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« Torna agli articoli di Stefano Fontana
L'Arcivescovo Giampaolo Crepaldi così scriveva nel libro "La Dottrina sociale della Chiesa. Una verifica a dieci anni dal Compendio (2004-2014)" (Cantagalli, Siena 2014): «A mio modo di vedere la posizione di pensiero maggiormente influente per la critica alla Dottrina sociale della Chiesa è quella di Karl Rahner. Se andiamo a vedere nel dettaglio, molti dei teologi che, in seguito, hanno sferrato critiche e sviluppato percorsi alternativi alla Dottrina sociale sono stati suoi allievi. Rahner riflette sulla scia del pensiero di Heidegger, ossia al di fuori del contesto di una filosofia cristiana. Fuori anche dal contesto tracciato in seguito dalla Fides et ratio di san Giovanni Paolo II. Questa enciclica fa alcuni nomi, a titolo di esempio, di filosofi cristiani, ma Heidegger non figura tra essi.
NESSUNA DISTINZIONE TRA ATEI E CREDENTI
Rahner intende Dio come un "trascendentale esistenziale". Ciò significa due cose principalmente: che tutti gli uomini sono in Dio, perché Egli è la loro dimensioni apriorica, l'orizzonte non conoscibile e non categorizzabile della loro soggettività e della loro libertà, in pratica del loro essere persone; che a Dio si accede sempre dentro la nostra coscienza. Egli non viene conosciuto, ma coscienzialmente ed esistenzialmente esperito come orizzonte di ogni significato.
Ciò storicizza la fede, che non è un conoscere ma un fare esperienza esistenziale di un orizzonte intrascendibile. In questo consiste, per lui, la trascendenza. Non ci sono più atei e credenti, ma tutti sono dentro quest'orizzonte e si accompagnano reciprocamente nell'interpretazione della vita. Qualcuno passa da un cristianesimo anonimo ad uno non anonimo, ossia tematizzato e consapevole, senza perciò cessare di condividere quello stesso orizzonte. Il bene e il male non sono netti, ma svolgendosi l'esistenza tutta dentro l'orizzonte trascendentale di Dio, esistono vari livelli di bene da far lievitare, ma non mai da condannare. L'uomo non può mai sapere fino in fondo quando è in situazione di peccato. La Chiesa non è davanti al mondo, pur essendo anche nel mondo, ma si fa mondo, perché condivide col mondo il comune orizzonte esistenziale.
INCOMPATIBILITÀ TRA TEOLOGIA RAHNERIANA E DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
In questo quadro, che ho dovuto qui riassumere in poche battute col rischio di incompletezze, è molto difficile farci entrare la Dottrina sociale della Chiesa, a meno di smantellarne il carattere di corpus dottrinale, eliminarne la valenza missionaria e salvifica ed intenderla come una prassi dell'accoglienza, dell'ascolto e del camminare insieme, ma senza la luce della verità che viene dall'esterno di questo mondo, dal trascendente. Il trascendente, per Rahner, consiste appunto nella dimensione trascendentale esistenziale che, essendo la condizione di ogni senso, non può essere a sua volta tematizzata. Trascendente in questo senso».
Da queste affermazioni risulta l'incompatibilità della teologia rahneriana con la Dottrina sociale della Chiesa e perciò si capisce perché tutte le correnti che a Rahner si rifanno in realtà hanno sempre combattuto, in modo palese od occulto, la Dottrina sociale della Chiesa, anche nel lungo periodo - anzi soprattutto allora - in cui essa doveva essere rilanciata per volontà dei Pontefici. Si è trattato di un'opposizione sorda e pervicace che ha prodotto molti danni e che oggi sembra essere vincente. Ho potuto confermare questa tesi dell'Osservatorio nel mio ultimo libro "La nuova Chiesa di Karl Rahner. Il teologo che ha insegnato ad arrendersi al mondo" (Fede & Cultura, Verona 2017). Alla luce anche di quanto scritto in questo libro, può essere utile richiamare qui i punti fondamentali per cui la teologia che fa capo a Rahner rappresenta un tentativo di eutanasia della Dottrina sociale della Chiesa. Speriamo di suscitare così un dibattito che ospiteremo volentieri nel nostro sito.
1) LA CHIESA NEL MONDO
Perché ci sia Dottrina sociale della Chiesa bisogna che la Chiesa non sia mondo. La Dottrina sociale della Chiesa è infatti l'annuncio di Cristo nelle realtà temporali. Se la Chiesa si immerge senza distinzione nelle realtà temporali, la missione della Dottrina sociale della Chiesa, e la Dottrina sociale della Chiesa come missione della Chiesa, sono già finite. Ma proprio questo è quanto afferma Rahner, secondo cui la Chiesa deve smetterla di voler "manipolare il mondo". Essa deve intendersi come una parte del mondo, senza pretese di superiorità dottrinale e veritativa.
