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E che ha detto di male il povero ministro Alfano per essere subissato di improperi dai catto-comunisti? Semplicemente quel che tutti gli italiani pensano, ma non osano dire per non finire, anche loro, subissati. Solo chi trascorre le vacanze estive sui monti non sa quel che succede ai tapini che le passano al mare. E questi ultimi sono i più, anzi quasi tutti, visto che l'Italia è tutta coste. Il sottoscritto ha provato ad andare al mare a settembre inoltrato, certe volte sulla spiaggia era solo. Macché. Avvistato da lontano e raggiunto. No, grazie. Ho detto no grazie. NO GRAZIE! Solo allora –forse- se ne va. Ma subito ne arriva un altro. E via così, per tutto il tempo.
Se vai al mare nei mesi di mare l'unica salvezza è stare in acqua con l'onda almeno alla vita. Ma non puoi rimanerci sempre. Arrivano uno dopo l'altro, senza fine e senza requie. Non gliene frega niente se sei impegnato in una conversazione o stai parlando al cellulare. Ti si piazzavano davanti con la merce e devi interrompere quel che stai facendo per ripetere fino allo sfinimento il tuo «no, grazie». Cinque-sei minuti d'intervallo ed eccone un altro. È ovvio che già col quinto perdi la pazienza e quel «no, grazie» diventa quasi un urlo di disperazione. Poi ti dispiace, perché si tratta di poveracci, e ti rimorde la coscienza. Così, tra scatti di nervoso e rimorsi, la tua giornata di relax al mare si trasforma in qualcos'altro. Sei partito allegro e contento e in breve ti ritrovi arrabbiato e indispettito. E sai che l'indomani si replica, e che sarà così tutti i giorni della tua vacanza.
Cedere alla compassione? Ma non puoi certo comprare tutte le cianfrusaglie e i tarocchi di tutti i vu' cumprà (pardon: venditori ambulanti privi di autorizzazione), e tutti i giorni. Magari pensi: vabbe', faccio la mia buona azione con uno solo, almeno attutisco il mio senso di compassione. Ma ecco l'esempio: un'africana insisteva a vendermi le sue collane etniche; io non sapevo che farmene; ha replicato in italiano approssimativo che aveva i figli da sfamare; avevo in tasca solo una banconota da venti, le ho chiesto di tenerne cinque e darmi il resto; ho dovuto inseguirla perché aveva capito - diceva lei - che poteva prendersela tutta. Ma è inutile moltiplicare gli esempi su quel che tutti gli italiani spiaggiati sanno.
Se si lamenta Briatore per la sua Forte dei Marmi, i soliti «buoni» si stracciano le vesti perché un miliardario non si vergogna di inveire contro «gli ultimi del mondo». Se il ministro dell'Interno, come suo dovere, si fa carico del grido di dolore dell'intero Paese (e dei contraccolpi sull'economia nazionale) gli danno addosso quelli della fazione avversa e i radical-chic che al mare di Rimini preferiscono le Maldive (dove di vu' cumprà non c'è ombra). E, naturalmente, i cattolici postconciliari, quelli del «primato dell'ortoprassi» e, dunque, della «pastorale», quelli che da tutti i milioni di frasi di papa Francesco estrapolano fior da fiore (la «Chiesa povera per i poveri», «chi sono io per giudicare», la Chiesa come «ospedale da campo») e buttano via il resto. Il risultato è un'ideologia che, sommandosi a quella post-comunista che vede negli immigrati africani il «nuovo proletariato», sta completamente stravolgendo l'identità storica (e religiosa) del nostro Paese, creando problemi che definire spaventosi è dir poco.
Ora, un ministro è lì apposta per almeno affrontarli, i problemi. Ma in Italia deve farlo con una mano legata dietro la schiena e l'altra a grattarsi la nuca. Ed ecco qua: Radio Vaticana ha intervistato il responsabile dell'ufficio immigrazione della Caritas, dando per scontato che si tratti di un esperto. In realtà si tratta di un esperto di "accoglienza", perché il vero esperto di "immigrazione" è, per definizione, il ministro dell'Interno. Come da copione, leggo su zenit.org l'esordio: «Purtroppo, abbiamo sentito nuovamente termini che pensavamo ormai passati». Prima bacchettata sulle dita al ministro che si è permesso di usare un linguaggio politicamente scorretto. Secondo colpo di bacchetta: «non bisogna essere esperti del settore per sapere che il tema del lavoro irregolare, soprattutto dell'abusivismo legato all'imprenditoria 'etnica', fa parte di un contesto molto più complesso, e le responsabilità vanno oltre il semplice venditore».
Uno a questo punto direbbe: e allora? Niente, si tratta di una variante del solito «il problema è più complesso», frase che non vuol dire nulla e ha il solo risultato di lasciare le cose come stanno. Anzi, è bene che ci restino, perché «il lavoro dei cittadini (sic! ndr) stranieri ambulanti è un lavoro che permette loro di sopravvivere ma, soprattutto, di inviare risorse alle famiglie nei Paesi lontani. Quindi, creare anche un po' quell'economia di sviluppo di cui spesso si parla dicendo che bisognerebbe aiutarli a casa loro». E «questo è un modo per aiutare queste famiglie nei loro Paesi e forse - non certo nell'immediato - anche per disincentivare quei flussi di cui tanto si parla e alla cui origine c'è spesso tanta povertà e disperazione». Insomma, al famoso slogan leghista «aiutiamoli a casa loro» si può ovviare con l'uovo di Colombo: vengano tutti qui, ci vendano la loro merce (il problema di quella contraffatta è «più complesso») e in capo a qualche secolo l'Africa finirà per finalmente svilupparsi, smettendo di mandare carrette di «povertà e disperazione».
Certo, se intervisti un funzionario della Caritas, che vuoi che ti dica? A ognuno il suo mestiere. Solo che quello di un ministro è diverso. Un ministro ha il dovere (dovere!) di tutelare i cittadini «liberandoli dall'assillo dei venditori ambulanti» e dai «prodotti falsi» che sono spesso anche «pericolosi». È esattamente quel che ha fatto Alfano l'11 agosto presentando la direttiva "Spiagge Sicure" a prefetti e questori. E lo sa il Cielo se questo disgraziato Paese ha bisogno di amministratori che, poche chiacchiere, facciano quello per cui sono pagati.
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