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« Torna agli articoli di Riccardo Cascioli
«Che barba, che noia». Il tormentone di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello si addice perfettamente alla pubblicazione del VI Rapporto dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l'organismo dell'ONU che si occupa di cambiamenti climatici. Come ampiamente previsto si presenta la catastrofe climatica già in corso con mari che si alzano, temperature globali fuori controllo, eventi estremi che impazzano, ghiacciai che si fondono e così via allarmando. Se continua così sarà la fine del pianeta e alcuni danni sono già irreversibili, bisogna agire immediatamente per salvare il salvabile. Come? Ovviamente eliminando in fretta tutti i combustibili fossili, carbone in testa (ma anche il metano va incluso nella lista degli "impresentabili") e puntare tutto sulle fonti rinnovabili come eolico e solare. Insomma è "codice rosso per l'umanità", come ha detto il segretario generale dell'ONU Antonio Guterres, indicando un limite di allarme che non potrà essere superato: dopo il codice rosso c'è solo il disastro.
Il Rapporto dell'IPCC - quella pubblicata ieri è la prima di tre parti, l'ultima delle quali sarà pubblicata nel 2022 - capita a proposito per fare pressione sulla prossima Conferenza internazionale sul clima (COP26) che si svolgerà in novembre a Glasgow, e il cui fallimento è già segnato. «La scienza ha parlato, ora tocca alla politica», è il solito ritornello ripetuto ancora ieri, per accreditare la narrazione secondo cui c'è un mondo scientifico assolutamente concorde nel ritenere che esista una emergenza climatica senza precedenti e poi il mondo dei capi di governo che non hanno una vera volontà di prendere le necessarie misure per biechi interessi elettorali.
LA NARRAZIONE MEDIATICA CONTRO LA REALTÀ E LA VERA SCIENZA
Ma appunto, questa è una narrazione, non la realtà. Intanto, quale scienza ha parlato? E qui bisogna ricordare che l'IPCC non è un organismo scientifico, come generalmente si ritiene, ma politico come del resto dice il nome: è un organismo intergovernativo sotto l'egida dell'ONU. Ci sono scienziati al suo interno, ma non solo, e non sono neanche la maggioranza: tanto è vero che l'attuale presidente dell'IPCC, il sud-coreano Hoesung Lee (in carica dal 2015), è un economista, e il suo predecessore Rajendra Pachauri (2002-2015) era un ingegnere. Perciò la contrapposizione scienza-politica è pura mistificazione. Peraltro l'IPCC non produce lavori scientifici propri ma semplicemente sintetizza gli studi esistenti sul clima, ed evidentemente non tutti gli studi, visto che sono migliaia gli scienziati che negano l'esistenza di una emergenza climatica.
È dal 1990 che l'IPCC produce periodicamente i Rapporti di valutazione come quello presentato ieri (il precedente è stato nel 2013-2014) e lo scopo è sempre politico: si crea l'allarme clima (eccesso di emissioni di CO2, anidride carbonica) per spingere poi i governi a prendere le decisioni volute (eliminazione dei combustibili fossili) e convincere l'opinione pubblica ad accettare tasse e limitazioni della libertà che senza uno stato di emergenza non accetterebbe mai.
Se questo vi sembra somigliare moltissimo al meccanismo con cui è nata l'emergenza Covid con tutto quel che ne sta seguendo, ebbene sappiate che non è un caso: c'è un totalitarismo che avanza a grandi passi sfruttando proprio il tema delle presunte emergenze globali (ma avremo modo di riprendere questo argomento) e instillando paura nella popolazione.
Tornando al VI Rapporto di valutazione presentato ieri, c'è un piccolo particolare che esso tralascia, ovvero che non c'è alcuna crescita lineare o tumultuosa delle temperature globali (benché siano aumentate le emissioni di CO2), anzi oggi siamo esattamente al livello in cui ci si trovava all'epoca dell'ultimo Rapporto IPCC (2014), come mostra il grafico tratto dal database Hadcrut5 curato dal MetOffice britannico.
In pratica, a un aumento della temperatura nel periodo 2002-2014, succede un periodo multifase caratterizzato dall'evento El Nino (2015-2020) e ora un declino delle temperature che ci riporta appunto al livello del 2014. Anzi, il 2021, per come sta andando finora, si candida ad anno più freddo dal 2014 e forse anche del 2005. Chi fa veramente scienza dovrebbe interrogarsi su questi dati, che contraddicono le teorie sul riscaldamento globale causato dall'uomo. E non solo questo: visto che siamo ormai abituati al crescendo di allarmi sul clima, andare a riprendere gli appelli del passato è un sano esercizio di realismo.
DIECI ANNI PER SALVARE IL MONDO
Ricordiamoci allora che nel 1989, appena prima del I rapporto dell'IPCC, l'ONU lanciò la Dichiarazione sull'emergenza climatica, nota anche come "Dieci anni per salvare il mondo". Il direttore del Programma Onu per l'Ambiente (UNEP), Noel Brown dichiarò che «intere nazioni potrebbero essere spazzate via dalla faccia della Terra a causa della crescita del livello del mare, se la tendenza al riscaldamento globale non sarà invertita entro il 2000». Le inondazioni delle coste e la distruzione di raccolti provocheranno un esodo di "eco-rifugiati" con conseguente caos politico. «I governi hanno una finestra di dieci anni per risolvere il problema dei gas serra prima che la situazione sfugga totalmente al controllo umano».
