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COSA HA DETTO VERAMENTE IL PAPA PER LA GIORNATA DELLA PACE 2009
di Riccardo Cascioli
 

Il messaggio di papa Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2009 (“Combattere la povertà, costruire la pace”) pur radicandosi nella solida tradizione della Dottrina Sociale della Chiesa, rappresenta una novità eccezionale per la chiarezza di giudizio con cui affronta certi temi controversi (anche nel mondo cattolico) e per le implicazioni ecclesiali, politiche ed economiche che ne derivano. E’ un documento che dai media è stato sostanzialmente ignorato o ridotto nella sua portata (il solito e scontato appello del Papa alla solidarietà), e per questo è importante ripercorrerne invece alcuni punti particolarmente significativi.
1. La globalizzazione. Contrariamente a quanto si  è letto sui media, il messaggio di Benedetto XVI non è una condanna o una dura critica della globalizzazione, stile no-global. Al contrario è un invito a una vera globalizzazione, che vuol dire considerare tutti gli uomini e tutti i fattori che rendono un uomo tale. Per questo il Papa critica la riduzione economica della globalizzazione e sollecita ad “avere della povertà una visione ampia ed articolata” con esplicito riferimento alle “povertà immateriali, che non sono diretta e automatica conseguenza di carenze materiali”, ovvero “emarginazione, povertà relazionale, morale e spirituale”. In altre parole si deve puntare allo sviluppo integrale della persona e a tutte le persone “nella consapevole prospettiva di essere tutti partecipi di un unico progetto divino”. Guai, dunque, a fidarsi soltanto delle  analisi economiche o sociologiche, sia che si tratti di sostenere il liberismo o il no-globalismo.
2. Il problema culturale. Proseguendo su questo filone il Papa accenna a una questione molto importante, ovvero al fatto che “la crescita economica è spesso frenata da impedimenti culturali, che non consentono un adeguato utilizzo delle risorse”. Quando si parla di sviluppo, questo è un aspetto decisivo quanto trascurato: quando ci si trova di fronte a culture – vedi l’Africa – dove donne e bambini valgono meno degli animali (che quindi, ad esempio, non vengono usati come aiuto nei lavori agricoli); oppure di fronte a culture che hanno una visione negativa del lavoro (praticamente tutte al di fuori del cristianesimo), riservato quindi alle classi servili, appare chiaro che non si può liquidare la povertà come semplice colpa dei ricchi. Peraltro proprio la questione culturale dovrebbe spingere i cattolici a comprendere quanto, in chiave di sviluppo, sia decisiva l’opera di evangelizzazione: se riguardiamo con attenzione alla storia dell’Europa e dell’Occidente vediamo che proprio il cristianesimo è la chiave interpretativa che spiega lo sviluppo e il primato nel mondo che dura da secoli.
3. La questione demografica. Il messaggio del Papa condanna con chiarezza la visione  che vede “la povertà spesso correlata, come a propria causa, allo sviluppo demografico”. I miliardi di dollari spesi ogni anno dalla comunità internazionale per le campagne di riduzione delle nascite sono dunque la risposta sbagliata al problema della povertà. Non solo:  lungi dall’essere un aiuto allo sviluppo “lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani”. Senza dimenticare, dice il Papa, che “nel 1981 circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea di povertà assoluta, mentre oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata e sono uscite dalla povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un notevole incremento demografico”.
4. La crisi alimentare. Contrariamente a quanto si è tentato di far credere nei mesi scorsi “l’attuale crisi alimentare è caratterizzata non tanto da insufficienza di cibo, quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi e quindi da carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fronteggiare le necessità e le emergenze”. Ancora una volta il Papa sostiene che non c’è un problema di mancanza di risorse dovuto a uno squilibrio tra loro disponibilità e popolazione da soddisfare. A dimostrarlo è il drastico calo dei prezzi alimentari di base e del petrolio negli ultimi mesi dopo l’impennata dell’anno scorso che aveva fatto gridare all’esurimento delle risorse.
5. Modelli economici e aiuti allo sviluppo.  Un aspetto molto importante sottolineato dal Papa è la critica radicale all’assistenzialismo: “Non si può negare – si legge nel Messaggio – che le politiche marcatamente assistenzialiste siano all’origine di molti fallimenti nell’aiuto ai Paesi poveri”. Se la vera globalizzazione coincide con lo sviluppo integrale di ogni persona e di tutti i popoli, il primo aiuto consiste nel mettere ogni uomo e ogni popolo nella condizione di sviluppare tutte le potenzialità: “Investire nella formazione delle persone e sviluppare in modo integrato una specifica cultura dell’iniziativa sembra attualmente il vero progetto a medio e lungo termine”. Inoltre il messaggio papale critica alla radice l’ottica redistribuzionista, tanto cara al terzomondismo, anche cattolico: “Sebbene si sia opportunamente sottolineato che l’aumento del reddito pro capite non può costituire in assoluto il fine dell’azione politico-economica, non si deve però dimenticare che esso rappresenta uno strumento importante per raggiungere l’obiettivo della lotta alla fame e alla povertà assoluta. Da questo punto di vista va sgomberato il campo dall’illusione che una politica di pura redistribuzione della ricchezza esistente possa risolvere il problema in maniera definitiva. In un’economia moderna, infatti, il valore della ricchezza dipende in misura determinante dalla capacità di creare reddito presente e futuro”. In effetti la disastrosa situazione economica di tanti Paesi è crisi soprattutto di produttività: dovrebbe far pensare il fatto che nei Paesi poveri si soffre la fame malgrado la stragrande maggioranza della popolazione sia dedita all’agricoltura e gli aiuti alimentari arrivino da quei Paesi in cui l’agricoltura è diventata un’attività economica secondaria.
In conclusione, si può affermare che contro lo ”sviluppo sostenibile” – che si basa su una visione negativa della popolazione e punta a frenare lo sviluppo e la crescita economica – il Papa rilancia lo “sviluppo solidale”, che riconosce il primato della persona umana – prima vera risorsa –, si basa dunque sul riconoscimento del comune destino che lega ogni uomo e ogni popolo, e chiede di allargare l’orizzonte dello sviluppo: a tutta la persona e a tutti i popoli.

 
Fonte: Avvenire