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Nella capitale federale si è ripetuta la pacifica iniziativa di popolo che da 35 anni ricorda il giorno in cui l’aborto divenne legale
Minaccia di nevicare, la temperatura è sotto lo zero e un vento tagliente sferza i 300mila e passa partecipanti alla «Marcia per la Vita» che da 35 anni si ripete puntualmente ogni 22 gennaio a Washington. Tre decenni e mezzo fa la Corte Suprema degli Stati Uniti legalizzò infatti l’aborto in tutto il Paese pronunciando una sentenza dura come il marmo e famosa come poche. Con una maggioranza di 7 a 2, la Corte mise fine al caso «Roe vs. Wade» (una montatura, si scoprirà più tardi, la cui protagonista Norma McCorvey fu poi al centro di una clamorosa conversione). Un vero deragliamento: la Corte Suprema esiste infatti solo per vegliare sulla Costituzione e sulla compatibilità con essa delle leggi emanate dal Congresso al quale spetta il compito di legiferare. Perché il Congresso viene eletto dal popolo, la Corte Suprema no.
Il raduno inizia di prima mattina al centro del Mall, il parco dei monumenti nel cuore di Washington. Alle spalle del palco si scorge il Campidoglio, sede del Congresso. La Corte Suprema è poco distante. I primi ad arrivare sono i giovani, di tutti i tipi. Ordinati e inquadrati quelli delle scuole e dei gruppi più 'tradizionalisti', dreadlock al vento, abbigliamenti sgargianti, anche piercing.
Per molti aspetti sembra Woodstock, e il bello è questo.
Oggi qui anche i rockettari marciano per dire sì alla vita, alla famiglia, persino alla castità prematrimoniale. C’è un gruppo pittoresco di adolescenti che si chiama «Rock for Life», poco meno che punk. Ci si muove a fatica fra gente, bandiere, striscioni. Le famiglie arrivano dalla stazione del metrò in fondo, Orange Line o anche Blue Line, quella dove scendono i turisti dello Smithsonian.
Carrozzine, biberon, palloncini. Il tempo è inclemente, ma nulla trattiene questa fiumana variopinta e allegra. Che s’ingrossa sempre più. La polizia a cavallo fatica a far stare tutti sui marciapiedi in attesa che il corteo parta. E l’attesa è lunga.
Tutto è cominciato addirittura sabato, quando sono arrivati i primi gruppi di 'pellegrini per la vita'. Come sempre, hanno preso d’assalto l’Hotel Hyatt che registra regolarmente il tutto esaurito, pratica sconti speciali per i marciatori, così come tutti gli altri alberghi della zona. Ma l’Hyatt è il quartier generale, con gli stand delle varie organizzazioni. C’è Human Life International e l’Università francescana di Steubenville, in Ohio; la fondazione intitolata a Terri Schindler Schiavo e le suore Benedettine del New Hamshipre; 'Stand True' (protestanti giovanissimi) e 'Silent No More', le donne che hanno subìto uno o più aborti, e oggi parlano a favore della vita. E decine di altri.
Poi lunedì sera, vigilia della Marcia, come tradizione è stata celebrata la Messa al National Shrine, il santuario nazionale degli Usa, dedicato all’Immacolata Concezione, a ridosso della Catholic University of America. Una Messa gremita come poche, concelebrata da decine di vescovi e sacerdoti. Molti giovanissimi hanno il permesso di trascorrere dentro il santuario qualche notte, accampandosi nei locali della basilica, sacchi a pelo e zaini...
Prima che la Marcia inizi, martedì mattina, il palco accoglie canti e saluti, preghiere e voti. Parla Nellie J. Gray, presidentessa del «March for Life Education and Defense Fund», da 35 anni anima del raduno. Risuonano le note di 'God Bless America ' (e come potrebbero mancare), si leva il canto dell’inno nazionale, mano sul cuore. E poi – oramai un altro classico – arriva la voce del presidente George W. Bush. Saluta i partecipanti, li esorta.
È una tragedia, l’aborto: ma qui, in questo gelido martedì, si celebra la vita. Non ci sono parole dure, né ingiurie, o slogan sopra le righe.
Qui si vuole solo ricordare che da quel giorno del 1973 in cui la Corte Suprema legalizzò l’aborto all’appello mancano 47 milioni di statunitensi.
A ricordarlo ecco i Lutherans for Life, la diocesi cattolica di Baltimora, gli episcopaliani, i metodisti... E dappertutto giovani, giovanissimi, bambini.
E adulti, anziani, handicappati che ostentano cartelli tipo «Avrei potuto essere un aborto».
Si marcia tutti per circa due ore. La cosa che più colpisce l’ospite italiano sono i sorrisi, la serietà e insieme la serenità.
Un elicottero delle forze dell’ordine veglia dall’alto, ma non ce n’è bisogno. La divisione o il risentimento non marciano con noi. Il serpentone giunge alla meta davanti alla Corte Suprema dove sfilano silenziosamente, in prima fila, le madri che hanno conosciuto nelle proprie carni il dolore dell’aborto, al loro fianco i mariti.
E poi? Una preghiera assieme, alcuni in ginocchio, altri attaccati alla corona del rosario, altri ancora palme al cielo. Un abbraccio agli amici, e appuntamento all’anno prossimo. Per dire ancora una volta, se ce ne sarà bisogno, che in America c’è chi vuole ricordare.
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