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« Torna agli articoli di Rodolfo de Mattei
E' quasi Natale, è tempo di regali, e anche quest'anno ha preso il via la campagna No Gender December volta a diffondere il messaggio politically correct di fare regali ai propri bambini al di là dei pregiudizi e degli stereotipi di genere. L'indicazione è indirizzata a 360° a tutta la filiera, produttori, venditori ed acquirenti ma, in particolare, è diretta ai negozi che farebbero bene a rimuovere dalle loro vetrine e scaffali le rigorose e obsolete divisioni di genere nel proporre i propri prodotti, optando per una esposizione "neutra" che non divida i giochi dei maschi da quelli delle femmine, lasciando a quest'ultimi la scelta. [...]
In tale prospettiva, "Let Toys Be Toys" esorta i venditori di giocattoli a cambiare la "segnaletica" tradizionale all'interno dei propri negozi andando a rimuovere le «etichette di genere», per venire incontro [...] a tutte quelle "persone si sentono a disagio nell'acquistare un giocattolo rosa per un ragazzo o un giocattolo etichettato come "per i ragazzi" ad una femmina".
COSA DICONO GLI STUDI SERI
Eppure, al di là dell'ideologia, esistono numerosi studi scientifici che smentiscono categoricamente le fantasie del "gender", confermando quanto la ragione e l'esperienza quotidiana mostrano chiaramente ad ogni persona dotata di un briciolo di buon senso.
La psicologa Alice Eagly, ad esempio, una delle più autorevoli studiose americane dei processi di differenziazione sessuale, spiega come le teorie sull'indeterminatezza e irrilevanza delle differenze sessuali siano oramai oggi ampiamente superate, legate al particolare periodo storico femminista degli anni '70, nel quale vi era un preciso interesse ideologico ad abbattere ogni sorta di cosiddetto stereotipo culturale.
In realtà, afferma la Eagly, gli stereotipi sessuali della gente comune risultano nei fatti "abbastanza precisi". Gli scienziati, attualmente impegnati a studiare le differenze tra uomini e donne, «hanno iniziato a rendersi conto di aver infranto non gli stereotipi culturali ma l'opinione scientifica generale forgiata nel movimento femminista degli anni '70».
Attorno alla ricerca scientifica sui processi di differenziazione sessuale è stato però calato un velo di silenzio ideologico, un muro di omertà volto a boicottare qualsiasi tipo di studio o ricerca che abbia l'ardire di mettere in discussione le consolidate tesi femministe.
J. Richard Udry, professore di sociologia all'Università della North Carolina, nel suo interessante e documentato saggio Uguali mai (Lindau 2006) ha ammesso di essere rimasto colpito e profondamente scoraggiato dalle estenuanti difficoltà sorte attorno alle pubblicazione dei propri risultati scientifici riguardanti l'importanza dell'ambiente ormonale nel ventre materno nel processo di differenziazione sessuale. Difficoltà che lo studioso non aveva mai riscontrato precedentemente nella sua lunga e autorevole carriera.
STUDI FALSIFICATI DALLE FEMMINISTE
Nel corso degli anni, all'interno del settore di studio sulle differenze di sesso, si è venuta a costituire quella che lo studioso inglese Robert Pool ha definito una vera e propria "sorellanza". Secondo Pool, che si è ampiamente documentato sulla materia, confrontandosi con numerosi ricercatori attivi in questo campo, «gli scienziati che si occupano di ricerche provocatorie e innovative sulle preferenze dei due sessi sono in maggioranza donne». Oltretutto, continua lo studios inglese, tali studi sono tutto fuorché imparziali dal momento che la maggior parte di queste ricercatrici «si definiscono femministe o almeno simpatizzano con gli obiettivi femministi».
Altre studiose, come Virginia Valian, si sono dedicate a studiare i comportamenti dei bambini, fin da piccolissimi, e ne hanno tratto conclusioni inequivocabili: «i maschietti corrono di più in giro, e quando guardano illustrazioni con passeggeri a bordo di veicoli, la loro attenzione si concentra sul veicolo, mentre le bambine guardano le persone che ci sono dentro». Differenze comportamentali riscontrate anche all'asilo dove, «quando arrivano dei nuovi giocattoli, i maschi mollano quello che stanno facendo e vanno a vedere. Quando arrivano dei bambini nuovi, sono le femmine a mostrare più curiosità».
Tali differenze si manifestano già dai primissimi anni di età, «non appena inizia una qualche forma di comportamento autonomo», troppo presto perché si possa parlare di un'influenza scaturita da una socializzazione: «I bambini si interessano a macchine, armi e fatti; piace loro rincorrersi, arrampicarsi, fare la lotta, giocare ai cowboy, e saltare. Se si dà loro una bambola, a volte la mettono a bordo di veicoli e la portano via dalla casa delle bambole oppure le sbattono la testa contro un mobile. Le bambine hanno interesse per persone, vestiti e parole; a loro piace giocare con le bambole, sussurrarsi all'orecchio, disegnare e farsi belle».
IL PARADOSSO NORDICO
La menzogna della malleabilità del gender è stata, inoltre, recentemente messa a nudo dal cosiddetto paradosso nordico che ha sorprendentemente rivelato come i 4 Paesi al mondo del Nord Europa che più di tutti rispettano l'uguaglianza fra i sessi e i diritti delle donne siano in realtà siano anche quelli dove le donne sono più maltrattate, offese e perfino uccise dai loro stessi partner.
Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia che secondo il World Economic Forum, l'Unesco e l'Ocse, sono le 4 «best countries for women», hanno infatti allo stesso tempo il paradossale e raggelante primato di essere le 4 nazioni con il maggior numero di violenze e maltrattamenti nei confronti delle donne.
La politica del "genere", là dove applicata, sembra non portare i frutti sperati. Una verità svelata nitidamente già tempo fa dal noto documentario "The Gender Equality Paradox" del regista Harald Eia trasmesso nel 2010 dalla principale emittente televisiva norvegese NRK1 che, dopo aver dato vita ad un acceso dibattito, ha portato il governo ad abolire del tutto le sovvenzioni riservate alle associazioni impegnate nelle politiche di "genere" (nel 2012 erano stati stanziati ben 7,5 milioni di euro) [leggi: IL PARADOSSO NORVEGESE SMENTISCE L'IDEOLOGIA DEL GENDER, clicca qui, N.d.BB].
In questa prospettiva, campagne come "No Gender December", presentate come lodevoli e apprezzabili iniziative in favore della parità di genere, fanno parte in realtà di un più ampio e radicale piano strategico fondato sulla negazione dell'esistenza di una immutabile e indelebile natura umana impressa in ognuno di noi dal momento del nostro concepimento.
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