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« Torna agli articoli di Riccardo Cascioli
Quanto emerge dalle intercettazioni date in pasto ai giornali, offre sicuramente un quadro squallido della realtà del potere e, più in generale, almeno di una parte della società italiano. Lo abbiamo già detto chiaramente. Eppure, proprio per questo, la domanda che oggi non possiamo evitare è questa: è davvero Berlusconi il problema del nostro paese? Davvero tolto questo "imbarazzo", come lo chiama il leader del Partito Democratico, la strada verso il ritorno alla normalità sarebbe finalmente spianata?
Non credo, anzi sono certo del contrario. Intendiamoci: le ipotesi di reato formulate in questa occasione contro il presidente del Consiglio sono certamente gravi e, se verificate e confermate, giustificherebbero la richiesta di dimissioni. Ma anche qui è bene esercitare un minimo di prudenza: in Italia purtroppo abbiamo già dei precedenti di rivelazioni e scandali verosimili, in realtà prove fabbricate, che hanno ad esempio costretto alle dimissioni un presidente della Repubblica (a proposito, la giornalista responsabile di quella diffamazione severamente punita in tribunale, Camilla Cederna, quando morì nel 1997 fu celebrata sui grandi giornali laici come una eccelsa giornalista e curiosamente l'Ordine dei Giornalisti non ha mai sentito il dovere di intervenire).
Aspettiamo dunque che si faccia chiarezza, rapidamente, sulla vicenda Ruby. Ma intanto torniamo alla domanda di fondo: è davvero Berlusconi l'anomalia di questo paese?
Credo che la disputa su Berlusconi sia secondaria, anzi che sia soltanto il segnale di una emergenza ben più grave, quella rappresentata dallo strapotere acquisito dalla magistratura in questi anni a danno degli altri poteri istituzionali: quello legislativo, rappresentato dal Parlamento, e quello esecutivo, rappresentato dal governo.
Per evitare derive totalitarie come era accaduto con il fascismo, i padri costituenti architettarono e scrissero nella Costituzione un complesso meccanismo istituzionale per evitare che uno dei tre poteri dello stato potesse a un certo punto prevalere sugli altri. Un meccanismo con pregi e difetti, tuttavia con Tangentopoli questo equilibrio è saltato a vantaggio della magistratura. L'abrogazione dell'immunità parlamentare è stata in qualche modo l'aspetto più evidente di questo cambiamento, perché ha reso la classe politica potenzialmente ricattabile dalla magistratura. Tale mutamento degli equilibri è avvenuto anche con l'attiva complicità di una parte politica che pensava di potersi avvantaggiare dell'azione dei giudici, salvo poi accorgersi con molto ritardo che era avvenuto esattamente il contrario. La vulnerabilità della classe politica si è puntualmente palesata quando è emersa una corrente militante della magistratura che ha cominciato a perseguire un proprio progetto politico. Il fatto che alcuni esponenti della magistratura abbiano approfittato della notorietà acquisita nei processi per dare la scalata alla politica è soltanto la punta dell'iceberg. E il fatto che alle prossime elezioni per il sindaco di Napoli, i tre maggiori partiti rischino di candidare altrettanti magistrati la dice lunga sulla situazione che si è creata.
Il problema non riguarda solo Berlusconi: ricordiamo che la spallata decisiva all'ultimo governo Prodi, già traballante di suo, è venuta da un'altra iniziativa giudiziaria, in quel caso a danno della moglie di Clemente Mastella. Né riguarda soltanto la politica: ormai le sentenze "creative" dei giudici si moltiplicano, soprattutto in materia di bioetica. Non si contano le leggi stravolte e riscritte dai vari tribunali di ogni ordine e grado, compresi i Tar. Ormai i magistrati, una volta semplici esecutori della legge, intervengono su tutto, anche esprimendo pareri a priori sulle iniziative legislative, cosa che sarebbe stata impensabile appena venti anni fa. E soprattutto non rispondono del loro operato: se una loro indagine messa in piedi a carico di qualche volto noto distrugge carriere e vite familiari di persone che poi magari risultano innocenti, nessuno paga per questo.
Figurarsi quando gli errori riguardano gente normale. Anzi, si rischia di vedere questi giudici far carriera grazie alla notorietà raggiunta. Basterebbe pensare a quel pubblico ministero di una città di provincia del sud diventato famoso per le sue inchieste contro i vip, nessuna delle quali è arrivata alla condanna. Ma intanto decine di persone sono state macinate nel tritacarne mediatico, e il pm è diventato uomo di successo.
Non solo, questa parte di magistrati oggi può fare a meno dei tribunali veri, quelli dove si dovrebbe amministrare la giustizia, perché il processo ormai si celebra sui giornali, prima con gli annunci degli avvisi di garanzia (quando si dice l'ironia delle parole), poi con il passaggio dei verbali a giornalisti compiacenti che ovviamente pubblicano il tutto. La sentenza è scontata: condanna. Prima ancora di poter stabilire la verità.
Non illudiamoci, stiamo ormai vivendo in un regime di magistrocrazia. E anche se Berlusconi fosse finalmente eliminato, il problema resterebbe tutto intero, anzi peggiorerebbe. Perché sarebbe una vittoria che darebbe ulteriore impulso al potere dei giudici. E anche quei politici acerrimi nemici di Berlusconi avrebbero ben poco di cui rallegrarsi.
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