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« Torna agli articoli di Riccardo Cascioli
Alla fine di giugno è stato un curioso spettacolo leggere sui giornali inglesi alcuni commenti che - a proposito delle recenti inondazioni che avevano colpito la Gran Bretagna - parlavano di “punizione di Dio” per le responsabilità dell’uomo nella mutazione del clima. Davvero curioso questo rigurgito di religiosità in un Paese dove un’impiegata perde il posto di lavoro per aver portato un crocifisso al collo e dove nelle scuole è ormai proibito parlare di Natale e Pasqua. E curioso che a farsi interpreti del “giudizio di Dio” siano magari gli stessi ecclesiastici (anglicani) che negli ultimi anni hanno messo in discussione ogni insegnamento dottrinale possibile, inclusa la Resurrezione di Gesù.
E se le inondazioni hanno provocato un facile riferimento al racconto del diluvio universale nella Genesi, più in generale il tema dei cambiamenti climatici o del riscaldamento globale rimanda spesso all’Apocalisse, con l’annuncio di inevitabili catastrofi. E tralasciando il ruolo di politica, giornali, tv, cinema e letteratura – cui pure molto dobbiamo per questa isteria collettiva – troviamo ancora una volta uomini in clergyman a puntare il dito contro l’uomo, favorendo una lettura quanto meno riduttiva del Libro della Rivelazione. Già, perché Apocalisse vuol dire Rivelazione e non Disastro, è attesa della venuta finale di Gesù e non delle catastrofi che provocheranno la fine del mondo.
Nel corso dei secoli, il Libro dell’Apocalisse ha sempre fatto molto discutere teologi ed esperti, a cominciare dall’attribuzione all’evangelista Giovanni. Nostro obiettivo in questa sede non è certo quello di proporre un’esegesi o di prendere posizione su dispute teologiche. Ma su una cosa certamente non si può discutere: il termine apocalisse, così come è entrato nel linguaggio comune, ha un significato completamente diverso da quello biblico e il catastrofismo che oggi ci penetra da ogni parte ha piuttosto il sapore dell’Anticristo.
Il catastrofismo è figlio infatti di una visione radicalmente negativa dell’uomo, condannato senza appello per il suo “peccato” che peraltro in questa visione non è contro Dio ma contro la natura. E’ un annuncio di morte e devastazione, la parola definitiva sono i flagelli: nei mari e nell’aria (inquinamento), nella terra (clima impazzito e devastazione dell’ambiente), fra gli animali (mucca pazza ed epidemie di ogni genere). E in futuro – si dice – andrà sempre peggio: le risorse si esauriranno in pochi decenni e centinaia di milioni di uomini periranno di fame e si scateneranno in guerre sanguinose per accaparrarsi le ultime risorse. E’ il trionfo del peccato.
Tutt’altra cosa è invece l’Apocalisse di Giovanni: le visioni terribili di cui è costellata sono anzitutto simboli del presente e non previsioni del futuro. Il libro viene infatti scritto alla fine del I secolo dell’era cristiana, mentre infuriavano le violente persecuzioni volute da Nerone e Domiziano. Il primo obiettivo, come spiega l’introduzione della Bibbia di Gerusalemme, è quello di “rialzare e rafforzare il morale dei cristiani”, riaffermando la certezza che Dio ha vinto il mondo, che chi rimarrà fedele sarà preservato dal male. E fino ad oggi quella parola risuona per riconfermarci la promessa di Gesù: “Ecco, io sono con voi per sempre, fino alla fine del mondo”. E non per niente l’Apocalisse (e con essa il Nuovo Testamento) si conclude con il grido della Chiesa e di ogni cristiano: “Vieni Signore Gesù”, che prima di essere un’invocazione di aiuto è una certezza.
L’Apocalisse è dunque espressione di una speranza certa, è l’annuncio definitivo della liberazione dal male, così che anche i disastri naturali che pure sono inevitabili - così come le sofferenze personali - diventano occasione di lode a Dio. Al contrario, il catastrofismo - oltre che presagio di morte - ci spinge a una forma di schiavitù neo-pagana, costringendoci a una serie di riti per placare l’ira della Madre Terra, o Dea Gaia. Così si fa strada la bizzarra idea che possiamo salvare il mondo sostituendo le normali lampadine a incandescenza da 100 watt con lampadine a basso consumo da 40 watt. E su questa scia ci sono ormai parrocchie che spendono cifre considerevoli per l’installazione di pannelli solari, non perché siano economicamente convenienti (il che sarebbe sacrosanto senza bisogno di scomodare la religione) ma per compiere un “gesto profetico”.
