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"Venite con i vostri simboli sacerdotali e religiosi". Oh, meno male dirà qualcuno: finalmente c'è un vescovo o un superiore che ricorda a sacerdoti e religiosi l'importanza dell'abito ecclesiastico. Dispiace deludere costoro, ma tale invito si trova nell'appello firmato da padre Alex Zanotelli – un missionario comboniano noto al grande pubblico per le sue battaglie progressiste e no-global - che convoca a Roma in piazza San Pietro il 9 giugno preti e religiosi/e "per fare un grande digiuno". E per quale motivo? "Per salvare l'acqua", ovvero per sostenere il referendum che si andrà a votare il 12 giugno contro la Legge Ronchi, accusata di privatizzare un bene fondamentale come l'acqua.
Torneremo nei prossimi giorni sul tema del referendum sull'acqua, perché prima ancora che una legge c'è in ballo una battaglia culturale, in cui i cattolici alla Zanotelli abbracciano un'ideologia nemica dello sviluppo e dell'umanità. Ma in questa occasione ci preme invece sottolineare soltanto l'aspetto dell'uso dei simboli sacerdotali, che questo appello richiama. Perché un certo progressismo cattolico ha di fatto abolito l'abito ecclesiastico nella vita quotidiana e religiosa, in cui ormai riuscire a riconoscere un sacerdote è impresa impossibile. A volte se si va in una chiesa sconosciuta per confessarsi si resta titubanti perché non si capisce se si ha a che fare con un prete vero o con qualcuno che passava di lì e si è infilato nel confessionale. Ma se c'è una manifestazione no global, se c'è un blocco contro i termovalorizzatori, o una qualsiasi manifestazione progressista allora state sicuri che individuerete subito il prete di turno con il suo clergyman se non addirittura con la talare. Perché bisogna far vedere che la Chiesa sta con i poveri.
Viene alla mente ciò che scriveva nel 1982 il beato Giovanni Paolo II al cardinale Ugo Poletti, allora vicario per la diocesi di Roma. Dopo aver sottolineato che l'abito ecclesiastico è un segno "che esprime il nostro 'non essere del mondo' " e "testimonianza della speciale appartenenza a Dio", così continuava: "L'abito ecclesiastico, come quello religioso, ha un particolare significato: per il sacerdote diocesano esso ha principalmente il carattere di segno, che lo distingue dall'ambiente secolare nel quale vive; per il religioso e per la religiosa esso esprime anche il carattere di consacrazione e mette in evidenza il fine escatologico della vita religiosa. L'abito, pertanto, giova ai fini dell'evangelizzazione ed induce a riflettere sulle realtà che noi rappresentiamo nel mondo e sul primato dei valori spirituali che noi affermiamo nell'esistenza dell'uomo. Per mezzo di tale segno, è reso agli altri più facile arrivare al Mistero, di cui siamo portatori, a Colui al quale apparteniamo e che con tutto il nostro essere vogliamo annunciare".
Oggi invece si deve constatare che tanti preti indossano l'abito ecclesiastico solo per andare a manifestare contro il governo o per andare in qualche salotto tv a sparlare della Chiesa e annunciare la propria dottrina personale. E' in altre parole la testimonianza opposta a quella che invocava Giovanni Paolo II, usato così l'abito ecclesiastico è un segno che esprime il proprio "essere del mondo".
E' per questo che l'appello di padre Zanotelli, fatto proprio dalla rivista comboniana "Nigrizia" a cui hanno aderito per ora 123 tra preti e religiosi/e, è un brutto segnale per la Chiesa. E' un qualcosa che dovrebbe spingere a interrogarsi tanti vescovi, sempre pronti a dire la loro sui costumi dei laici, ma curiosamente distratti quando si tratta di vigilare sui propri preti.
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