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« Torna agli articoli di Roberto de Mattei
Negli ultimi giorni, in Italia, si è discusso molto di antifascismo e di resistenza. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parlando a Cuneo, ha affermato che il 25 aprile è la festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo. L'Italia è figlia dell'antifascismo e della resistenza, ha aggiunto, e le parole del giurista Piero Calamandrei "Ora e sempre resistenza", costituiscono un programma ideale.
Osserviamo che il ventesimo secolo è stato il secolo dei totalitarismi e delle dittature: comunismo, nazionalsocialismo, fascismo. Tra il 1939 e il 1945 si è combattuta una guerra mondiale in cui le democrazie occidentali, alleate al comunismo sovietico, hanno vinto il nazismo e il fascismo. Nella seconda metà del Novecento, scomparsi dalla scena nazismo e fascismo, sono rimaste, l'una di fronte all'altra, divise dalla Cortina di Ferro, le democrazie liberali e la Russia comunista, con i suoi paesi satelliti. Il crollo del muro di Berlino, nel 1989, e l'autodissoluzione dell'Unione Sovietica, nel 1991, hanno segnato la fine dell'anticomunismo, ma non quella del comunismo. Lo prova il fatto che oggi mentre tutti si dicono antifascisti, in assenza di fascismo, nessuno si dice anticomunista, in presenza di regimi politici che si richiamano esplicitamente al comunismo, come la Cina, di Xjnping, ma anche la Russia di Putin, che ancora inneggia a Stalin, come ad un eroe nazionale. La storiografia condanna in blocco come male assoluto il fascismo, ma per quanto riguarda il comunismo scompone il blocco tra l'ideale comunista e la sua realizzazione pratica e tra i diversi comunismi che si sono realizzati.
IL FANTASMA DELL'ANTIFASCISMO
Il filosofo Augusto Del Noce, scomparso nel 1989, ci offriva oltre cinquant'anni fa, una chiave di interpretazione di questa concezione della storia. Ciò che allora accadeva, e che ancora oggi accade, è che i comunisti utilizzavano il fantasma dell'antifascismo e della resistenza, per combattere non il fascismo, ma una concezione della società che con il fascismo non ha niente a che fare, ma al comunismo direttamente si oppone: quella visione tradizionale del mondo, fondata sul trinomio "Dio, patria e famiglia", che il comunismo vuole estirpare nel suo progetto di secolarizzazione della società Per compiere quest'operazione culturale, gli intellettuali progressisti elevano la resistenza da fatto storico quale essa fu a mito ideale, assumendola come spartiacque tra due ere della storia, l'oscura, legata ai valori tradizionali e la progressiva, fondata sull'abbandono di questi valori e sulla mitologia di un uomo nuovo, emancipato da ogni legge naturale e divina.
La resistenza, affermava Augusto Del Noce fu un momento della seconda guerra mondiale, ed è in rapporto a essa che, sul piano internazionale, dev'essere intesa. Essa svolse un ruolo storico, ma in Italia si pose in continuità e non in discontinuità con il fascismo, di cui accolse proprio il concetto di "fascio", cioè di coalizione ideale tra forze divergenti per un progetto comune. Il "fascio" di Mussolini in seguito alla sconfitta nella seconda guerra mondiale si frantumò nelle varie forme che unificava e nacque un nuovo "fascio" antifascista, per cui i fascisti di tendenza liberale raggiunsero i liberali antifascisti, i fascisti cattolici si unirono ai cattolici antifascisti, i fascisti di sinistra io socialisti, agli azionisti ai comunisti; e così via. Al momento della caduta di un regime in cui monarchia e fascismo erano unificati, divampò una guerra civile, in cui, sotto l'aspetto ideologico, spesso le due parti, che erano formate da fascisti, antifascisti ed ex-fascisti, si confondevano; e come accade nelle guerre, ogni parte ebbe i suoi eroi e i suoi vili, i suoi ingenui e i suoi furbi, i suoi onesti e i suoi profittatori.