Il rapporto dell'UNEP, in collaborazione con l'Agenzia USA dell'Ambiente, entrava nel dettaglio: dato che il riscaldamento provoca lo scioglimento delle calotte polari e il livello degli oceani era dato in crescita di un metro, le Maldive e altre isole sarebbero state sommerse dall'acqua, così come un sesto del Bangladesh che in conseguenza dovrebbe fare i conti con 23 milioni di sfollati; e l'Egitto sarebbe stato ridotto alla fame perché un quinto delle sue terre agricole nel Delta del Nilo sarebbero state sommerse causando la perdita del cibo necessario alla popolazione.
Sono passati oltre venti anni dal 2000 e queste - come altre previsioni catastrofiche - non si sono avverate. Né c'è motivo di credere che si avvereranno le stesse previsioni che ieri sono state ripetute per l'ennesima volta. È invece certo che il disastro sarà provocato dalle costosissime politiche climatiche che si sono già dimostrate un fallimento: i fortissimi investimenti già fatti sulle rinnovabili e su tecnologie per ridurre le emissioni di CO2, stanno distruggendo le industrie occidentali, spostando molta della produzione in Cina, dove non c'è alcun vincolo all'uso dei combustibili fossili. Con il risultato che le emissioni globali di CO2 hanno continuato e continueranno a crescere. E non sarà certo l'ennesimo allarme dell'IPCC a cambiare la realtà.
Nota di BastaBugie: Michele Mazzeo nell'articolo seguente dal titolo "L'allarme da Toyota sulle auto elettriche: inquinano di più e rimarremo senza elettricità" fa capire quali sono gli scopi dei ricorrenti allarmi catastrofistici dell'ONU. Fare inghiottire all'umanità cambiamenti epocali con costi immensi a beneficio dei pochi potenti che ne trarranno profitti astronomici.
Ecco l'articolo completo pubblicato su I Tre Sentieri il 30 luglio 2021:
Il Ceo della Toyota e presidente della associazione costruttori di automobili giapponese Akio Toyoda afferma che la transizione completa ai veicoli elettrici potrebbe costare centinaia di miliardi di euro, rendere le auto inaccessibili per la gente media, lasciare interi Paesi senza elettricità senza ottenere alcun beneficio per l'ambiente dato che la produzione di batterie per i mezzi elettrici aumenterebbe le emissioni di CO².
Il CEO di Toyota Akio Toyoda ha lanciato un attacco a tutto tondo contro le auto elettriche in una riunione annuale delle case automobilistiche. Il numero uno della casa giapponese ha infatti criticato l'eccessiva spinta verso i veicoli elettrici, affermando che chi sostiene l'elettrificazione di massa del traffico stradale non ha considerato il carbonio emesso dalla generazione di elettricità oltre ai costi di una transizione totale ai mezzi cosiddetti "green".
Il boss Toyota, facendo l'esempio del Giappone, ha evidenziato come il Paese del Sol Levante rimarrebbe senza elettricità in estate se tutte le auto funzionassero con energia elettrica. E che l'infrastruttura necessaria per supportare una mobilità composta solo da veicoli elettrici costerebbe al Giappone tra i 14 e i 37 trilioni di Yen, vale a dire tra i 110 miliardi e i 290 miliardi di euro.
A ciò si andrebbe ad aggiungere anche il fatto che, a suo dire, i veicoli elettrici a batteria sono più inquinanti dei veicoli a benzina a causa della produzione di elettricità, ancora fortemente legata ai combustibili fossili, che produce emissioni nocive, sfatando dunque il mito delle auto elettriche come veicoli 'carbon neutral'. "Più veicoli elettrici produciamo, più salgono le emissioni di anidride carbonica" ha detto infatti Toyoda spiegando che considerando la produzione delle batterie le emissioni totali di CO2 di un'auto elettrica sono quasi il doppio rispetto a quelle generate per la fabbricazione di un'auto termica o ibrida.
Il messaggio del Ceo Toyota è stato ancora più chiaro nel momento in cui si è rivolto direttamente al Governo nipponico (che a breve dovrebbe vietare la vendita di auto a benzina e diesel dal 2035): "Quando i politici sono là fuori a dire: 'Liberiamoci di tutte le auto che usano benzina', capiscono tutto ciò?" ha proseguito infatti nella conferenza stampa di fine anno nella sua qualità di presidente della Japan Automobile Manufacturers Association. Toyoda ha poi messo in guardia l'attuale Governo anche sul fatto che se il Giappone sarà troppo frettoloso nel vietare le auto a benzina, "l'attuale modello di business dell'industria automobilistica crollerà", causando inoltre la perdita di milioni di posti di lavoro.
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