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« Torna agli articoli di Riccardo Cascioli
Bisognerebbe cambiare il catechismo, diceva qualche mese fa padre James Martin, noto difensore della causa Lgbt nella Chiesa, perché la condanna dell'omosessualità spinge al suicidio tanti giovani Lgbt. L'idea che nelle saune frequentate dalla comunità Lgbt si possano trovare copie stropicciate del Catechismo della Chiesa cattolica è indubbiamente suggestiva, ma francamente poco probabile. Però la sortita di padre Martin, nominato dal Papa nell'aprile 2017 consultore della Segreteria per la Comunicazione e chiamato come relatore al prossimo Incontro mondiale delle famiglie a Dublino, non è certo estemporanea. Come abbiamo già avuto modo di documentare le grandi manovre della lobby gay nella Chiesa per l'assalto al Catechismo sono in corso già da tempo, e vale la pena notare che tale assalto è fiancheggiato anche dal quotidiano dei vescovi italiani Avvenire.
Basta questo per capire quale conseguenze possa avere la decisione di papa Francesco di cambiare l'articolo del Catechismo sulla pena di morte. L'irreformabilità della dottrina, l'impossibilità di catechismi che si contraddicono sono stati finora il baluardo perché la Chiesa, annunciatrice di ciò che è eterno, non abdicasse all'effimero, alla mentalità mondana. Ora questo baluardo è stato abbattuto. «La dottrina della Chiesa può cambiare», annuncia festoso il New Ways Ministry, sito americano che raccoglie le istanze degli Lgbt nella Chiesa. Ed è la grande notizia per cui la lobby gay nella Chiesa sta lavorando da tempo.
Non c'è dubbio che il cambiamento del Catechismo sulla pena di morte darà un grande impulso alla lobby gay nella Chiesa, ed è proprio New Ways Ministry a spiegarne i motivi. Ne riassumo i principali: primo, si tratta di un «chiaro, esplicito esempio contemporaneo di un cambiamento nella dottrina della Chiesa, e anche di come può essere fatto: con un cambiamento del catechismo da parte del Papa». Secondo, per arrivare al cambiamento sono stati necessari decenni di discussioni e dibattiti teologici. Questo vuol dire che gli attuali dibattiti ecclesiali in chiave Lgbt hanno una grande possibilità di arrivare al medesimo risultato. Ovvia l'indicazione: intensificare il dibattito teologico ed ecclesiale. Terzo, la violazione della dignità umana è l'argomento alla base della condanna della pena di morte; è lo stesso argomento fondamentale su cui si basano le rivendicazioni Lgbt. E ancora, questione molto importante: la lettera di spiegazione che accompagnava la decisione del Papa riguardo al cambiamento del Catechismo, «spiega che una delle ragioni per il cambiamento della dottrina è il nuovo contesto sociale che ha una nuova comprensione del senso della punizione». Ma nella società oggi è ancora più forte il cambiamento di atteggiamento rispetto all'omosessualità, e quindi allo stesso modo ci si può aspettare un cambiamento del Catechismo laddove considera gli atti omosessuali intrinsecamente disordinati.
Dunque oggi la vera domanda è se papa Francesco sia in totale sintonia con i sostenitori della causa Lgbt così come lo è con la Comunità di sant'Egidio che da tanti anni ha fatto della battaglia contro la pena di morte una sua ragione d'essere. Diversi pronunciamenti molto chiari sul matrimonio e sull'ideologia gender farebbero pensare di no, ma allo stesso tempo certi gesti, certe battute e tante nomine suscitano molti dubbi al proposito.
A maggior ragione dunque l'Incontro mondiale delle famiglie di Dublino sarà un test decisivo per capire l'orientamento in materia. Come abbiamo già avuto modo di dire, a un tale incontro non è concepibile la presenza di padre James Martin come relatore né sarebbe accettabile la parata di "tutti i tipi di famiglie" all'incontro con il Papa. Lasciare padre Martin nel programma e procedere nella presentazione dei vari tipi di famiglie sarebbe un segnale chiaro nella direzione omosessualista.
Allo stesso modo non è più tollerabile che a presiedere il Dicastero per la famiglia, la vita e i laici resti il cardinale Kevin Farrell, la cui miracolosa carriera ecclesiastica - come giustamente ricostruita da Sandro Magister - è strettamente legata soprattutto a quel cardinale Theodore McCarrick, responsabile di una sfrenata attività omosessuale e di abusi sessuali su adulti e minori, e con cui il cardinale Farrell ha convissuto per diversi anni a Washington. Soltanto per prudenza, senza neanche indagare sulla moralità personale di Farrell, si dovrebbe evitare che a difendere la famiglia ci sia un personaggio come minimo facilmente manipolabile da quel circolo omosessuale che ha assunto un così grande potere nella Chiesa.
Le parole non bastano, soltanto i fatti ci diranno quale è l'indirizzo che il Papa intende dare in materia.
Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio, nell'articolo seguente dal titolo "Assoluti morali: esce l'adulterio, entra la pena di morte" parla del clamoroso cambio magisteriale di Papa Francesco che fa rientrare la pena di morte nel novero dei mala in se, azioni intrinsecamente malvagie che non tollerano eccezioni. Curiosamente a seguito delle indicazioni dell'Amoris laetitia l'adulterio non è più un assoluto morale, perché in alcune condizioni l'adulterio pare essere lecito e dunque esce dalla categoria dei mala in se. Dunque l'adultero e l'assassino sono sempre vittime dei loro atti liberi, mai colpevoli perché a loro nulla può essere imputato. Ergo l'adultero può accedere alla Comunione e il reo non deve essere punito. Se sparisce la colpa deve sparire anche la giustizia. C'è solo misericordia.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 5 agosto 2018:
Torniamo a riflettere sulla decisione di Papa Francesco di cambiare il Catechismo laddove parla di pena di morte. Come spiegato qualche giorno or sono il punto focale dell'intervento del Pontefice riguarda la specie morale della pena di morte: da atto considerato lecito, nel rispetto di alcune condizioni, dal Magistero precedente, ad atto sempre illecito per il presente Magistero.
