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Mentre Papa Francesco era in Lituania ad onorare una Chiesa che, con i suoi martiri, ha resistito alle persecuzioni, nonostante la drammatica Ostpolitik, per la quale era necessario tacere e non denunciare, né condannare il comunismo, la Sala stampa vaticana ha sobriamente annunciato l'accordo «provvisorio» e «soggetto a valutazioni periodiche» raggiunto fra Cina e Santa Sede.
Certamente è stato compiuto un atto che non considera le persecuzioni che continuano a perpetrarsi in Cina, così come avveniva in Unione Sovietica e nei Paesi dell'Est suoi satelliti. Meglio un accordo pastoral-politico, svendendo la fede e con essa tutti coloro che hanno versato il loro sangue per Lei, oppure una Chiesa di Roma che coerente ai suoi principi, non viene a patti con i propri persecutori? Sono i martiri, di cui la Chiesa si è sempre fregiata, che rispondono: non si stipulano contratti di compromesso con il mondo, men che meno con i propri persecutori.
PERSECUZIONI SENZA FINE
La Cina, che sfida l'Occidente con il suo straordinario sviluppo produttivo ed economico, è una Repubblica popolare in cui il potere è esercitato dal solo Partito Comunista Cinese; ciò significa che la dottrina vigente è quella atea e materialista di Mao e di Marx. Ha scritto il 24 settembre u.s. padre Bernardo Cervellera, missionario del PIME e direttore dell'agenzia Asia News: né «nella notizia dell'accordo, né nelle sue spiegazioni vi è un minimo accenno alla persecuzione che i cattolici e tutti i cristiani stanno sostenendo in questi tempi. Come testimoniato tante volte sull'agenzia, in nome della "sinicizzazione", in Cina vengono bruciate e distrutte croci, demolite chiese, arrestati fedeli e ai giovani sotto i 18 anni è vietata la partecipazione alle funzioni e l'educazione religiosa. In più ci sono vescovi e sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia; vescovi agli arresti domiciliari; vescovi non ufficiali considerati come criminali; controlli d'ogni tipo nella vita delle comunità».
Lo stesso padre Cervellera rivela ancora che il Partito comunista cinese ha dato indicazioni perché nessuna agenzia di viaggio della Cina permetta a gruppi di turisti di visitare la Basilica di San Pietro e il Vaticano; inoltre vige il divieto di fare pubblicità e programmare viaggi, e sono previste multe fino a 300mila yuan (39 mila euro circa).
Mentre il Papa nella terra della Collina delle Croci - periodicamente demolita dal Partito comunista e costantemente ricostruita, di notte, dal clero e dai fedeli - ricorda le terribili sofferenze qui patite, nelle ore in cui la Santa Sede si accorda con la chiesa ufficiale cinese, non fa memoria dei tanti martiri che nella terra del drago non si sono inchinati allo Stato.
I martiri cinesi non sono soltanto quelli periti sotto i Tartari Manciù nel Seicento, [...] ma anche quelli dell'epoca di Mao Zedong, negli anni Cinquanta e Sessanta, quando in Occidente furoreggiava il Libretto rosso di Mao, sventolato come manifesto rivoluzionario di grande libertà.
PADRE PASQUALE DE MARTINO
Di questi perseguitati e martiri si conosce ben poco, la Chiesa stessa non se ne cura. C'è un libro molto intenso e realista a tale riguardo, che uscì nel 1961 per le Edizioni missionarie di Parma.
L'autore, il saveriano Padre Pasquale De Martino, Prefetto Apostolico di Padang (Indonesia), che patì sei mesi di prigionia, scrisse una nota introduttiva al libro autobiografico, dove attesta: «L'autore - uscito dalle carceri comuniste di Cengciow, nel Honan - è quasi certo che i fatti narrati in queste memorie di prigionia saranno creduti da pochi. [...] L'autore pensa con queste sue pagine di rendere un piccolo omaggio a tutti i missionari espulsi dalla Cina comunista come malfattori comuni e che sono sparsi nel mondo, in altre missioni, per continuare a portare, e solamente, fede e civiltà».
Padre De Martino, sepolto a Parma, era nato a Como il 7 marzo del 1900 e morì a Tavernerio (CO) il 7 agosto 1968. Trascorse i suoi giorni di crudele prigionia recitando il Rosario: «... ero come fuori del tempo e dello spazio. Fissai una notte emi dissi che quella era la notte del Santo Natale. Pregai, ricordai, pensai a come avrebbero passato il Natale i cristiani, a cui era vietato andare alla messa di mezzanotte, mi domandai se i missionari avrebbero potuto celebrare la Messa notturna, magari di nascosto... [...] Erano già parecchie le notti passate senza dormire, e di giorno guai a chiudere un occhio! Presi l'abitudine di recitare continuamente il Rosario. [...] Il Rosario fu l'unica mia preghiera che sostituiva la Messa, il breviario, la meditazione, la visita, la lettura eccetera. Quando avevo le manette dovetti accontentarmi di contare le Ave Maria con le dita, quando poi mi liberarono da quel tormento, sfilacciai una striscia di stoffa dai miei abiti su cui feci dieci nodi, me l'infilai nella manica e con la mano nascosta mi riuscì più facile contare con meno errori [...] e così riuscii a recitare in media otto rosari al giorno e qualche volta raggiunsi puntate di dodici e tredici rosari interi» (pp. 104-105).