TUTTI I BUONI DA UNA PARTE, TUTTI I CATTIVI DALL'ALTRA
Per gli intellettuali progressisti, però, tutti i buoni stavano da una parte, tutti i cattivi dall'altra. Da qui la mitizzazione della resistenza, considerata come "unità ideale" delle forze del progresso contro il "male radicale", individuato non tanto nel fascismo, quanto in ogni visione della storia fondata sui valori tradizionali. La resistenza invece di essere un elemento da situare nella storia, divenne il metro stesso della valutazione della storia, l'antifascismo una categoria ideale contro un nemico che non è più il fascismo storico, ma è la visione del mondo di chi resiste alla dissoluzione dei valori e delle istituzioni tradizionali.
Dunque le parole "ora e sempre resistenza" non hanno senso se sono applicate a un fascismo inesistente. E' vero che la vita è lotta e dobbiamo resistere contro i nemici che ci aggrediscono. Ma quali sono i veri nemici che ogni giorno ci troviamo a combattere? Innanzitutto il male morale, che ha le sue radici nel peccato originale e che si esprime nella concupiscenza che portiamo dentro di noi. A questo nemico interno si aggiungono il mondo e il demonio. Dobbiamo resistere al mondo, che san Giovanni dice immerso tutto nel male (1 Gv, 5, 19 e dobbiamo resistere al demonio, che è un essere personale e reale, che san Pietro paragona a un leone ruggente che cerca di divorarci (1, Pt, 5, 8). Ma dobbiamo resistere anche ai nemici della Chiesa e della nostra civiltà, che sono quotidianamente all'opera. Questi nemici sono tanti, e tra questi non c'è più il fascismo, ma c'è ancora il comunismo, che definisce fascisti i suoi avversari. Ed è innanzitutto contro il comunismo, in tutte le sue versioni, che proclamiamo "ora e sempre resistenza" il 25 aprile, festa di una ritrovata libertà che rischiamo nuovamente di perdere.
Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Il vero male del fascismo: il culto dello Stato" spiega che la dottrina fascista è una teoria statalista che anche oggi è incontrastata. Per cui l'antifascismo, da questo punto di vista, è identico al fascismo.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 aprile 2023:
"Fascismo" è la parola più abusata nel dibattito politico di questo mese, che si concluderà, passato il 25 aprile, solo con le celebrazioni del 1° maggio. Si tratta, tuttavia, di un insulto ormai scollegato dalla realtà storica. Si dà del "fascista" al prepotente che non ti lascia parlare, all'estremista che ricorre facilmente alle mani, al politico che vuole imporre legge-e-ordine.
Al tempo stesso, il "fascismo" è inteso come periodo storico, una pagina negativa della storia di cui si chiede continuamente una ferma condanna. Gianfranco Fini, autore della svolta che mutò il Movimento Sociale Italiano in Alleanza Nazionale, il 25 aprile ha chiesto pubblicamente a Giorgia Meloni di abiurare il fascismo. La premier ha scritto una lettera aperta al Corriere della Sera, condannando tutti i totalitarismi, in generale, e i suoi critici l'hanno accusata di non aver avuto il coraggio di condannare il fascismo, in particolare. La Russa, dopo una serie di uscite che non lo hanno aiutato certamente a superare la sua etichetta di fascista nostalgico, ha rifiutato di rispondere alle insistenti domande di un cronista de La Stampa che gli chiedeva se si "sentisse antifascista".
Ma non sappiamo realmente da cosa si debba prendere le distanze. A rendere complicata la memoria su cosa fu il fascismo, furono i fascisti stessi che aveva idee tutt'altro che chiare. Nel suo manifesto Origini e dottrina del fascismo, del 1932, Mussolini ammette: "Il fascismo non fu tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza, a tavolino: nacque da un bisogno di azione e fu azione; non fu partito, ma, nei primi due anni, antipartito e movimento".
Il fascismo elaborò una sua dottrina solo stando al governo. Ma ciò non vuol dire che non vi fosse un pensiero. Vi è una chiara continuità fra le leggi e le politiche perseguite dal regime almeno dall'inizio della dittatura (1925) alla sua sconfitta militare finale nel 1945.
