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Già l'operazione in sé strappa un sorriso. Chiedere al Consiglio superiore di Sanità (Css) se la droga fa male è come chiedere all'idraulico se l'acqua bagna. La risposta non è solo scontata, è superflua. Per quanto si sia voluto chiamare con un'operazione più ideologica che scientifica "light", leggera, la cannabis con basso contenuto del principio attivo Thc, la marijuana resta sempre tale: una droga. E il Css non poteva che darne conferma: è «pericolosa» e dunque «nell'interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione», bisogna prendere «misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti».
CONCLUSIONE UN PO' FORTE?
Davanti a questo verdetto ci si aspetterebbe dal ministro della Salute, la pentastellata Giulia Grillo, la chiusura dei "canapa shop" che sono spuntati come funghi in tutta Italia dopo l'entrata in vigore a inizio 2017 della legge 242/2016, che permette la vendita appunto di "cannabis light" e altri prodotti. E invece sulla Stampa di oggi si leggono queste parole del ministro: «Quella del Css è una conclusione un po' forte. Sinceramente il divieto di vendita sarà tutto da valutare. La quantità di sostanza attiva è molto bassa. Agli italiani che ieri hanno letto un po' di notizie allarmistiche dico comunque di stare tranquilli».
Dobbiamo stare tranquilli, ci rassicura il ministro, anche se i prodotti a base di "cannabis light" - che come dichiarato pure dal direttore scientifico dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, Silvio Garattini, «è droga a tutti gli effetti» - vengono venduti legalmente ai minori. «Questo sarà sicuramente un punto da regolamentare», ammette il ministro.
MARIJUANA ILLEGALE
Comunque bisogna stare tranquilli, continua Giulia Grillo con impeccabile aplomb, anche se tutti sanno (è il segreto di pulcinella) che in tanti "canapa shop" insieme alla "cannabis light" viene venduta anche la marijuana comunemente intesa. A minori e non. «Penso di potenziare il corpo specializzato dei Nas per creare una task force dedicata al controllo dei punti vendita», si affretta a precisare, ammettendo di essere a conoscenza della pratica illegale.
Ricapitolando: è scientificamente dimostrato che la "cannabis light" è una droga e fa male, viene venduta ai minori senza alcuna restrizione, esistente invece per alcol e tabacco, e nei negozi che sono aperti in tutto lo Stivale si smercia anche marijuana con alte dosi di principio attivo. Il ministro, colmo di premura, è perfettamente consapevole di tutto ciò e allo stesso tempo «tranquillizza gli italiani»: i negozi non saranno chiusi perché non è il caso di fare «allarmismo». Una logica impeccabile.
Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano, nell'articolo seguente dal titolo "Può far male: smascherate le bugie sulla cannabis light" mette in luce il problema dello stop del Consiglio Superiore di Sanità quando il governo precedente ha fatto già aprire a tempo di record i negozi spacciando per legale un uso ricreativo delle infiorescenze che nemmeno la legge consente.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 22 giugno 2018:
Cannabis light, lo stop arriva dal Consiglio Superiore della Sanità. Mentre antiproibizionisti e negozianti iniziavano già a fregarsi le mani per il nascente business del cosiddetto easy joint, venduta in appositi shop che stanno avendo un boom in tutt'Italia, dal Consiglio Superiore della Sanità arriva uno stop inatteso, ma che apre uno squarcio su quello che gli scienziati non hanno esitato a definire un vero e proprio cavallo di Troia verso la legalizzazione totale della cannabis. L'obiettivo è quello di arrivare a legiferare come è accaduto recentemente in Canada e ancor prima in Uruguay: introdurre sotto l'eufemismo di cannabis light un prodotto a base di infiorescenze il cui principio attivo di Thc è intorno allo 0.2% e in questo modo iniziare un commercio legale di cannabis per uso ricreativo dalle conseguenze nefaste per la salute.
La Nuova BQ se ne occupa da tempo, anche in chiave di rischi farmacologici e tossicologici, ma stavolta il no proviene con l'autorevolezza scientifica dell'organo di consulenza tecnico scientifica del Ministro della salute.
Il giudizio del CSS arriva dopo il doppio quesito posto nel febbraio scorso dal segretario generale del Ministero della Salute sui rischi potenziali delle infiorescenze vendute, apparentemente legalmente, nei negozi. La raccomandazione degli esperti, resa pubblica ieri, mostra una "letteratura" ben diversa da quella fornita in questi anni da Radicali ed esponenti politici, supportati da personaggi del mondo dello spettacolo per i quali le infiorescenze non fanno alcun male: si tratta di una raccomandazione precisa ad "attivare nell'interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti".
Una doccia fredda per i fautori della canna light e per il conseguente canna-business che ieri hanno iniziato a ricevere le prime visite delle forze dell'ordine per chiusure e sequestri mirati a verificare la presenza di sostanza in regola o no. Circa la pericolosità dei prodotti messi in vendita però, anche se con principio attivo molto basso rispetto alla cannabis illegale venduta nelle piazze di spaccio di tutt'Italia, il CCS infatti "ritiene che la pericolosità dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di cannabis o cannabis light o cannabis leggera, non può essere esclusa".