PERSECUZIONI RECORD IN CINA
La Chiesa cattolica cinese vanta un primato nel mondo: è quella che da più tempo è perseguitata. Il Governo, da Mao in poi, ha cercato sempre di assoggettare vescovi e clero allo Stato. Tutto si conosce dei lager nazisti; non abbastanza dei «gulag» sovietici, dei quali ci è pervenuto qualcosa grazie alla grande opera di Aleksandr Solgenitsin; quasi nulla degli orrori perpetrati nei «laogai» cinesi. È un silenzio colpevole. Realtà negate a chi le ha subite e le subisce ancora.
Nel libro In catene per Cristo. Diari di martiri nella Cina di Mao, a cura di Gerolamo Fazzini, con la prefazione di Bernardo Cervellera (Editrice Missionaria Italiana, Bologna, 2015) si possono leggere i diari di quattro testimoni perseguitati nei primi anni della rivoluzione comunista: Padre Gaetano Pollio, missionario italiano del PIME, poi Arcivescovo di Kaifeng, arrestato e costretto ai lavori forzati per sei mesi nel 1951 e infine espulso; padre Domenico Tang, gesuita, Arcivescovo di Canton, incarcerato senza processo per ventidue anni e dato per morto per diverso tempo; il catechista Giovanni Liao, incarcerato in un laogai per ventidue anni; don Leone Chan, rimasto in prigione quattro anni e mezzo.
Ma oppressioni, angherie, sevizie sono proseguite anche dopo Mao, senza pietà. Don Francesco Tan Tiandedel Guangdong, spirato nel 2009 a 93 anni, trascorse 30 anni, dal 1953 al 1983, nei Laogai. La sua persistente e tenace gioia ricorda quella dei martiri cristiani dell'antica Roma: nessuna paura, anzi si sentiva onorato, perché, dopo aver ricevuto il sacramento della Cresima, aveva promesso che sarebbe stato un soldato coraggioso di Cristo per tutta la vita.
«Vivere per lui e morire per lui», rendendo testimonianza al Vangelo. Diversi vescovi e comunità sotterranee, in questi mesi di dispacci dal sapore accordista, sono stati messi sotto pressione espinti ad iscriversi all'Associazione patriottica. Monsignor Giulio Jia Zhiguo, Vescovo di Zhengding (Hebei), riconosciuto dal Vaticano, ma non dalle autorità comuniste, il 6 e 7 marzo scorso è stato portato via dalla polizia per evitare che il prelato rilasciasse commenti sui "dialoghi" cino-vaticani ai giornalisti stranieri, convenuti a Pechino per seguire l'Assemblea nazionale del popolo.
Monsignor Jia Zhiguoha trascorso più di quindici anni in carcere ed è fra le persone al mondo che ha subito più arresti, dal 1980 in poi. Il lavaggio del cervello è sempre consistito nel fargli rinnegare il Vicario di Cristo, ma il Vescovo ha costantemente resistito. Si sentirà lui, oggi, rinnegato dal Papa? Anche questo è martirio.
Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "Cina-Vaticano, una lettera che sa di fideismo" parla della Lettera ai cattolici cinesi, seguita all'accordo con il regime di Pechino, nella quale il papa esorta i cattolici cinesi a pregare, ad aprirsi, ad accogliere, a riconciliarsi, ma senza che l'oggetto sia conosciuto. Ci si deve solo fidare del papa. Chiede loro di muoversi al buio...
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 28 settembre 2018:
Il Messaggio che papa Francesco ha rivolto ai cattolici cinesi due giorni fa, dopo la notizia dell'accordo tra Cina e Vaticano sulle nomine episcopali, stupisce per diversi motivi e in diversi punti.
La prima cosa che il lettore si chiede è quale sia il senso di un Messaggio su una cosa che è tuttora sconosciuta. Come si sa, infatti, i contenuti dell'accordo sono secretati. Il Messaggio del Papa è quindi privo di contenuto. A cosa si riferisce? Di cosa parla? Non lo si capisce non per difficoltà di parola - al contrario il testo è ricco di belle parole e belle frasi - ma per mancanza di contenuto. Il papa esorta i cattolici cinesi a pregare, ad aprirsi, ad accogliere, a riconciliarsi, ad accettare la sofferenza... ma l'oggetto non lo dice. Chiede una specie di atto di fiducia verso se stesso, avendo egli rivendicato a sé - nella conferenza stampa di ritorno dai Paesi baltici - la responsabilità dell'accordo.
