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"Te l'avevo detto" è una frase vietata a una moglie. Non la può proprio dire per nessun motivo al mondo al proprio marito.
Però Vasco Rossi non è mio marito, per fortuna, e io – come molte altre persone di buon senso – che la sua vita spericolata fosse in realtà squallida e triste, una finta ribellione che mascherava solo il triste imperativo "fate i vostri più bassi comodi e fregatevene del resto" l'avevo capito da subito. Non è che ci voglia il fiuto di un segugio.
Così quando il signor Rossi ha annunciato via facebook di andare avanti grazie a un cocktail di psicofarmaci e medicine varie studiato da una squadra, niente di meno, di medici, a me è sembrato come se avesse annunciato che ha due mani. Che credeva, che non lo avevamo visto?
I giornali, che hanno sempre questa seccatura di riempire le pagine di agosto quando c'è solo una crisi mondiale che scuote euro e dollaro, quando gli speculatori succhiano soldi pubblici e i destini di molti di quelli che vivono in occidente potrebbero cambiare, effettivamente non sapevano di che parlare e hanno dedicato paginate intere a questo campione del pensiero, a questo Jim Morrison nostrano.
Il mediocre cantante di Zocca mi ha sempre fatto tristezza, anche quando ero un'adolescente e lui cantava a Sanremo, e in teoria ero una perfetta candidata a subire il suo fascino. Come abbia potuto incantare qualcuno uno che parlava con quella voce biascicata perennemente impastata, come abbia potuto passare da eroe un evasore fiscale da Roxy Bar e uguale a tutti gli altri (altro che "siamo solo noi") è inspiegabile per me. Eppure è successo. Vasco Rossi è stato ed è un modello per un bel po' di gente, a volte è vero anche suo malgrado,e la cosa andava benissimo per ingrossare il conto in banca (sarà un caso che l'outing sia avvenuto poche settimane dopo l'annuncio di dimissioni da rockstar?).
Per questo me la prendo tanto, e sprizzo un po' del mio miglior veleno su uno che annuncia di soffrire del male di vivere (salvo poi fare retromarcia, è tutta colpa dei giornalisti). Perché ha contrabbandato il suo stile di vita come anticonformismo, come coraggio quello di arrivare al limite sterzando proprio all'ultimo come nel più abusato cliché da adolescente ribelle, e tantissimi ragazzi ci hanno creduto. Hanno creduto che l'istintivo arrendersi alle più basse voglie dell'essere umano al suo livello meno evoluto – droga, alcol, fumo - fosse poi la strada per arrivare alle donne, la fama, i concerti, le barche, le macchine, le moto e via dicendo. Tutte cose che il loro Blasco sbandierava come un tredici al totocalcio. Se questo era il sogno della sua vita è stato bravo a realizzarlo, ma eroe proprio no. E furbo forse neanche, perché evidentemente la vita presenta il suo conto, e quando è priva di un senso vero, quando non conosce la vera bellezza, diventa un vero inferno, che solo con aiuti artificiali si rende tollerabile.
Ovviamente l'articolo di Repubblica si affanna a spiegare che "non è una risposta alle avversità ambientali, ma dipende dalla struttura neurobiologica di cui ognuno di noi è dotato". Una questione chimica, biologica, dunque, che bisogna risolvere con la chimica. Passerà presto, ci sono passati in tanti, è una malattia come un'altra, si affretta a dire Rep. Guai a guardarsi dentro e a dare una risposta vera. Perché l'unica risposta vera è Gesù Cristo, ma queste parole sono vietate sui giornali che vanno per la maggiore.
Non sono d'accordo, perciò, neanche con la bravissima Annalena che ieri scriveva sul Foglio che "Vasco rivendica a sé l'umanissima spelacchiatura dell'esistenza, gli inciampi, l'imbarazzo... non è proprio esaltante, ma è così sincero che commuove". Io sono cattiva, e non mi sono commossa proprio per niente, perché quello dal palco ha trascinato un sacco di gente verso i miti più provinciali e squallidi ed egoisti e vigliacchi che si possano immaginare. Se uno vuole vivere come gli detta la pancia e altri organi più in basso – siamo tutti impastati di peccato, ci mancherebbe – almeno non si atteggi a guru.
Io mi commuovo quando incontro la gente che rischia la sua vita per qualcuno, quando si spende, si consuma, si logora per far vivere gli altri. Quelle sì, vite spericolate. Eh... già!
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