Insomma: le canne "leggere" possono fare male tanto quelle pesanti, ma è la risposta al secondo quesito che cela il grande problema politico di uno sdoganamento anticipato della cannabis facendosi forza di una legge che però mette dei paletti per un uso dei derivati della canapa che esula completamente da quello ricreativo, che si estrinseca principalmente fumando. In poche parole: i negozi che vendono infiorescenze sono stati aperti facendosi forza sulla legge 2 dicembre 2016, n. 242 che però disciplina usi industriali e florovivaistici. Un secondo cavallo di Troia, dunque. Che però il CCS ha "smascherato" costringendo così il Ministero, guidato oggi dalla pentastellata Giulia Grillo, a intervenire dopo però aver sentito il parere dell'avvocatura generale dello Stato.
Ma andiamo con ordine e vediamo su quali basi scientifiche si basa il giudizio del CCS.
Questa è la giustificazione tossicologica utilizzata dagli esperti del Ministero: "La biodisponibilità di Thc anche a basse concentrazioni (0,2%-0,6%) non è trascurabile, sulla base dei dati di letteratura; per le caratteristiche farmacocinetiche e chimico-fisiche, Thc e altri principi attivi inalati o assunti con le infiorescenze di cannabis sativa possono penetrare e accumularsi in alcuni tessuti, tra cui cervello e grasso, ben oltre le concentrazioni plasmatiche misurabili; tale consumo avviene al di fuori di ogni possibilità di monitoraggio e controllo della quantità effettivamente assunta e quindi degli effetti psicotropi che questa possa produrre, sia a breve che a lungo termine".
In poche parole, il CCS evidenzia un vulnus: quello già sollevato anche dalla Nuova BQ di prodotti che vengono spacciati come "terapeutici", ma per i quali non è presente nessuna avvertenza medico-scientifica su effetti indesiderati o collaterali. Lo dimostra il fatto che ad oggi le infiorescenze non sono accompagnate da "bugiardini", come per i farmaci normali, che ne mettano in chiaro i rischi e i benefici.
Ma ciò che non è emerso è la tempistica precisa con al quale il CCS è intervenuto. Lo scorso 4 giugno infatti il comitato di scienziati dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) si è ritrovato per il 40esimo meeting di esperti sulle droghe e le dipendenze e ha fatto il punto proprio sullo studio della cannabis e i suoi estratti. Ebbene: dalle evidenze cliniche e tossicologiche l'organo per la Salute dell'Onu non ha affatto sciolto la riserva sulle caratteristiche benefiche, o innocue, della cannabis light. L'OMS in sostanza deve ancora valutare se il canabidiol (CBD), il maggior principio attivo per quantità presente del cosiddetto easy joint da infiorescenza (superiore per concentrazione al thc), abbia o no valore terapeutico o se invece abbia effetti negativi per la salute. Il vertice in sostanza ha sospeso il giudizio perché - fondamentalmente - la letteratura scientifica in materia è ancora troppo scarsa.
"Solo due studi sono stati citati per quanto riguarda il potenziale di abuso di CBD sull'uomo, il che rende difficile trarre conclusioni basate su questi risultati", si legge nel report. Insomma: il giudizio non è affatto definitivo, né rassicurante. Ecco spiegato il perché del principio di precauzione a cui fa appello il Consiglio italiano. Negli studi presentati si ammette che il cannabidiol allo stato attuale non ha grossi effetti negativi, ma questo non è sufficiente per decretarne il suo essere innocuo o addirittura benefico. I fattori in campo sono molteplici e come avviene per qualunque altro farmaco la sostanza dovrà essere studiata ancor a lungo prima di un suo sdoganamento in ambito medico dove però, almeno, è pacifico a tutti gli scienziati che i principi attivi della cannabis light, cannadibiol e thc, hanno alcune potenzialità in ambito sintomatologico, ad esempio per alcune forme di epilessia, ma nessuna validità terapeutica.
Questo è ribadito negli studi OMS e sarebbe già sufficiente per smascherare il grande imbroglio linguistico sulla cannabis a scopo terapeutico dato che non cura nulla, semmai allevia alcuni sintomi, ma anche qui, con risultati tutti da studiare nelle interazioni e conseguenze.
Cannabidiol soprattutto del quale si conosce poco e Thc sulla cui tossicità c'è una letteratura maggiore, al momento sono sotto controllo ed è con questo input che l'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) dovrà decidere che tipo di indicazioni dare ai singoli Stati.
Nel frattempo però, molti stati e tra questi c'è l'Italia hanno introdotto la vendita di infiorescenze appellandosi a leggi ad hoc. Ma anche qui, il CCS ha smascherato l'inganno. Nel nostro Paese ad esempio la legge 242/2016 a cui ci si appella per giustificare la vendita delle infiorescenze disciplina soltanto l'uso agricolo o industriale di cannabis: fibra, semi, polveri, oli, carburanti per forniture alle industrie e alle attività artigianali. E ancora: materiale destinato alla pratica del sovescio o organico destinato ai lavori di bioingegneria, materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati e coltivazioni destinate al florovivaismo. Impossibile trovare tra questi usi le infiorescenze che, anche se a basse concentrazioni di principio attivo, vengono fumate ad uso ricreativo. Un uso improprio e che sfrutta un vulnus nella legge, ma che mette i negozi in una situazione de facto di legalità solo apparente.
Intanto però il business è fiorente. Nel solo 2017 in Italia il piccolo, ma "promettente" mercato degli shop ha fruttato la bellezza di 40 milioni di euro. Immaginiamoci che cosa significhi su larga scala. Ma quella che sembrava essere una strada spianata verso un "joint" finalmente senza pensieri può trasformarsi in un percorso in salita, almeno fino a quando la scienza farà la sua parte.
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