Si potrebbe obiettare: però è vero che il mondo va sempre peggio, che l’ambiente è sempre più danneggiato dalle attività umane, che il clima è impazzito e così via. Bene, nel mondo ci sono sicuramente molte cose che non vanno come dovrebbero, ma gli allarmi ecologisti sono in massima parte vere e proprie bufale, verosimili al punto che è facile crederci, ma palesemente false. Il clima cambia, lo vediamo: è vero, ma il cambiamento climatico è la normalità non il segnale di un problema, e inoltre non va confuso il clima – i cui cambiamenti si apprezzano su cicli lunghi - con i mutamenti meteorologici che sperimentiamo. In ogni caso, la natura è dinamica, sempre in movimento, e questo vale, ad esempio, anche per i ghiacciai: si ritirano, lo vediamo sotto i nostri occhi; è vero, ma non è un fenomeno globale (l’Antartide, ad esempio, non mostra segni di ritiro) e comunque è un processo ciclico (ritiro ed estensione) e questa fase è iniziata più di un secolo fa e con le attività umane ha poco a che fare. Le nostre città sono inquinate, come negarlo? E’ vero, ma lo sono molto meno di 20-30-40 anni fa e anche meno inquinate di 300 anni fa quando la Rivoluzione industriale era di là da venire. Basta rileggere la poesia di Giuseppe Parini, “La qualità dell’aria”, scritta nel 1759, per ringraziare Dio di vivere nella Milano di oggi.
Ad ogni modo gli indici ambientali tendono costantemente a migliorare – contrariamente a quello che ci fanno credere gli ambientalisti – nei Paesi sviluppati, mentre la vera emergenza ambientale è costituita dal sottosviluppo.
Se poi vogliamo verificare ulteriormente la credibilità dei catastrofisti, non potendo viaggiare nel futuro possiamo però almeno andare a controllare le previsioni fatte nel passato per vedere se si sono verificate o meno (il catastrofismo non è certo nato ieri). Allora scopriamo che una serie di libri che ebbero molta fortuna tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, tra cui il più famoso è senz’altro “The Population Bomb” (La bomba demografica) di Paul Ehrlich, prevedevano che negli anni ’70 e ’80 centinaia di milioni di persone sarebbero morte per fame. E’ successo invece che a fronte di un forte aumento della popolazione la situazione alimentare nel mondo, anche nei Paesi più poveri, è generalmente migliorata. E nel 1972, lo studio “I limiti dello sviluppo”, pubblicato dal “Club di Roma”, tradotto in 20 lingue, venduto in 9 milioni di copie, e oggi tante volte citato dagli ecologisti e dai no-global, nel prevedere l’esaurimento delle risorse naturali, ne fissava anche la data per alcuni minerali: l’oro sarebbe finito entro il 1981, il mercurio entro il 1985, lo zinco entro il 1990, il petrolio nel 1992, rame, piombo e metano nel 1993. E’ necessario dire che non solo tali previsioni sono state smentite dalla realtà, ma che addirittura disponibilità e riserve di tutti questi minerali sono aumentate nel tempo?
Si potrebbe continuare a lungo, e potremmo anche dilungarci sui “beneficiari” del catastrofismo, che è ormai diventata un’industria che a livello mondiale sposta miliardi di dollari nelle tasche delle associazioni ecologiste e delle grandi compagnie che saltano sul carro dell’ecologico. Ma in questa sede ci interessa soprattutto analizzare le implicazioni culturali della questione ambientale e allora dobbiamo anzitutto comprendere che l’allarmismo ecologista ha come scopo ultimo quello di imputare all’uomo ogni colpa possibile, così da renderne odiosa la sola presenza nel mondo. Non a caso l’ecologismo va di pari passo con l’attacco al cristianesimo, esplicito o implicito.
Sotto accusa è l’antropocentrismo, ovvero la superiorità dell’uomo su tutte le creature così come descritta nella Genesi, che gli ecologisti considerano la causa di tutti i problemi ambientali. L’attacco al cristianesimo su questo punto è così forte, che anche qualche teologo cerca di annacquare la Rivelazione teorizzando un “antropocentrismo moderato”, espressione sostanzialmente priva di senso. Per la Dottrina sociale della Chiesa esiste un solo antropocentrismo, che si esprime sinteticamente nella frase “la natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio”. Ovvero, l’uomo è chiamato a usare con responsabilità i doni della natura senza farsene tiranno ma senza neanche divinizzarli. E questa non è una visione moderata ma radicale, nel senso che va alla radice, ovvero al fine ultimo per cui ogni cosa è stata creata e che l’uomo deve riconoscere.
Da qui nasce la responsabilità, da questo amore profondo per Dio e quindi per il Creato, non certo dalla paura che il mondo stia per finire.
E’ anche la visione che ci trasmette San Francesco nel Cantico delle Creature, altro testo vergognosamente equivocato. In questo splendido cantico non si trova traccia dell’approccio ambientalista oggi dilagante anche dalle parti di Assisi: l’inno si apre e si chiude con la lode all’ “Altissimo, onnipotente, bon Signore”, ovvero con il riconoscimento dell’opera del Creatore; il resto è poi un continuo ringraziamento a Dio per tutte le creature, riconosciute come dono per l’uomo, come afferma dall’inizio: “Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messer lo frate sole, lo qual è iorno; et allumini noi per lui”. Ovvero il fine del sole è dare luce e calore all’uomo. E per quelli che “il clima è impazzito” (anche allora si diceva che le stagioni non sono più quelle di una volta), San Francesco ringrazia per “onne tempo, per lo quale alle tue creature dai sostentamento”. Ed ecco quindi l’invito finale di San Francesco: “Laudate et benedicete mi’ Signore et rengratiate et servitelo cum grande humilitate”. Ecco la vera strada di un’ecologia umana: convertitevi e seguite Gesù, vero Dio e vero uomo. Altro che “antropocentrismo moderato”.
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