La definizione di "totalitarismo" non è un'invenzione di Hannah Arendt o di qualche politologo del secondo dopoguerra, ma è un'aspirazione del regime fascista. Scriveva Mussolini: "Si può pensare che questo sia il secolo dell'autorità, un secolo di «destra», un secolo fascista; se il XIX fu il secolo dell'individuo (liberalismo significa individualismo), si può pensare che questo sia il secolo «collettivo» e quindi il secolo dello Stato". E più esplicitamente: "Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello Stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle sue finalità. Per il fascismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono il relativo. Individui e gruppi sono «pensabili» in quanto siano nello Stato". Il filosofo Giovanni Gentile autore delle Idee fondamentali nella dottrina fascista, nega che la nazione nasca dalla tradizione o dal consenso, ma ritiene che sia lo Stato a plasmarla: "Questa personalità superiore è bensì nazione in quanto è Stato. Non è la nazione a generare lo Stato, secondo il vieto concetto naturalistico che servì di base alla pubblicistica degli Stati nazionali nel secolo XIX. Anzi la nazione è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un'effettiva esistenza." Per essere più chiaro, aggiunge: "Lo Stato infatti, come volontà etica universale, è creatore del diritto". Non viene, dunque, riconosciuto, alcun diritto naturale.
Lo Stato totalitario non è lo strumento, ma il fine. Come vanta lo stesso Mussolini: "Lo Stato fascista ha rivendicato a sé anche il campo dell'economia e, attraverso le istituzioni corporative, sociali, educative da lui create, il senso dello Stato arriva sino alle estreme propaggini, e nello Stato circolano, inquadrate nelle rispettive organizzazioni, tutte le forze politiche, economiche, spirituali della nazione". E Gentile sintetizza: "per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo".
Se ci chiedessimo, oggi, cosa sia il fascismo, al di là di Mussolini e dei suoi aspetti storici (e dunque irripetibili) la risposta, in estrema sintesi è: un culto dello Stato. Anche se la dottrina fascista affermava che la religione cattolica andasse "non soltanto rispettata, ma difesa e protetta", quella fascista era, a tutti gli effetti, una religione laica: "Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi martiri", scriveva Mussolini a conclusione del suo manifesto.
Il culto dello Stato non rimase solo sulla carta. Ove poté, quando fu possibile, il Partito, attraverso lo Stato, irreggimentò la popolazione, la indottrinò nelle sue scuole pubbliche, la inquadrò in organizzazione economiche, le corporazioni, che, a dispetto del nome (che richiamava le libere corporazioni medievali), erano emanazione dello Stato. Ma non riuscì mai a realizzare il suo progetto totalitario. Mussolini, capo del governo, rimase sempre in subordine rispetto al re e trovò un modus vivendi con la Chiesa, con la firma dei Patti Lateranensi. Anche se fu un grande centralizzatore, il regime non riuscì mai ad abolire i corpi intermedi. La giustizia fu politicizzata, ma mai sottomessa al partito, ci fu sempre diritto alla difesa di fronte a un giudice. La vita delle persone, in Italia, non dipendeva dal Partito. La proprietà privata rimase e fu garantita, così dunque anche la libera impresa. Anche se le nazionalizzazioni ci furono e le grandi imprese lavoravano d'accordo con il regime, le piccole imprese rimasero indipendenti. In testimonianze importanti, come quella di Eugenio Corti ne Il cavallo rosso, vediamo persone che vivono da cattolici, senza tessera fascista, indipendentemente dal regime.
Lo Stato totalitario, dunque, fu un'aspirazione mai realizzata. A realizzarla, in modo completo, fu, ancor più che la Germania nazista, il regime nemico del fascismo: il comunismo. Che aveva come fine, paradossalmente, quello di abolire del tutto lo Stato. I comunisti e i post-comunisti di oggi, non essendo mai arrivati al potere in Italia, possono dunque attribuirsi la fama di forza liberatrice, perché vedono le intenzioni della loro dottrina, ma non le sue realizzazioni. Mentre condannano il fascismo, giudicando le sue realizzazioni, più ancora che la sua dottrina. Ma se fossero coerenti, se condannassero veramente le intenzioni dei fascisti, non potrebbero che vedersi allo specchio. Perché vedrebbero, negli ideali mai realizzati di Mussolini e Gentile, lo Stato totalitario che loro realizzarono ovunque arrivarono al potere, tuttora in piedi in Cina, Cuba, Corea del Nord. E soprattutto realizzerebbero che anche oggi sopravvive il culto per lo Stato e la sua invocazione per la soluzione di ogni problema sociale. Sopravvive soprattutto nei partiti di sinistra, fautori di una nuova tecnocrazia, molto più che in quelli di destra.
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