2) DIO SI RIVELA NEL MONDO
Questo perché Dio non si rivela prioritariamente nella Chiesa ma nel mondo, dato che Egli si rivela indirettamente negli eventi dell'esistenza in quanto orizzonte primordiale e apriorico che li rende possibili. La rivelazione di Dio non è né cosmica né metafisica, è completamente storica. Dio si rivela indirettamente nei fatti storici. Ne consegue che la dottrina - e quindi anche la Dottrina sociale della Chiesa - non è l'elemento primario. Prima di tutto c'è la vita, la prassi... e poi la dottrina. Ecco perché la Dottrina sociale della Chiesa è stata accusata di ideologia e di astrattezza.
3) DIO È IMMANENTE NELLA STORIA
Secondo Rahner bisogna ripensare la trascendenza di Dio. Essa non è di carattere metafisico, ma esistenziale. Dio è trascendente nel senso che non è una cosa tra le cose, ma è l'orizzonte che rende possibile la nostra visione interessata, partecipe e libera delle cose. Trascendente per lui vuol dire a-priori. In questo senso Dio non ci rivela delle conoscenze, non ci trasmette una dottrina, non ci dà delle prescrizioni... Egli ci dice solo di vivere in modo partecipato, dialogando con gli altri perché Dio si rivela a tutti e non solo ai cristiani.
4) DIO PONE DOMANDE E NON DÀ RISPOSTE
La Dottrina sociale della Chiesa, pur con il suo carattere pratico e perfino sperimentale, aveva la pretesa di indicare delle risposte di bene e di salvezza all'umanità. Ma per Rahner Dio non dà regole, suggerimenti, indicazioni. La presenza di Dio in tutti gli uomini consiste nella loro "questionabilità", ossia nella insaziabilità che li porta a mettere sempre in questione i nuovi risultati acquisiti. Il cristiano è semplicemente colui che è aperto al futuro, da cui derivano tutte le dottrine teologiche del futuro e della prassi che hanno caratterizzato i decenni postconciliari.
5) DOTTRINA E LEGGE MORALE NATURALE NON ESISTONO PIÙ
La Dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto di fondarsi sulla rivelazione - vale a dire sulla dottrina della fede - e sul diritto naturale. Ma nella prospettiva rahneriana entrambe le cose non esistono più. La rivelazione non ci fa conoscere verità dottrinali, I dogmi sono storici e si evolvono, la "natura" va riassorbita completamente nella storia ed è un residuo metafisico del passato.
Come si vede da questi poveri accenni - sviluppati più adeguatamente bel libro sopra citato - tra la teologia di Karl Rahner e la Dottrina sociale della Chiesa c'è assoluta incompatibilità. Questo spiega, lo ripeto, perché essa sia stata e sia fortemente contestata e contrastata. Ma la ragione non sta dalla parte di Rahner e del rahnerismo, nonostante sembri oggi prevalente nella Chiesa.
Nota di BastaBugie: l'articolo sottostante dal titolo "I semi di Rahner che hanno influenzato il Sinodo" riporta un capitolo del libro scritto da Stefano Fontana in uscita in questi giorni "La Nuova Chiesa di Karl Rahner" edito da Fede e cultura.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 21 aprile 2017:
Durante il lungo periodo sinodale sulla famiglia caratterizzato dal Sinodo straordinario dell'ottobre 2014 e da quello ordinario dell'ottobre 2015 si sono potuti verificare molti elementi derivati da una impostazione rahneriana delle cose. Rahner, in altre parole, ancorché morto nel 1984, è stato presente al Sinodo. Si potrebbe anche dire che le notevoli contrapposizioni che sono emerse durante i due Sinodi derivano dallo scontro tra l'area della teologia rahneriana e la controparte.
Elementi fortemente rahneriani erano già emersi nella lezione introduttiva al Sinodo tenuta davanti ai Cardinali da parte del cardinale Walter Kasper nel febbraio 2014. Pensiamo per esempio all'idea che non si possa mai conoscere una situazione oggettiva e pubblica di peccato, quale è appunto quella dei divorziati risposati. La tesi espressa da Kasper era che non esistono i divorziati risposati, ma questo, quello, quell'altro divorziato risposato. La realtà, quindi, non mostra strutture portanti e universali, ma solo situazioni uniche individuali. Questo modo di vedere è di origine nominalistica dato che proprio questo diceva Guglielmo di Occham nel XIV secolo e divenne anche il modo di vedere di Lutero e della filosofia protestante in genere, in quanto è il modo migliore per separare la ragione dalla fede.