C'è da sperare che i contenuti dell'accordo vengano resi noti e che i cattolici cinesi fedeli a Roma sappiano, come si dice in gergo, "di che morte moriranno". Ma intanto come si devono comportare i cattolici della Chiesa clandestina fedele a Roma? Per aprirsi, uscire e riconciliarsi dovranno riconoscere i vescovi della chiesa patriottica come vescovi autentici, anche se sanno che sono spie? Anche se sanno che hanno donne e figli? Anche se sanno che sono lì per pura carriera politica? Stupisce molto che il papa chieda loro qualcosa senza informarli veramente sulla situazione in cui si troveranno a vivere. Che chieda loro di muoversi al buio. Muoversi al buio è fede o fideismo?
Spingere perché ci si muova al buio è un frequente atteggiamento di questo pontificato. Il caso più evidente è l'Esortazione apostolica Amoris Laetitia. Essa è "al buio". Non dice cosa fare in ordine ad un contenuto definito. Invita a muoversi intorno ad un contenuto impreciso. Con Amoris Laetitia non è nata una nuova teologia del matrimonio, del divorzio, dei Sacramenti della Comunione e della Confessione precisata e definita dal magistero. Sono nati dubbi e incertezze - molti punti di domanda - sulla teologia tradizionale. Su questo è stata però chiesta la mobilitazione dei fedeli, senza aver precisato i contenuti di questa mobilitazione. Ora, in modo simile, ci si rivolge ai fedeli cinesi senza chiarire con loro di cosa si stia parlando.
Nel Messaggio ai cattolici cinesi stupisce poi anche che ci si rivolga - almeno sembra di capire - in via prioritaria ai fedeli della Chiesa clandestina e fedele a Roma, chiedendo loro di "farsi artefici di riconciliazione", ponendo sullo stesso piano le due chiese, quella fedele a Roma e quella emanazione del partito comunista al potere. Ora, tutti sanno che gli esatti confini tra le due chiese sono difficilmente precisabili. C'è un andirivieni di vescovi e di sacerdoti dall'una all'altra. Questo però non autorizza a metterle sullo stesso piano e a rivolgersi indistintamente agli uni e agli altri come quando si chiede che "Tutti i cristiani, senza distinzione, pongano ora gesti di riconciliazione e di comunione".
Il papa chiede una Chiesa cinese "in uscita". Ma la Chiesa cinese dovrebbe uscire verso una non-Chiesa. Ove manca la successione apostolica non c'è Chiesa e nella chiesa patriottica che non è in comunione con Roma non c'è la successione apostolica. A meno che l'accordo secretato non preveda che tutti i vescovi cattolici della chiesa patriottica passino ope legis in quella fedele a Roma, trasformandosi così automaticamente da inautentici ad autentici. E magari senza alcun pentimento, come invece è avvenuto per il Figliol Prodigo citato dal papa nel Messaggio come esempio appunto di riconciliazione. Ma, come ripeto, ciò non ci è dato di sapere. Sicché questo invito alla riconciliazione e alla comunione è, per il momento, privo di contenuto e invita a riconciliare due chiese di cui una è Chiesa e l'altra no.
Nel corpo del Messaggio, Francesco si rivolge anche ai cattolici - vescovi, sacerdoti e laici - che hanno subito la persecuzione del regime proprio per la volontà di rimanere fedeli al papa: "Sono sentimenti di ringraziamento al Signore e di sincera ammirazione per il dono della vostra fedeltà, della costanza nella prova, della radicata fiducia nella Provvidenza di Dio, anche quando certi avvenimenti si sono dimostrati particolarmente avversi e difficili". Prosegue poi dicendo che "Tali esperienze dolorose appartengono al tesoro spirituale della Chiesa in Cina e di tutto il Popolo di Dio pellegrinante sulla terra". Tuttavia occorre cambiare ed affrontare le nuove sfide, come per esempio la volontà espressa da tanti cattolici della chiesa patriottica di unirsi a Roma.
Stupisce molto questa valutazione del martirio in relazione con la situazione dei tempi, come se la Chiesa non fosse ontologicamente - e non secondo un vago spiritualismo - là dove ci sono i martiri per la fede. Se chi è ucciso in odium fidei (il martire) è santo anche senza miracolo e senza processo, vuol dire che i martiri sono il cuore della Chiesa e che la Chiesa è là dove essi sono perché essi sono là dove essa è. C'è un nesso profondo tra i martiri, la Chiesa e il papa. Non può esistere motivo pastorale per metterli da parte, per collocare la Chiesa altrove da dove essi sono. I martiri sono fedeli alla Chiesa e la Chiesa deve essere fedele ai martiri.
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