Ogni atto riceve la sua specie morale - il "che cosa è" dal punto di vista etico e dunque se l'atto è buono o malvagio - dal fine prossimo perseguito. L'atto materiale di dare la morte ad una persona rea di colpe gravissime è atto moralmente lecito se persegue il fine di irrogare una giusta pena o se il fine è la tutela della collettività (ordinariamente questi due fini si accompagnano l'uno con l'altro). La pena capitale, al pari di tutte le altre sanzioni, affinchè sia giusta occorre che soddisfi i fini propri, ossia il fine retributivo, quello pedagogico e quello dissuasivo. Come abbiamo avuto già modo di spiegare la pena capitale riesce a soddisfare tutte queste tre finalità. In merito invece alla finalità difensiva, una condizione per la sua liceità (condizione che deve essere soddisfatta per tutte le azioni che perseguono un fine buono) è quella che la difesa deve essere proporzionata all'offesa. E dunque se esistono mezzi diversi di contenimento della violenza del reo devono essere adottati. Mettere a morte una persona quando non è necessario, sarebbe un atto sproporzionato e quindi contro ragione.
Ora invece il Magistero dichiara esplicitamente che la pena di morte è sempre e comunque illecita perché contraria alla dignità personale. In merito alla replica a questa motivazione rimandiamo all'articolo di qualche giorno or sono. Ciò che vogliamo qui sottolineare sta nel fatto che affermare che una certa condotta è sempre malvagia, significa farla rientrare nel novero dei mala in se, azioni intrinsecamente malvagie che non tollerano eccezioni, atti che mai dovrebbero essere assunti, quindi in nessuna circostanza e per nessun fine ulteriore buono. Dunque la pena di morte, dopo questo pronunciamento pontificio, non può più essere qualificata come specie morale "pena" e/o "difesa", bensì è stata identificata con la specie morale dell'assassinio, un assassinio di Stato. Il salto è sbalorditivo.
Curiosamente a seguito delle indicazioni dell'Amoris laetitia l'adulterio non è più un assoluto morale, perché in alcune condizioni l'adulterio pare essere lecito, e dunque esce dalla categoria dei mala in se. All'opposto fa il suo ingresso in questo insieme concettuale la pena di morte, la quale fino a ieri era un dovere affermativo contingente, ossia un'azione eticamente lecita, ma non sempre obbligatoria. La sua doverosità scattava al verificarsi di alcuni condizioni, tra cui la prima era l'extrema ratio.
Quindi nell'adulterio le condizioni hanno avuto il potere di cancellare la condotta dalla categoria dei divieti negativi assoluti, quando invece non possono avere tale potere, e di contro nella pena di morte le condizioni (es. extrema ratio) perdono ogni potere di rendere lecita la scelta e diventano ininfluenti, proprio perché la condotta è sempre illecita. Parrebbe alla fine cosa di poco conto che eccita i nervi solo degli addetti ai lavori perché sia la questione dei divorziati risposati che dei condannati alle pena capitale sembrerebbero marginali, dato che numericamente sia i primi che i secondi sono insignificanti.
Ed invece, come appena accennato, la questione è di enorme rilevanza da un punto di vista morale ed anche ecclesiale. Infatti questi due casi incidono sulla retta comprensione del concetto di dignità umana e di dignità morale. Da una parte l'adulterio può essere atto consono all'intima preziosità della persona, dall'altra la pena di morte non è mai scelta adeguata a tale preziosità. Ciò vuol dire che non si comprende più perché l'uomo è così prezioso e perché dunque l'adulterio è sempre condotta malvagia e la pena di morte può esserlo solo a volte. E non si comprende più cosa significhi "dignità" perché si è mandata in soffitta la metafisica, ossia concetti come natura umana, sostanza razionale, forma predicamentale, teleologismo, legge naturale, legge eterna, dignità morale, etc.
Non solo ora è cambiato il giudizio sulla dignità naturale, ma anche sulla dignità morale. La prima indica la preziosità della persona che deriva dalla sua natura razionale ed è dunque indipendente dalle azioni compiute. In questa prospettiva Stalin e Madre Teresa hanno pari dignità. Diversamente la dignità morale indica il valore della persona relativamente alle azioni compiute. E così se io ho un rapporto sessuale con una donna sposata che non è mia moglie sarò adultero, se uccido una persona innocente sarò un assassino. In tale prospettiva Stalin e Madre Teresa hanno dignità diverse.
Il tema della dignità morale è dunque connesso con i concetti di responsabilità morale, di imputabilità e di colpa. Nel nuovo corso dottrinale non solo si è assegnata una nuova veste alla dignità morale - veste cucita secondo la sensibilità della massa - ma si è giudicata irrilevante la dignità morale. E dunque l'adultero e l'assassino sono sempre vittime dei loro atti liberi, mai colpevoli perché a loro nulla può essere imputato. Ergo l'adultero può accedere alla Comunione e il reo non deve essere punito.
Se sparisce la colpa deve sparire anche la giustizia. E dunque torna un leitmotiv di questo nuovo corso dottrinale: solo misericordia senza giustizia, dimentichi del fatto che la misericordia senza giustizia non è vera misericordia.
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