Se non esistono nella realtà strutture universali che la ragione possa conoscere con le proprie forze, essa non potrà salire naturalmente dalle cose a Dio, né la rivelazione potrà servirsi del linguaggio della ragione per farsi capire da tutti. La ragione sarà nominalista, ossia potrà fare esperienza di singole cose alle quali, per somiglianza tra loro, potrà poi anche assegnare un nome comune, ma solo un nome che non si riferisce a nessuna realtà oltre le singole cose. La fede sarà fideista. Dio è onnipotente, è il totalmente Altro, è volontà e non verità. La Veritatis splendor di Giovanni Paolo II dice l'opposto di quanto affermato da Kasper, ma quella enciclica aveva alle spalle una diversa filosofia. Anche per Rahner ci sono solo casi particolari da affrontare uno per uno, perché la realtà del mondo è complessa, non c'è una dottrina che vi si possa applicare e non si può conoscere mai se si è o meno davanti ad una situazione di peccato. Davanti ad una coppia di divorziati risposati la Chiesa deva comprendere, accogliere ed accompagnare con un percorso da farsi caso per caso e adoperando il non ben precisato discernimento. Quanto appunto ha proposto il cardinale Kasper.
Durante la discussione sinodale molti vescovi dissero che anche in una relazione omosessuale è presente la grazia di Cristo. Prima, durante e dopo il Sinodo molti vescovi e cardinali si sono detti favorevoli ad affidare compiti ecclesiali agli omosessuali pur se perseveranti nella loro relazione, e ad appoggiare il riconoscimento delle unioni civili tra persone omosessuali da parte dell'autorità politica. E' evidente che queste prese di posizione comportano l'abolizione del diritto naturale e della legge morale naturale e non tengono conto della necessità di rispettare la natura e le sue leggi se si vuole piacere alla soprannatura e alla grazia. Dire che la grazia è presente anche in una relazione omosessuale significa dire, con Karl Rahner, che la grazia è data sempre a tutti perché essa viene data al mondo, ove non esistono situazioni al di fuori della grazia di Dio.
A ben vedere, anche l'invito alla parresia fatto ai Padri sinodali presenta una accentuazione rahneriana. Essa significa l'accettazione del pluralismo dentro la Chiesa nel senso della moderna libertà di espressione. Questa concezione della libertà di espressione è però diversa dalla libertà in senso cattolico. La parresia consiste nel coraggio di annunciare la verità, senza timori umani o reverenziali o senza la preoccupazione di salvare il salvabile. Non può significare la libertà di esprimere, in un consesso ecclesiale tanto importante come un Sinodo, idee scandalose per i fedeli o sconcertanti o che insinuano dubbi su fondamentali verità di fede professata. Il mondo è senz'altro pluralista, ma la Chiesa non può esserlo. Ma se la Chiesa fa parte del mondo anche essa sarà pluralista come Rahner continuamente afferma.
Però il punto principale della presenza della teologia rahneriana al recente Sinodo sulla famiglia riguarda l'accesso alla comunione dei divorziati risposati, ossia di persone in stato di peccato pubblico e oggettivo. Se il peccato è visto come la morte ontologica (vale a dire del suo stesso essere) dell'anima, allora non si può pensare che sia possibile ricevere la comunione se prima l'anima non rinasce tramite il sacramento della confessione. Se però si vede la cosa non in senso ontologico ma esistenziale, tutto è reversibile nell'esistenza e quindi è possibile prevedere percorsi esistenziali per cui qualcuno possa accostarsi alla comunione pur rimanendo nella situazione oggettiva di peccato. Qui non c'è più la netta distinzione tra vita e morte, tra bene e male, tra grazia e peccato, tra dogma ed eresia, ma c'è una situazione esistenziale oggetto del nostro discernimento personale ed ecclesiale. Nell'esistenza tutto è convertibile, niente è irrevocabile. Tenuto anche conto di quanto si è già detto, ossia della impossibilità per Rahner di conoscere sia le situazioni oggettive e pubbliche di peccato sia quelle personali. Per lui ci sono le leggi di Dio, ma Dio - egli dice - non è il Dio delle leggi.
Non possiamo poi dimenticare che dal Sinodo sulla famiglia non è emersa nessuna indicazione sulla castità né alcuna indicazione se l'esercizio della sessualità fuori del matrimonio sia peccato. Giovanni Paolo II è stato ampiamente citato ma non lo è stato su due punti in particolare: il divieto di accedere all'eucarestia per i divorziati risposati e l'esercizio della sessualità fuori del matrimonio, punto ove si decide di accettare o di respingere l'eredità della Humanae Vitae di Paolo VI. Karl Rahner è tra i principali critici di quella enciclica di Paolo VI, anche se certamente non il solo, e per questo si capisce che al Sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015 questa pluridecennale opposizione alla morale sessuale dell'enciclica di Paolo VI ha trovato un punto di condensazione importante. Secondo Rahner la Chiesa non deve "moralizzare", ossia non deve dare precetti, norme, principi, regole, ma deve formare le coscienze. Che essa debba formare le coscienze è certamente vero, ma i precetti di Dio sono soavi e il suo giogo è leggero, ossia le leggi di Dio esprimono il bene dell'uomo e non si contrappongono alla coscienza. I precetti di Dio non sono astratti sicché la coscienza dovrebbe mediarli verso il concreto. Il precetto e la coscienza si corrispondono. La teologia morale di Rahner è diversa da quella della Vertitatis splendor di Giovanni Paolo II e nel Sinodo sulla famiglia è emersa con evidenza.
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