - «creare» nei minorenni una disponibilità a relazioni omosessuali che prima non c'era, perché se no evidentemente non ci sarebbe bisogno di «crearla». Accettare queste premesse significa sottoscrivere tutta la logica dell'ideologia omosessualista, e dichiarare implicitamente che diventare omosessuale per un ragazzo o una ragazzina è qualche cosa di positivo e di liberante, che può e dev'essere promosso con tutti i mezzi e le forme di propaganda opportune. Significa anche escludere che abbia ragione la Chiesa Cattolica, per cui le relazioni omosessuali non sono liberanti o moralmente indifferenti, ma sempre - come insegna il Catechismo - «intrinsecamente disordinate»: e avviare un minore a qualcosa di «intrinsecamente disordinato» non può essere un diritto.
Prima di saltare sul carro del presidente Obama e della protesta sportiva contro la Russia forse è il caso di pensarci bene, e di chiederci se davvero siamo d'accordo sul fatto che forme d'indottrinamento e di avviamento all'omosessualità debbano essere liberamente proposte ai nostri figli minorenni, di qualunque età. Rispondere «sì» significa avere accettato il presupposto che essere avviato all'omosessualità «dall'esterno», attraverso la propaganda pubblica o privata, per un minore è una cosa buona, una conquista. Se invece rispondiamo «no», allora - per quanto la cosa sia poco politicamente corretta - dovremo ammettere che i russi stavolta qualche ragione ce l'hanno.
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