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« Torna agli articoli di Massimo Introvigne
Il Beato Charles de Foucauld (1858-1916) si è consacrato a lungo – prima di essere ucciso a Tamanrasset, in Algeria, nel 1916 – a testimoniare la fede cattolica presso i musulmani con la comprensione, l’amicizia e la testimonianza. Nessuno lo ha mai accusato di “islamofobia” preconcetta. La sua opinione sulla possibilità che un musulmano, rimanendo musulmano, possa diventare “veramente francese” (o tedesco, o europeo) è dunque insieme autorevole, perché deriva da una lunga esperienza dell’islam, e insospettabile.
Trascrivo la parte centrale di una lettera inviata da Tamanrasset al suo futuro biografo René Bazin (1853-1932) il 29 luglio 1916, pubblicata in Bulletin du Bureau catholique de presse, n. 5, ottobre 1917 e riprodotta in numerose opere biografiche sul Beato. Certamente nelle opere del Beato si trovano alte espressioni di amicizia e di stima nei confronti di musulmani, apprezzamenti per espressioni specifiche della cultura islamica ed esortazioni alla pazienza e alla carità nei loro confronti.
Esse - a scanso di equivoci - sono del tutto in linea con il Magistero della Chiesa e assolutamente condivisibili, ma non sono affatto in contraddizione con questo lucido giudizio, il quale tratta della diversa questione della possibilità di una vera e piena integrazione di un musulmano che rimanga musulmano nella cultura europea. È chiaro che si tratta qui della questione culturale dell'integrazione, a sua volta diversa dalla gestione politica di un "islam francese" (o italiano) cui le autorità pubbliche oggi sono comunque chiamate a fronte della presenza in Europa di un gran numero di musulmani. Questo testo è in qualche modo “l’ultima parola” del Beato sulla delicata questione dell’integrazione, essendo stato scritto sei mesi prima del suo martirio.
Nella corrispondenza con Bazin egli considera sbagliata “ogni politica che non miri a convertire i musulmani” alla vera fede cattolica, e ritiene che solo questa conversione possa trasformare “veramente” un musulmano in francese.
È anche interessante notare che nella stessa corrispondenza il Beato spiega che il passaggio dei musulmani al laicismo e al libero pensiero, “quello della Turchia”, non è una soluzione: ne nascerà “una élite che avrà perso ogni fede islamica ma che ne manterrà la prassi per potere attraverso questa influenzare le masse”; alla fine questa élite post-musulmana “si servirà dell’islam come di una leva per sollevare la massa” e attaccare l’Occidente. Far diventare i musulmani laicisti – la “soluzione turca” – dunque secondo il Beato non serve. Occorre senza reticenze proporre loro la conversione al cattolicesimo.
Ecco dunque la parte centrale della lettera del 29 luglio 1916:
“I musulmani possono diventare veramente francesi? In via eccezionale, sì; ma in maniera generale, no. Molti dogmi fondamentali della religione islamica vi si oppongono. Con alcuni di questi vi possono essere degli accomodamenti; ma con uno, quello del mahdì, non c'è spazio di mediazione.
Ogni musulmano (non parlo dei liberi pensatori nati musulmani e che hanno perso la fede) crede che, all'arrivo del giudizio finale, arriverà il mahdì che dichiarerà la guerra santa e stabilirà l'islam su tutta la Terra, dopo aver sterminato o sottomesso tutti i non musulmani. All'interno di questa visione di fede, il musulmano considera l'islam come la sua vera patria e ritiene che i popoli non musulmani siano destinati, presto o tardi, ad essere sottomessi da lui, o al massimo dai suoi discendenti.
Se è governato da una nazione non musulmana, egli considera questa situazione come una prova passeggera; la sua fede lo rassicura che ne uscirà e trionferà su coloro che al momento lo tengono sottomesso. La saggezza lo incita a subire questa sua prova con calma: “l’uccello preso in trappola che si dibatte perde le piume e si spezza le ali; ma se rimane tranquillo si ritroverà integro nel giorno della sua liberazione”, dicono. Per questo, i fedeli islamici possono preferire una nazione a un'altra, possono preferire la sottomissione ai francesi piuttosto che ai tedeschi, perché sanno che i primi sono più accondiscendenti; possono essere affezionati a questo o a quel francese, come si è affezionati a un amico straniero; si possono battere con grande coraggio per la Francia, con sentimento d'onore e carattere guerriero, con spirito di corpo e fedeltà di parola, come i soldati di ventura del XVI e XVII secolo.
Ma, in un senso più generale e salvo eccezioni individuali, finché sono musulmani, essi non saranno francesi, perché attenderanno, più o meno pazientemente, il giorno del mahdì, quando sottometteranno la Francia.
Da questo deriva il fatto che i nostri algerini musulmani sono così poco interessati a domandare la nazionalità francese: perché chiedere di far parte di un popolo straniero che, essi lo sanno, in futuro verrà irrimediabilmente sconfitto e sottomesso da quella stessa nazione alla quale loro stessi oggi appartengono?”.
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