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C'è un giudice a Brisbane. Anzi, ce ne sono sette. Il verdetto dell'Alta Corte, infatti, è stato unanime: annullata la condanna a sei anni per abusi sessuali e assolto Pell da tutte le accuse. Il cardinale è tornato in libertà dopo 404 giorni di - a questo punto lo si può dire - ingiusta detenzione. La sentenza è stata pronunciata nell'aula 5 del Commonwealth Law Courts Building di Brisbane quando in Italia erano da poco superate le due di notte.
Pell si trovava a 1800 km di distanza dal luogo in cui i sette giudici dell'Alta Corte hanno messo la parola fine ad uno dei casi giudiziari più seguiti di sempre dagli australiani. Nella sua cella della prigione di Barwon, dove solo pochi giorni fa tre detenuti sono stati ricoverati dopo una rissa finita male, il porporato ha atteso la decisione affidandosi alla preghiera. "L'Alta Corte - è stato spiegato in una nota diramata dal tribunale - ha constatato che la giuria, agendo razionalmente sull'insieme delle prove, avrebbe dovuto nutrire un dubbio in merito alla colpa del richiedente rispetto a ciascuno dei reati per i quali era stato condannato, e ha ordinato l'annullamento delle condanne e la registrazione dell'assoluzione".
ASSOLUZIONE COMPLETA E DEFINITIVA
La tesi della difesa, dunque, ha vinto su tutta la linea puntando sul principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Ribaltata la sentenza pronunciata lo scorso agosto - a maggioranza (2-1) - dalla Corte d'Appello di Victoria che aveva confermato la condanna in primo grado. Nella nota ufficiale, inoltre, è stato rimarcato come non era stata smentita la veridicità delle testimonianze di chi aveva raccontato le abitudini post-Messa del cardinale che rendevano temporalmente e fisicamente impossibile il reato [leggi i particolari della vicenda nella nota in fondo a questo articolo, N.d.BB].
Se c'è un uomo a cui Pell deve essere grato per l'esito di questa pagina nera della giustizia australiana, quello è senz'altro Mark Weinberg, il giudice che - seppur messo in minoranza l'estate scorsa dai suoi colleghi Ferguson e Maxwell - col suo parere dissenziente, e la dettagliata relazione ad esso accorpata, è riuscito ad aprire uno squarcio nella vicenda che ha consentito alla difesa di presentare il ricorso alla Corte Suprema.
La decisione unanime dei sette giudici arriva nonostante il clima ostile che i media hanno continuato ad alimentare in queste settimane contro il cardinale, con minacce di nuove cause civili lanciate da presunte vittime attraverso i media più maldisposti nei suoi confronti.
GIUSTIZIA E VERITÀ
Un'ora dopo la lettura della sentenza, il porporato ha rilasciato una dichiarazione ufficiale nella quale ha rivendicato nuovamente la sua innocenza e ha detto di aver subito una "grave ingiustizia". L'ex tesoriere del Vaticano ha affermato di non portare rancore verso il suo accusatore, sostenendo che c'è già abbastanza "dolore ed amarezza". "L'unica base per una guarigione duratura - ha aggiunto il cardinale - è la verità e l'unica base per la giustizia è la verità, perché la giustizia significa verità per tutti".
Non sono mancati i ringraziamenti ai suoi avvocati che sono stati capaci di "far prevalere la giustizia", ai suoi sostenitori in tutto il mondo che lo hanno accompagnato con la preghiera, ai suoi collaboratori e alla famiglia per tutto ciò che hanno dovuto patire insieme a lui. L'ex arcivescovo di Sidney ha concluso la sua dichiarazione, rivelando di pregare per i malati di coronavirus e per i medici in prima linea negli ospedali.
Due ore e mezza più tardi la lettura della sentenza, alle 4 e 30 italiane, il porporato ha lasciato definitivamente il carcere di Barwon a bordo di una macchina nera. George Pell, 78 anni e 404 giorni di ingiusta carcerazione alle spalle, è ora un uomo libero, assolto dall'accusa più infamante per un sacerdote. E potrà tornare anche a celebrare l'Eucarestia dopo più di anno.
Nota di BastaBugie: Marco Tosatti nell'articolo seguente dal titolo "Pell, tutte le tappe di una condanna senza fondamento" ricostruisce tutta la triste vicenda del cardinale ingiustamente incarcerato e processato per oltre un anno, tra l'altro senza prove solo sulla base di un unico testimone.
