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OMELIA XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 18,21-35)
Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello? Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette
di Padre Gabriele M. Pellettieri
 

Dopo aver meditato domenica scorsa sulla correzione fraterna, la Liturgia odierna mette in luce un altro aspetto della carità cristiana: il perdono. Gesù, conoscendo quanto ciò sia difficile alla natura umana, propone, come misura del nostro perdono, l'esempio stesso di Dio: questi perdona sempre e con generosità al peccatore che si pente. Il cristiano è chiamato ad imitare la condotta divina, per essere simile a Dio in ciò che costituisce la vera grandezza dell'amore.
Gli ebrei dell'Antico Testamento già conoscevano il dovere del perdono. Nella prima lettura del giorno è riportato uno dei testi più significativi in cui viene indicata al popolo la necessità di perdonare i propri fratelli come condizione per poter ricevere il perdono di Dio: «Perdona l'offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore?» (Sir 28,2-3). Ciò che non era chiaro ai Giudei era la misura del perdono: quante volte bisognava perdonare al prossimo? Su questa base possiamo comprendere la domanda di san Pietro al Maestro. L'Apostolo propone di perdonare un numero di volte che a lui sembra già grande: fino a sette volte. La risposta del Maestro, invece, va oltre ogni limite e misura: bisogna perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22), ossia sempre.
Per rendere più comprensibile il suo insegnamento, il Salvatore lo illustra con la parabola dei due debitori, riportata dal Vangelo di oggi. Un servo era debitore verso il suo padrone di una somma ingente (decine di migliaia di euro!). Non avendo come pagare il debito, supplica il padrone di aver pazienza, di dargli tempo, pur sapendo che la vita intera non sarebbe bastata per risarcire il debito. Il padrone, mosso a compassione, non si limita a concedere una proroga al pagamento, ma condona totalmente il debito. La lezione è chiara: se Dio non interviene a perdonarci ogni cosa, da soli non riusciremo mai a pagare i nostri debiti, ossia a conquistare la salvezza eterna.
Continuando, la parabola racconta che all'uscita il servo trova un collega che gli deve solo una piccola somma. Dimenticando la grazia insperata ricevuta dal padrone, lo afferra per la gola e gli dice: «Paga quel che devi!». Ma, nonostante questi lo supplicasse di avere pazienza, «non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito» (ivi, 30). L'incredibile durezza di cuore del servo che, per una esigua somma di denaro, fa gettare in prigione un suo collega, fa intuire una verità assai profonda: l'uomo non sa perdonare i piccoli torti ricevuti dal suo simile e dimentica facilmente i grandi debiti che Dio gli ha condonato.
La lezione fondamentale della parabola la troviamo nelle parole proferite dal padrone al servo malvagio: «Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (ivi, 33). La motivazione profonda, dunque, per cui dobbiamo perdonare il prossimo è che Dio ha perdonato noi; e dobbiamo farlo allo stesso modo e nella stessa misura di Dio. Il perdono di Dio non conosce condizioni, non si ferma davanti a nessun peccato e non esclude nessun peccatore. Per questo anche il nostro perdono deve estendersi a tutti, perfino ai nostri nemici e a coloro che ci odiano. Dobbiamo perdonare imitando Gesù che, mentre sulla croce soffre il tremendo martirio dell'umana ingratitudine, si rivolge al Padre e lo supplica di concedere il perdono ai suoi crocifissori, perché non sanno quello che fanno. Quali insondabili abissi di amore e di perdono!
Il perdono è il frutto più bello dell'amore ed è, allo stesso tempo, la base della vera civiltà. Cosa sarebbe, infatti, la società senza il perdono? Una spirale di violenza e di odio votata alla distruzione. E che cosa sarebbe la famiglia, se i membri di essa non trovassero la forza di perdonarsi le piccole, inevitabili incomprensioni? Purtroppo noi spesso accampiamo ogni scusa per non perdonare, per non aver a che fare con "quella persona", per non rivolgerle più la parola, pur costatando che Dio è sempre pronto a perdonare noi.
Si racconta che una volta un giovane andò a confessarsi da Padre Pio. Dopo aver fatto la sua lunga confessione generale, tra lacrime di compunzione e di gioia, il Santo cappuccino gli disse: «Figlio mio, il Signore ti vuol bene, un gran bene: nella sua infinita misericordia, ti ha perdonato tutti i peccati della tua vita passata. Ricordati sempre di questa grazia. Ora va' e fai anche tu lo stesso: sii generoso con il Signore e con gli altri». Seguiamo l'invito del nostro Santo: promettiamo all'Immacolata di perdonare sempre chi ci offende, per imitare Gesù che, con la sua orrenda morte sulla Croce, ha pagato tutto il nostro debito e ci ha perdonati.

 
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 11/09/2011)