Ecco un estratto dell'articolo che La Nuova Bussola Quotidiana pubblicò il 27 dicembre 2019:
Nel marzo del 2019, il giudice Peter Kidd ha condannato il cardinale Pell a sei anni di prigione, con la possibilità, dopo tre anni e otto mesi, di ottenere la libertà su cauzione. Pell è stato ritenuto responsabile dalla giuria di cinque atti di aggressione sessuale (quattro dei quali contemporanei) contro due ragazzi del coro che nel 1996, all'epoca della sua nomina ad arcivescovo di Melbourne, avevano 13 anni. Secondo l'accusa, Pell, subito dopo una solenne Messa domenicale, ancora vestito con i paramenti liturgici, avrebbe assaltato sessualmente in una sacrestia non isolata due ragazzini del coro, sorpresi a bere il vino da usare per la consacrazione, obbligandone uno alla fellatio e usando l'altro per masturbarsi. Il tutto in cinque-sei minuti. In un'altra occasione avrebbe spinto una delle vittime contro un pilastro toccandogli i genitali.
Da rimarcare che questi sarebbero stati gli unici abusi commessi dall'imputato in tutta la sua vita. E già questo appare singolare. Chi è esperto di questi casi sa che i responsabili reiterano le aggressioni; anche in luoghi diversi e a distanza di tempo, con diverse vittime. Non si fermano certo a un singolo episodio.
La prima condanna è stata pronunciata da una giuria popolare, composta di 12 persone. Ora, è interessante osservare che la condanna è venuta in un secondo processo (di primo grado). Infatti, una prima giuria si era espressa - dieci contro due - a favore del proscioglimento dell'accusato. Ma il giudice aveva poi scelto, in mancanza dell'unanimità, di aprire un secondo giudizio.
Da ricordare anche che, sin dal 2014, la Polizia dello Stato di Vittoria aveva aperto un'inchiesta "open ended" per cercare testimonianze e prove per eventuali reati di abuso commessi dal cardinale Pell; e questo anche in assenza di denunce o segnalazioni. L'impressione - e anche più di un'impressione - è che nella polemica lanciata contro la Chiesa cattolica per gli abusi si sia cercato un bersaglio eccellente. E che questo sia stato identificato nel porporato, inviso all'opinione pubblica progressista per le sue posizioni in fatto di omosessualità, gender e matrimonio gay.
La squadra legale di Pell ha presentato appello. Ha detto che il verdetto, emanato dalla (seconda) giuria di 12 persone, è "irragionevole", perché si basa "unicamente sulla parola del denunciante". E in effetti, vista dall'esterno, questa circostanza appare assolutamente incredibile: che cioè, a circa vent'anni di distanza da un fatto presunto, chiunque possa essere condannato in base a un'accusa priva di testimonianze di appoggio o di qualsiasi altra prova. Il ricorso affermava poi che "in base a tutta l'evidenza, compresa l'evidenza a discolpa e non contrastata di più di venti testimoni della Corona, non era possibile per la giuria essere soddisfatta oltre ogni ragionevole dubbio unicamente sulla parola dell'accusatore". La difesa aveva preparato anche un filmato per mostrare alla giuria come fosse impossibile compiere attività sessuale nei luoghi e nei modi descritti dall'accusatore - nella cattedrale e in quel momento della mattina - subito dopo la Messa principale celebrata da Pell: ma la proiezione di questo filmato non è stata permessa dal giudice. Una decisione che viste le circostanze - un'accusa senza testimoni - non appare comprensibile, se non nell'ottica di un pregiudizio contro Pell.
Il ricorso di Pell è stato rigettato nell'agosto 2019, con due voti contro uno. Ma uno dei tre giudici, Mark Weinberg, ha scritto una memoria di duecento pagine per spiegare perché secondo lui esiste "una possibilità significativa" che il cardinale non abbia commesso l'abuso per cui è in galera. Weinberg avrebbe liberato Pell, e ha detto di non poter escludere che alcune parti della denuncia dell'ex ragazzino del coro fossero "costruite".
Da notare fra l'altro che la seconda presunta vittima, morta per overdose di eroina nel 2014, aveva detto a sua madre di non aver mai subito abusi. Se fosse stata in vita, probabilmente, tutta l'accusa sarebbe caduta. Secondo Weinberg c'era tutto un corpo di evidenze che "rendevano impossibile accettare" il racconto del denunciante. "C'erano inconsistenze, discrepanze, e un certo numero di risposte semplicemente non avevano senso", ha scritto Mark Weinberg. E continua così: "Un elemento inusuale di questo caso era che dipendeva interamente dall'accettazione del denunciante, al di là di ogni dubbio ragionevole, come di un testimone credibile e affidabile. Tuttavia la giuria è stata invitata ad accettare la sua versione senza che ci fosse nessuna conferma indipendente per essa".
Per cui Pell è stato condannato a sei anni di prigione in base alla testimonianza della stessa persona che ha sporto la denuncia. Di recente Andrew Bolt di Sky News ha svolto un'inchiesta, ricostruendo, in base all'accusa, i movimenti dei personaggi in quella - non specificata - domenica del 1996 ed è giunta alla conclusione, documentata con un filmato, che semplicemente Pell non avrebbe potuto compiere ciò per cui è stato condannato. [...]
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